WWE Vintage Critic – Countdown to WrestleMania #15

Siamo in piena Attitude Era e la WWF è in procinto di vincere le Monday Night Wars contro la WCW, rea – tra l’altro – di aver spoilerato una volta di troppo quello che sarebbe successo nello show della compagnia di Stamford: Mankind conquistò il suo primo titolo mondiale contro The Rock nel primo episodio di Raw del 1999, che era stato preregistrato e la WCW ne era al corrente. Siccome erano soliti spoilerare i risultati di Raw per non far cambiare canale agli spettatori da casa, qui non furono da meno, annunciando in buona speranza di tenersi il pubblico che Mankind sarebbe diventato campione. Per tutta risposta, quasi tutti gli spettatori cambiarono canale per andare a vedere Foley laurearsi campione, facendo registrare il punteggio di ascolti più alto mai raggiunto da un segmento di uno show WWF e da uno show di wrestling in generale.


Ma non era solo “colpa” della WCW. La WWF si era pian piano rimessa in sesto, creando storyline avvincenti su tutti i fronti, in più si erano costruiti i personaggi alla meglio. La star più grande era, indiscutibilmente, Stone Cold Steve Austin, ormai in piena guerra con la Corporation, con la Ministry of Darkness e chi più ne ha, più ne metta. Il 1999 era interessante in quanto non c’erano quasi mai dei match fatti bene, ma le storyline che li accompagnavano erano talmente coinvolgenti che davano comunque la sensazione di avere assistito a chissà quali capolavori, anche se a volte, era vero il contrario, anche perché era cosa rara vedere un match senza overbooking. I presupposti per essere un’edizione epica, c’erano, anche se l’unico incontro d’interesse era, di fatto, il main event. Il record d’acquisti che persisteva dall’edizione numero 5, fu battuto proprio nel ’99, arrivando a 800.000. I ratings di Raw non erano da meno, aggirandosi sempre intorno ai 6.0 punti. Lo show ha soddisfatto le aspettative? Vediamo! Dal First Union Center di Philadelphia, Pennsylvania…

WrestleMania XV

È il 28 marzo 1999, gli spettatori sono 20.276 e al tavolo di commento, ci sono Jerry Lawler e Michael Cole (che verrà sostituito nel main event da Jim Ross), e ormai da anni in pianta stabile, Hugo Savinovich e Carlos Cabrera per il commento spagnolo. A cantare l’inno nazionale, ci sono i Boyz II Men.

Durante la puntata di Sunday Night Heat (show trasmesso in chiaro ogni domenica che faceva da preshow per i PPV), Jacqueline ha sconfitto Ivory in un “match” della durata di un minuto, mentre D’Lo Brown e Test vincono una Battle Royal che serviva a determinare i nuovi sfidanti ai titoli di coppia.

Il main show inizia con un Triple Threat tra Hardcore Holly, Al Snow e “Bad Ass” Billy Gunn. Quest’ultimo è Hardcore Champion in carica. Holly vince di rapina, rubando lo schienamento a Billy Gunn, ed è il nuovo Hardcore Champion.

I nuovi sfidanti ai titoli di coppia di poc’anzi, vanno subito a sfidare i campioni in carica, che sono Owen Hart e Jeff Jarrett. In un match breve e quasi frettoloso, i campioni conservano il titolo. Un match indegno per le capacità di un mostro sacro come Owen Hart, che non avrà purtroppo possibilità di riscattarsi. Morirà due mesi dopo durante il PPV “Over the Edge” per uno stunt andato male. R.I.P. Owen. Ci manchi tuttora.

È il momento del Brawl for All Match. Bart Gunn, in maniera del tutto inattesa, va a sfidare Eric “Butterbean” Esch in un incontro di pugilato, dopo aver vinto in precedenza un torneo di Shootfight per il quale ci si aspettava la vittoria di “Dr. Death” Steve Williams. E invece ha vinto Bart. Solo che Butterbean non è Mr. T, ma un vero pugile con un palmares (stando al 1999) di 43 vittorie e una sconfitta. Per l’appunto, Butterbean mette Bart KO nel giro di 35 secondi, condannandolo al depush totale. Bart Gunn lascerà la compagnia poco dopo.

Il prossimo match vede Mankind affrontare il nuovo arrivato, Big Show. C’è in palio la possibilità di arbitrare il main event. Foley piglia un sacco di mazzate, come di solito suo, ma vince il match per squalifica ed è quindi autorizzato a fare da arbitro nel match finale (che però, non succederà). Big Show, nel post-match, volta le spalle alla Corporation.

