Gorilla Position #29 – Omega vs Ospreay

Gorilla Position

Il Gorilla Position di questo mese è dedicato a quanto un match può raccontare anche solo con l’azione in ring. Parlerò di Kenny Omega e di Will Ospreay, nello specifico. E lo farò con tutto l’entusiasmo che il loro incontro di WrestleKingdom mi ha lasciato sulla pelle. E che sento tuttora.


Ma oggi, nel momento in cui sto scrivendo, ho perso un amico. Perché è questo quello che i wrestler alla fine diventano, per noi che ogni settimana guardiamo una o più federazione. Uno o più show. Con l’aggiunta di YouTube, i social, i podcast e tutti i contenuti che sono immediatamente raggiungibili per chi ama il wrestling. Come avrete già letto nella nostra newsboard, è morto Jay Briscoe in un incidente stradale. E la sua dipartita segue di poco quella di una delle icone della TNA che fu. Ovvero Don West. Io di quella TNA ero un fan accanito, così come ho adorato visceralmente i Briscoes. Al punto da votare la loro trilogia contro gli FTR per i ROH Tag Titles ai primi tre posti del 2022 in termini di Match of the Year.

Recentemente, MJF si è scagliato contro chi ha criticato Anna Jay per lo spot (peraltro non sbagliato da lei, ma sta diventando una moda questa, vedi Sasha Banks/Mercedes Monè) con Willow Nightingale finito non benissimo. Affermando, in character e fuori character, che di fatto il wrestling è reale, che ci sono persone che mettono a rischio la propria vita e la propria incolumità fisica per intrattenere il pubblico. E noi paradossalmente vediamo loro più spesso di quanto possiamo vedere degli amici, cosiddetti “reali”. Loro, le loro emozioni, il loro modo di lottare, la loro capacità di comunicare.

I wrestler parlano di noi e con noi, ci raccontano qualcosa. Vero o scriptato che sia. Condividono, ascoltano e nutrono la nostra passione, un po’ come appunto un caro amico. E, perderlo così, un amico, da un momento all’altro, in quelle circostanze, con anche le figlie coinvolte, beh. Personalmente, è straziante e fa male. Quindi perdonatemi se ho speso queste righe per omaggiare Jay Briscoe, Don West e in senso lato tutti coloro che mi hanno accompagnato in questi (lunghi) anni di appassionata fruizione del prodotto wrestling e che ora non ci sono più.

KENNY OMEGA vs WILL OSPREAY

Passiamo all’argomento di oggi. Ho visto WrestleKingdom, evento commentato in maniera inappuntabile dal nostro Luigi Quadri nel suo The Other Side. E l’incontro tra Kenny Omega e Will Ospreay mi ha letteralmente conquistato. Perché ha raccontato una storia dall’inizio alla fine, in ogni minuto, senza nemmeno dover parlare. Al di là della storia passata e della press conference, infatti, non abbiamo avuto migliaia di promo tutti uguali. Né ci siamo dovuti sorbire settimane e settimane di scaramucce, interferenze, aggressioni. Chiaro, sono di due federazioni diverse, ma la mia riflessione verte più su quanto sia sottovalutata la capacità di racconto in ring. Perché tutti siamo ormai schiavi della logica secondo cui con le chiappe squadrate sui nostri divani, qualcuno ci dice tutto PRIMA.

Le parole sono importanti, non v’è dubbio alcuno, ma il messaggio che pur nel silenzio arriva forte e chiaro è un qualcosa di sublime. Sin dall’entrata, Omega sceglie di vestire i panni di Sephiroth, uno dei più grandi villain della storia del videogame. Il gaijin che arriva in terra nipponica per conquistare. E lo fa affrontando colui cui manca sempre un centesimo per fare la lira. O lo yen. Colui che non sa reggere la pressione, un fenomeno sul ring ma che mentalmente crolla quando deve fare il passaggio finale per diventare un campione. Ospreay sceglie Elevated, una scelta poetica per sua stessa definizione. Non solo per far rivivere il passato, ma anche per essere, per una volta, il supereroe.

