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La notizia della scomparsa di Ultimate Warrior non può lasciarmi indifferente. Mi coglie improvvisamente, in maniera insolita, mentre sto ricercando tutt'altro sul sito internet di un quotidiano locale.


Un quotidiano locale che non riesce ad esimersi dal dare la notizia della morte di Ultimate Warrior. E, mi sia permesso, non potrebbe essere altrimenti. Warrior, all'anagrafe Jim Hellwig, è il nome che più di tutti qui in Italia, assieme a quello di Hulk Hogan naturalmente, è legato al concetto di wrestling. Ho sentito il bisogno di tornare per una volta sulle pagine di Tuttowrestling, che ringrazio infinitamente per la disponibilità concessami in virtù della nostra amicizia e vecchia quanto lunga collaborazione, per dire due cose di getto.

La nostra amata disciplina da anni ormai, tra alti e bassi comprensibili per questo sport spettacolo che da noi purtroppo non ha tradizione, è in auge sulle varie emittenti, ma tutt'ora ci sono tante generazioni per le quali il wrestling è Hulk Hogan – e va bene, chi può smentirli ancora oggi nel 2014? – e Ultimate Warrior.

Il guerriero dell'Arizona infatti ha ammaliato con le sue potenti prestazioni gli occhi degli appassionati italiani nel momento di maggior splendore per il wrestling nel nostro Paese. Momento di maggior splendore che, guarda caso, ha coinciso con il suo.

Un momento che purtroppo è durato poco. Ma che ha lasciato uno strascico indimenticabile. Leggendario. E' un peccato se a scorrere il suo palmares si leggono solo, di grosso, un titolo mondiale e due intercontinentali dell'allora World Wrestling Federation. E' vero, non era l'epoca dei regni da pochi mesi, ma si parlava di anni di dominio da parte dei più grandi lottatori, ma di certo c'è che se Ultimate Warrior fosse stato meno pazzo – si, avete letto bene: pazzo – saremo qui a celebrare uno dei più vincenti nella storia.

Warrior è riuscito in un'impresa titanica: schiacciare la popolarità di Hulk Hogan. E non solo in Italia, bensì dovunque. Nella golden era del wrestling, è stato l'unico. Lo ha sconfitto in uno dei main event più indimenticabili di Wrestlemania, la sesta edizione, nel 1990.

Prima ancora aveva già toccato un personalissimo apice, interrompendo il più lungo regno di sempre di un campione intercontinentale – quello di Honky Tonk Man, sconfitto a Summerslam dopo 464 giorni di leadership, tutt'oggi il regno più lungo e si parla di quando il titolo intercontinentale valeva tanto – e riconquistando poi la cintura dopo uno dei feud più combattuti e interessanti della storia, quello con un altro compianto, “Ravishing” Rick Rude.

E poi aveva spodestato The Immortal dal cuore dei tifosi. Una cosa impensabile. Però, lo abbiamo detto, era pazzo. Lo è stato fin quasi alla fine: nel business, dove chiedeva sempre più soldi ovunque e dove nei backstage passava per un campione col quale era impossibile lottare perché lui stesso te lo rendeva difficile mostrando scarsa professionalità; fuori, con le sue dichiarazioni razziste e omofobiche, le parole pesanti dette nelle più disparate università americane, i deliri di onnipotenza da guerriero – cambiò legalmente il suo nome in Warrior Warrior (con ripercussioni anche sui figli, Indiana Marin Warrior e Mattigan Twain Warrior) – che sono ben cose ben note a tutti gli appassionati.

Però pazzo lo è stato solo fino quasi alla fine, non del tutto. Un po' di ravvedimento alla fine lo aveva mostrato. Tanto da ritornare alla corte di Vince Mc Mahon, con l'ingresso nella Hall Of Fame e un contratto da leggenda della WWE.

Io, come tutti coloro che lo conoscono credo, mi sono commosso quando l'ho visto alla cerimonia di ingresso nella HOF della federazione di Stamford. Ed era commosso anche lui. Rivederlo li è stato bellissimo. E' stato un fiorire pazzesco di ricordi. Ricordi di un guerriero che ci ha fatto sognare e che poi, pazzo, si è autodistrutto, come fece notare la WWE stessa qualche anno fa con un celebre dvd.

Ma prima di morire il guerriero ha voluto rinsavire. E' tornato da noi. Come se si stesse sentendo di essere arrivato alla sua ultima chance. L'ultima chance di ringraziare coloro che lo hanno fatto diventare The Ultimate Warrior. E con le lacrime agli occhi siamo noi, oggi, a ringraziare lui. Buon viaggio, Warrior.

Booya!

Niccolò Bagnoli

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