Dopo, si tiene un Four Corners Match per il titolo intercontinentale. Road Dogg difende con successo la cintura dall’assalto di Goldust, Ken Shamrock e Val Venis in quello che è il primo match decente della serata.

Nel match numero 6 si affrontano Triple H, leader della DX, e Kane (che rappresenta la Corporation). Prima del match, arriva la mascotte “The San Diego Chicken” che attacca Kane alle spalle. Kane si ribella e strappa la maschera al pollastro, rivelando che si tratta di Pete Rose. Anche quest’anno, Pete si ritrova a subire un Tombstone. Il match risulta inguardabile, anche per la palese stupidità dell’arbitro che non finge nemmeno di non vedere le scorrettezze che dovrebbero portare alla squalifica di uno dei due. Il colpo di scena arriva nel finale, quando Chyna sembra voler infierire su HHH con una sediata, e invece decide di colpire Kane, regalandogli involontariamente la vittoria per squalifica. L’arbitro era un po’ troppo scemo, you feel me? Forse era meglio metterlo in un match contro DI ANDATEICA!!!

Successivamente, Sable e Tori si battono per il titolo femminile, detenuto da Sable. Il match non tenta nemmeno di essere piacevole, visto che in quest’era, le donne in WWF/WWE servivano solo ad aiutare gli adolescenti a superare la pubertà. Dal nulla arriva un’energumena di nome Nicole Bass ad attaccare Tori, permettendo a Sable di conservare il titolo.

Dopodiché, è ora della European Championship. Il campione in carica e Shane McMahon, che rappresenta la Corporation. È solo da pochi mesi che è entrato in scena, facendosi riconoscere come il figlio di Vince, ma già ha un titolo alla vita. Il suo avversario è X-Pac. Il match è piacevole, ricco di azione e leggero overbooking, con Test che cerca di aiutare Shane a vincere. A concludere il match in favore del campione è un altro colpo di scena: arriva Triple H che, inaspettatamente, esegue il Pedigree sull’amico X-Pac e quindi diventa heel, anche se il pubblico esplode in un boato piuttosto che fischiarlo.

È ora del co-main event, sul quale mi piacerebbe stendere un velo pietoso, come del resto fa anche la WWE, perché è un match davvero brutto, inguardabile e assolutamente indegno di un grande palco come WrestleMania. The Undertaker, leader della Ministry of Darkness, affronta Big Boss Man, rappresentante della Corporation, in un Hell in a Cell Match. Non bastava il fatto che erano due heel a scontrarsi, per giunta non fanno proprio nulla di coinvolgente, e non basta la presenza di un mostro sacro come il Phenom, anche se è per la prima volta heel da sette anni a questa parte. Questo è, possibilmente, ancora più brutto dei match di WM9 e WM11, tant’è che non esistono riassunti né video di questo match al di fuori, giustamente, dell’edizione integrale (o meno) dell’evento. Inutile dire che a vincere, è Taker, che si porta sull’8-0. Nel post-match, come se non bastasse, arrivano The Brood (Edge, Christian e Gangrel) a fare la loro breve comparsa, solo per portare un laccio al loro leader, che lo usa per impiccare (letteralmente) Boss Man all’interno della gabbia. In pratica, assistiamo ad un omicidio in diretta e va bene così. Inspiegabilmente, Boss Man riappare poco dopo negli show come se niente fosse. Ripetete con me, va’: Stendiamoci sopra un velo pietoso…

Siamo arrivati al main event (Boss Man è sparito, evidentemente qualcuno lo ha tirato giù). Arriva Vince McMahon pronto ad arbitrare il match (ma di dove?). Risuona però la canzone di Shawn Michaels, che viene accolto da un boato. Michaels ricopre il ruolo di Commissioner (on screen, s’intende) e ricorda a Vince che solo lui può decretare gli arbitri, quindi, invita Vince a togliersi dai piedi, dichiarando anche la Corporation bandita da bordo ring. La scelta di HBK cade su Mike Chioda (ma Mankind? No?) e diamo inizio alle danze. The Rock, campione in carica e fresco di passaggio a heel, deve vedersela con Stone Cold Steve Austin, nemico pubblico numero 1. È la prima volta che i due si affrontano per il grande pubblico e convincono con la loro alchimia sul ring, sfornando uno spettacolo da vedere assolutamente, anche se non siamo ancora al livello di 5 Star Classic, bensì intorno alle 4 stelle. Il match soffre leggermente dell’overbooking (intromissioni continue di Vince McMahon), ma alla fine la spunta 3:16 con una vittoria pulita (grazie all’arrivo, anche se tardivo, dell’arbitro speciale Mankind) e si riprende il titolo che aveva “perso” nell’autunno del ’98, passando per il torneo “Deadly Game” e per una Royal Rumble che lo vedeva come bersaglio di tutto il roster, con una taglia di 100.000 dollari. Nel post-match, Vince McMahon si becca la Stone Cold Stunner. La serata si conclude con Austin festante con tanto di birre che scorrono a fiumi, per la gioia del pubblico.