E il match si impernia tutto su questa dicotomia. Narrata magistralmente sul quadrato, con una prima fase, chiamiamola di studio, in cui entrambi i performer si scambiano colpi base del proprio repertorio. Azione non stop in ring e fuori ring, divisa in modo equilibrato tra la maggiore potenza di Omega e la rapidità di Ospreay, che ribalta un hurricanrana di Omega per poi attaccarlo con uno splash fuori ring. L’atmosfera che si respira è quella della grande occasione, un po’ alla Rocky Balboa contro Ivan Drago. E come nel film di Sylvester Stallone, è Omega a prendere in mano le redini del match. Lentamente, progressivamente, inesorabilmente.

Non puoi scappare, dice a un certo punto Omega a Ospreay, prima di eseguire in rapida successione Irish Whip e Side Kicks. Ospreay vacilla ma reagisce e sarà un tema ricorrente del match, salvo poi finire schiena contro il turnbuckle esposto. Ahi. Ma questa prima fase si chiude con il campione che riguadagna momentum, riuscendo con la sua tecnica e velocità a ribaltare i tentativi di power moves dello sfidante. Fermiamoci un attimo e ascoltiamo ciò che l’incontro ci sta dicendo: il campione, Ospreay, è in difficoltà. Affronta un avversario più grande di lui sotto tanti punti di vista. E affronta anche i suoi demoni, l’impegno, la volontà, la dedizione, ma manca sempre qualcosa. Il ritmo del match, ribadisco, senza che servano contorni e cosmetica, segue pedissequamente questo copione. L’azione principale ce l’ha Omega, Ospreay ha fiammate d’orgoglio sporadiche. E quando si spengono, la differenza emerge.

Prima che il ritmo cambi, giustamente, ecco Ospreay salire di intensità. Subisce un double stomp alla schiena con la cortesia di un tavolo che si frantuma, ma risponde colpo su colpo arrivando a un conto di due diverse volte, ultima delle quali dopo una OsCutter. Qui la musica cambia. Omega connette un DDT (clamoroso) sul turnbuckle di cui sopra, Ospreay sanguina e la narrazione diventa drammatica. The Cleaner infierisce senza pietà, attaccando a ripetizione la testa del suo avversario, che barcolla. Sembra non essere più in grado di continuare. Eccezionale la prestazione del tavolo di commento, che ha guidato sempre lo spettatore verso una corretta comprensione del match. Don Callis ha costantemente, in questa fase, sottolineato come Ospreay non sia a livello di Omega, ha costantemente ricordato allo spettatore quale fosse il momento.

Will Ospreay ha il volto coperto di sangue. Subisce mosse a ripetizione, tra cui la consueta snocciolata di V-Trigger, rimane immobile, in ginocchio a centro ring, a guardare nel vuoto. Con Omega a troneggiare sopra di lui, prendendolo per la testa penzolante. Sta perdendo, ancora una volta, contro quel tipo di campione che vorrebbe tanto essere. Stay down, dice Omega, così come disse Undertaker a Shawn Michaels. Il ritmo narrativo in questa fase è lento, inesorabile, scandito unicamente dall’azione di Omega. Non c’è contraddittorio, non c’è reazione. Senti sulla tua stessa pelle la sensazione di impotenza nel vedere Ospreay subire senza intermittenza. Fermate l’incontro, dice Don Callis, interpretando quello che pensiamo tutti, tornando all’epica di Stallone. Lancia l’asciugamano, Rocky, quando vedi Apollo Creed barcollare sotto i colpi del russo. Non c’è nulla che lui possa fare, a questo punto.

E qui entriamo nella sequenza pre-finale, perché all’ennesima V-Trigger, Ospreay afferra la gamba di Omega. Si rialza, disordinatamente prova una reazione, risponde al Cleaner, cerca di ergersi alla sua stessa altezza. Subisce un’altra V-Trigger, ma non va giù. Non mi manderai più al tappeto, Kenny. Powerbomb di Ospreay, Hidden Blade di Ospreay, Super OsCutter di Ospreay. Ma il conto è di due. Styles Clash, ma il conto è ancora di due. Running Hidden Blade ed è ancora due.

