You’re Next #149

E così siamo giunti all'epilogo, la ECW cessa definitivamente di esistere. Inutile negarlo, e non può farlo certo il sottoscritto, redattore di questo editoriale, che ha seguito il brand hardcore della WWE in qualità di reporter dalla nascita a tre puntate dalla fine: non è servito a niente.


La WWE non ha mai creduto veramente in questo progetto, e se lo ha fatto ha commesso errori madornali che hanno portato al lassismo completo nei confronti del prodotto (esempio lampante di ciò può essere il PPV December To Dismember, assolutamente da dimenticare). Qualcosa di buono la si può anche rintracciare, come le vetrine concesse a Evan Bourne e Jack Swagger, che però ora a Raw faticano ad ingranare, ed il rilancio di Christian, assoluto protagonista ed unica vera luce dell'ultima stagione di vita della ECW.

Fondamentalmente però la rinascita, durata quasi quattro anni, del marchio che fu di Tod Gordon e Paul Heyman è servita a dare una vetrina agli eterni incompiuti (vedi Kane, Mark Henry e Matt Hardy), a mettere un po' più di pepe in situazioni già di per sé ricche di significato (leggi il feud tra Vince McMahon e Bobby Lashley, che non aveva bisogno della ECW come pretesto per verificarsi) e a preparare nuovi talenti da lanciare a Raw o a Smackdown, e anche in questo non è andata benissimo, ripetendo che Bourne e Swagger stanno nel limbo, che CM Punk e John Morrison godevano di luce propria già prima di diventare campioni ECW, e che mille altri esperimenti (Vladimir Kozlov, Caylen Croft & Trent Barreta, Tyler Reks, DJ Gabriel, Paul Burchill, e in parte anche Yoshi Tatsu e Vance Archer) non sono riusciti.

Cosa ci resta? Un Christian tirato a lucido e carico a mille, una coppia che al 99,99% (Goldust & Tatsu) non vincerà gli Undisputed Tag Team Titles, una manciata di lottatori da ridistribuire tra lo show rosso, quello blu e forse il nascituro NXT, e perché no, un Ezekiel Jackson ultimo campione del brand, che varrebbe come i cinque regni di Booker T o quello di Scott Steiner da campione mondiale WCW nell'ultimo anno di vita della compagnia di Ted Turner.

Fatta questa doverosa premessa sulla chiusura della ECW, tuffiamoci in quello che è uno degli appuntamenti tradizionali di You're Next!, ovvero la Hall Of Fame della WWE. Come ogni anno, di volta in volta che vengono ufficializzati gli ingressi nell'Arca della Gloria della promotion di Stamford, ripercorriamo brevemente le carriere dei chiamati in causa per capire se effettivamente c'è del merito o meno per la loro introduzione tra gli immortali del wrestling.

Lunedì scorso a Raw, dopo la ancora poco chiara pastetta riguardante l'ingresso nella HOF del padre di Bret “The Hitman” Hart, Stu, è stato ufficializzato il primo vero nome: “The Million Dollar Man” Ted DiBiase. Un lottatore, un personaggio, che non può mancare. Grande protagonista nella NWA negli anni '70 e detentore del WWF North-American Title nel 1979 (antesignano del titolo intercontinentale), DiBiase è stato uno dei lottatori di punta della WWE degli anni '80, anche se il suo palmares non rende merito alla straordinaria carriera portata avanti a Stamford. DiBiase nella seconda metà degli anni '80 era il “quarto”, dopo Hulk Hogan, “Macho Man” Randy Savage e Ultimate Warrior, e solo per questo non ha mai vinto quel titolo mondiale che pure avrebbe meritato. E a dir la verità per qualche ora fu virtualmente campione mondiale WWF: a Wrestlemania IV infatti il booking team aveva deciso di consegnare a lui la cintura vacante, ma le bizze di Randy Savage nel backstage costrinsero i vertici a cambiare decisione, promettendo a DiBiase la vittoria del massimo alloro in un secondo momento; nel main event del Grand Daddy Of'em All dunque Macho Man sconfisse DiBiase, che poi quel titolo non lo vide mai più. Un peccato, anche se tra il '92 ed il '93 si consolò con la vittoria di tre titoli di coppia, che allora contavano qualcosa, nei Money Inc. con IRS. Adesso arriva l'ingresso nella Hall Of Fame della WWE. Meritato, pollice alto per “The Million Dollar Man” Ted DiBiase.

Secondo nome dato per certo (la WWE non lo ha ancora ufficializzato, ma ci ha pensato direttamente lui stesso in una conferenza stampa in Giappone), è quello di Antonio Inoki. Leggenda giapponese, Inoki rappresenta IL wrestling nel Sol Levante: scoperto da Rikidozan, ha fatto la fortuna della New Japan Pro Wrestling, è stato campione IWGP, è emigrato con successo negli Stati Uniti sia nella NWA, dove ha conquistato molteplici cinture, che nella WWF, dove vinse due volte il World Martial Arts Title, cintura che venne creata in pratica per lui e che sparì poco dopo, ed una volta, anche se per alcune controversie il passaggio non è mai stato ufficializzato, anche il titolo mondiale. Un simbolo per tutti coloro che mangiano pane e wrestling. Un uomo che non può mancare nella Hall Of Fame della WWE.

Booya!

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