You’re Next #169

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“It's now time for the Royal Rumble!”… Queste parole, secondo me, rappresentano l'essenza del wrestling business. Ogni anno mi sento di doverlo ripetere: non c'è Wrestlemania, non ci sono stipulazioni speciali, non ci sono match in generale che tengano dinanzi al fascino della Royal Rumble.


E ogni qual volta “The Fink” Howard Finkel la introduce, ricordando successivamente le regole, beh, anche se è sempre la solita solfa e le leggi che vigono nella Rissa Reale sono ormai radicate dentro ogni singolo fan di wrestling che può ritenersi degno di questa accezione, un brivido percorre la schiena.

Quest'anno la Royal Rumble diventa a 40 uomini. Un cambiamento epocale. Non fu lo stesso quando dopo la prima edizione, quella del 1988 vinta da “Hacksaw” Jim Duggan, l'anno successivo si passò a 30 uomini. La Rumble ancora era una sperimentazione, la title shot a Wrestlemania in caso di vittoria era nemmeno un'idea, insomma nessuno si sarebbe mai immaginato all'epoca che questo caos consentito con 30 uomini sul ring a cercare di buttar giù l'avversario dalla corda più alta sarebbe diventato il momento più emozionale di tutta la stagione.

E invece è andata proprio così: si è passati dalla vittoria di Duggan (l'ho detto che era ancora una sperimentazione…) ai domini targati Hulk Hogan, Shawn Michaels e “Stone Cold” Steve Austin, per arrivare al grande trionfo di Chris Benoit (una delle edizioni più belle di sempre), al miracolo tanto tale quanto inaccettabile della vittoria di Rey Mysterio, al successo di un Undertaker che ha impiegato quindici anni per vincerla e a quello di un John Cena che tutti davano ancora a casa in panciolle davanti alla tv quando invece nell'arena di New York City risuonò la sua inconfondibile theme.

Senza dimenticare, doverosamente, la più bella di tutte: Royal Rumble 1992, Knickerbocker Arena di Albany, capitale dello stato di New York, titolo mondiale dell'allora WWF in palio, vittoria epica di Ric Flair che, entrato con il numero 3, resiste per tutto il match e alla fine conquista Rissa e Winged Eagle sfruttando la neonata incomprensione tra Hulk Hogan e Sid Justice.

Tutto questo è la Royal Rumble, uno spettacolo pirotecnico, maestoso, capace di tenerti incollato alla televisione come nient'altro nel nostro business riesce a fare.

Impiegata buona parte del pezzo sulla Rumble, come è giusto che sia, voglio fare brevemente un volo su due personaggi, uno in azione e uno ai box per infortunio, che non stanno riscuotendo quanto probabilmente meritano: sto parlando di Drew McIntyre e Christian.

La piega che sta prendendo la carriera dello scozzese a Smackdown non piace per niente. Se ripercorriamo le sue gesta all'interno della WWE sin dal suo vero debutto, datato fine estate 2009 (sul finire del 2007, da perfetto sconosciuto, era stato protagonista di un minifeud a SD con Dave Taylor contro i Major Brothers), McIntyre era da considerare un predestinato.

Intanto fisico e carisma sono dalla sua parte. La faccia da heel attira-schiaffi è certamente un qualcosa che non gli manca. L'esordio è col botto, e in capo a due mesi e mezzo, dopo aver già messo in cascina una partecipazione ad un PPV importante come Survivor Series (fa parte del Team Miz che batte il Team Morrison, e lui è uno dei sopravvissuti assieme al capitano ed a Sheamus), si laurea campione intercontinentale.

Detiene la cintura per oltre cinque mesi, nelle storyline diventa un protetto di Vince McMahon, un intoccabile; perde la cintura, ma poco dopo si rifà conquistando con Cody Rhodes i titoli di coppia. Questo regno però non dura nemmeno 40 giorni, e la strana coppia John Cena e David Otunga li scippa delle cinture.

Da quel momento, e siamo a fine ottobre, il buio. Drew McIntyre, uno dei giovani più promettenti nonché uno dei favoriti del boss, per di più in un periodo felice per le forze fresche della compagnia tra The Miz, Morrison, The Nexus, The Corre, senza contare i leader di ora Cena e Orton, pure giovanissimi ma che senza le vecchie glorie trainano la carretta, da tre mesi è un mid-carder: vince un match sì ed uno no, ed è invischiato in un angle patetico con Kelly Kelly che cerca di farlo ravvedere sul suo non sapere controllarsi.

Spero che dietro tutto ciò ci sia un fattaccio accaduto nel backstage e passato sotto silenzio, perché altrimenti sprecare un talento del genere sarebbe un suicidio.

Lo stesso discorso vale per Christian, e qui sarò molto più breve. Un ex booker della WWE, tale Piermarini, ha recentemente confessato che Captain Charisma da chi siede nella stanza dei bottoni di Stamford non è considerato un main eventer, e che non arriverà mai ad alcun traguardo importante.

Ora, non avevamo bisogno dello sfogo di Piermarini per avere la conferma di tutto ciò. Tuttavia anche questo è uno sprecare un personaggio: Christian ha carisma, tecnica, seguito, e agisce bene da heel come da face, grazie ad una mic skill che compete con quella di chiunque altro. Era un potenziale Jericho, un potenziale Edge.

Resterà semplicemente Christian. O un altro talento sprecato, decidete voi come chiamarlo.

Booya!

Scritto da Niccolò Bagnoli
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