Ospreay con ancora i segni del sangue sul volto, Omega con l’occhio tumefatto. Un massacro continuo, Omega vuole la One Winged Angel, è ancora nel match, sa cosa sta facendo ma deve subire la reazione di un avversario che rifiuta di arrendersi. Ma come, aveva già perso, come fa ad essere ancora in piedi. Ospreay attacca, senza fermarsi, senza una trama, senza una continuità. Sa che lasciare anche solo un’apertura ad Omega significherà la fine. Ritmo frenetico, non c’è un singolo attimo di respiro.

Ed eccoci alla parte conclusiva. I due sono al centro del ring ora, Omega tiene Ospreay per mano, in una potentissima e purissima immagine. Stiamo realizzando qualcosa di meraviglioso, quella stretta di mano sembra dire, al di là della sua valenza lottata. Si scambiano standing forearm, sempre tenendosi per mano, con la pura forza della disperazione, perché le energie sono finite. Il ritmo è tornato statico, lento, inesorabile. Tutti sappiamo che stiamo arrivando alla fine. I due rivali si guardano, si affrontano con la forza del carisma che non ha bisogno, anche qui, di parole. Omega prende il sopravvento, tiene Ospreay che è in ginocchio, prende le misure. Si prepara. Ospreay gli sputa e cordialmente gli dà le indicazioni stradali per andare a “quel paese“. V-Trigger, l’ultima. One Winged Angel. It’s over. Conto di tre. Finisce qui.

LA PERFEZIONE SUL QUADRATO

Vince Omega, dunque, il cattivo ha la meglio ma non finisce qui. Giusta conclusione, coerente con il racconto che ci porterà verso un rematch, dai contorni ancora da delineare. Spero che le mie parole abbiano trasmesso almeno un decimo dell’emozione che questo match mi ha regalato. Una trama perfetta, realizzata in modo perfetto dalle parti in causa. Tutte. Pubblico compreso, commentatori compresi. L’incontro ha vissuto di alternanze di ritmo narrativo sempre seguite dalla medesima cadenza in ring. Il tutto per valorizzare il racconto, il tema che stavi proponendo e che hai fatto arrivare in modo potentissimo.

Azione veloce all’inizio, ritmo lento in mezzo, quando c’era Omega a giganteggiare, per vendermi il dramma di Ospreay, fisico e mentale. Per l’ennesima occasione che stava fuggendo via. Sottolineata peraltro dallo stesso inglese, che ha parlato a valle dell’evento di un proprio fallimento personale, di aver dato anima e corpo e di dover riflettere ora su come rimettere a posto i pezzi. Ma come ci insegna la cultura giapponese, di fronte all’arcinemico non ti arrendi, fino alla fine. Non si arrende Goku con Freezer, non si arrendono i Cavalieri dello Zodiaco contro il bipolarismo dei vari villain, nemmeno si arrende Naoto Date (L’Uomo Tigre) contro tutte le scorrettezze dei sicari della Tana delle Tigri. E il ritmo diventa velocissimo di nuovo, per sottolineare la tenacia e la caparbietà con cui Ospreay cerca di rientrare nel match.

Questo incontro ci lascia un concentrato di immagini fortissime, un climax ascendente di tensione narrativa. In questo match c’è stato tutto, sport, entertainment, cinema, videogame, romanzo, musica. Tutto, davvero tutto. Siamo abituati a un paradigma di wrestling basato sul racconto extra ring, per lo più vissuto su tematiche scriptate, su interpretazioni e non su vissuti. E poi con match tendenzialmente in fotocopia, in cui per quanto si possa vedere del buon wrestling, a volte manca il collegamento con la storia da raccontare. Che non è solo basata su taunt, chi vince e chi perde, chi turna e chi non turna. No.

I dettagli contano, il potere del non detto conta, la entry music, il ring attire, il ritmo dell’incontro, le sequenze di mosse che hanno un significato. Non sono solo le classiche mosse di repertorio, le Five Moves of Doom. Non servono solo per arrivare al finale, io ti meno, tu mi meni e poi finisher e ciao. Le pause non servono solo per aspettare l’hot tag di turno. No, no e poi no. Omega vs Ospreay è stato pura arte. Magia. Da guardare e riguardare. E se non l’avete ancora fatto, beh. Fatelo. Non ne rimarrete delusi.

Scritto da Andrea Samele
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