Abbiamo assistito a 1:15:44 di lottato in uno show durato 2:46:58, arrivando quindi a 45,4% di show composto da vero e proprio wrestling. Come dicevo prima, in piena Attitude Era, il wrestling in sé era solo di secondo piano, perché il booking team si focalizzava sulle storyline. Perciò, anche durante quest’evento, gran parte del minutaggio è stata dedicata a video-package e segmenti backstage.

Se andiamo a vedere quanti match erano pieni di overbooking o perlomeno in quanti dei quali ci sono state intromissioni, si capisce subito lo stile che l’Era Attitude proponeva. Dopo la dipartita di Vince Russo, l’overbooking diminuì notevolmente. Un’altra cosa tipica per la AE erano i continui passaggi a heel o face, a volte perfino degli stessi personaggi. Vedi Chyna, che turna face durante un match, e poco dopo, turna heel, ma stavolta riunita con Triple H. I turn heel, spesso, arrivavano dal nulla, perché la WWF mirava sempre ai colpi di scena e alle sorprese. Non sempre c’erano spiegazioni logiche a parte “L’ho fatto perché mi andava di farlo, e tanto mi stava sul c…” Questo succederà ancora molte volte nei mesi e gli anni a venire, la volta più “celebre” è sicuro la rivelazione del “Higher Power” che comandava la Ministry of Darkness, con Vince McMahon che dice “Sono sempre stato io!” Perché? Perché è cattivo, e i cattivi sono davvero cattivoni. Non ci sono altre spiegazioni.

Per quanto riguarda Austin, continuerà ad avere un anno formidabile, salvo poi essere scritto fuori dalle storyline (“I did it for Da Rock!”) e saltare quasi un’anno. The Rock, di lì a poco ritornerà face e farà grandi cose, come anche Triple H, a cui il passaggio a heel gioverà come mai prima d’ora.

Come valutare quindi, questo show? Mettiamola così: non è stato di certo tra le migliori mai viste, me nemmeno tra le peggiori. Il booking è stato ottimo per quasi tutti i match, al di fuori di quell’abominio di Hell in a Cell (che non viene MAI menzionato dalla WWE). Visto però che manca un qualsiasi match degno di nota al di fuori del main event, gli do la sufficienza, andando ad alzare leggermente il voto in quanto quest’edizione era leggermente migliore delle edizioni numero 1 e 11. Quindi vado con un 5,25/10. Voi cosa ne pensate?

Per lodi, critiche, minacce, percosse, tangenti, domande, suggerimenti o parolacce potete utilizzare i commenti oppure contattarmi via FacebookTwitterInstagram oppure via E-Mail scrivendo a [email protected]. L’archivio dei numeri precedenti lo trovate qui. Per chi volesse lasciare un like al mio blog tedesco, faccia un salto qui.

Ci vediamo domani con WrestleMania 2000!

Io sono il WWE Vintage Critic, e viaggio nel tempo al posto vostro!

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WrestleMania Ratings (su 10):


WrestleMania 10
  – 7

WrestleMania 3 – 7

WrestleMania 146,75

WrestleMania 8 – 6,5

WrestleMania 7 – 6

WrestleMania 12 – 6

WrestleMania 6 – 5,5

WrestleMania 15 – 5,25

WrestleMania 1 – 5

WrestleMania 11 – 5

WrestleMania 13 – 4

WrestleMania 5 – 3,25

WrestleMania 2 – 3

WrestleMania 4 – 2

WrestleMania 9 – 1,5

Fabio Barbuscia
Fabio Barbuscia
Da quando vidi The Undertaker chiudere Ultimate Warrior in una bara, sono rimasto legato a vita a questo mondo magico. Sono quello che accompagna i nostalgici sia in italiano che in tedesco. Sono il WWE Vintage Critic e viaggio nel tempo al posto vostro.
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