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Wrestlemania 25 si avvicina a grandi passi, e come è tradizione da qualche anno a questa parte con lo Showcase Of The Immortals va a braccetto la cerimonia della Hall Of Fame della WWE; ventiquattro ore prima del PPV del Reliant Stadium di Houston, in Texas, un manipolo di leggende più o meno legate alla federazione di Stamford entrerà nel suo Olimpo, al fianco di calibri come Andre The Giant, Hulk Hogan e Bret “The Hitman” Hart.


Fino a questo momento sono quattro le persone il cui ingresso è stato annunciato, e tutte meritano di essere conosciute anche da chi ha avvicinato da poco la nostra amata disciplina. Ecco l'obiettivo dell'odierno editoriale, ed iniziamo con l'ultimo nome ufficializzato, e forse al momento anche il meno conosciuto: “Cowboy” Bill Watts.

Nato nel maggio del 1939 a Bixby, in Oklahoma, Watts rappresenta un nome di spicco degli anni ‘60 e '70, pur privo di titoli di grande rilievo nel suo palmares. Ex giocatore di football dei Minnesota Vikings (franchigia allora parte della AFL, che poi si fuse con la NFL nel 1970; lasciò quando la dirigenza dei Vikings voleva imporgli di ridurre gli impegni sul ring), Watts ha legato la sua carriera all'allora WWWF, l'antesignana della WWE, dove vinse i titoli di coppia US assieme a Gorilla Monsoon nel '65 e dove fu uno dei principali avversari del campione mondiale Bruno Sammartino, ed alla Mid-South Wrestling, poi divenuta Universal Wrestling Federation, una delle più grandi federazioni indipendenti della storia (operava esclusivamente in Oklahoma, Arkansas, Louisiana, Mississippi, Eastern Texas e Southern Missouri), creata e gestita da lui.

Lottatore importante anche nella NWA e nella AWA, Watts è forse il detentore di un primato non certo disgraziato, ma comunque poco invidiabile: è forse l'unico ad aver sfidato con regolarità i campioni mondiali delle tre compagnie più importanti della sua epoca (Bruno Sammartino nell'allora WWWF, Verne Gagne nella AWA e Gene Kiniski) senza vincere neppure uno dei massimi allori. Il suo palmares comunque è di tutto rispetto, vista la miriade di cinture conquistate nell'orbita della NWA. Si può dire con certezza che se Bill Watts fosse ora al top della carriera, in un epoca dove la principale federazione del globo ha tre titoli mondiali, i quali in media passano di mano ogni tre mesi, sarebbe al livello dei migliori. Per quanto poi fatto non solo come wrestler, ma soprattutto come animatore della Mid-South Wrestling, il suo ingresso nella Hall Of Fame della WWE appare sacrosanto.

Altro nome per la classe '09 dell'Arca della Gloria della WWE è quello di Ricky “The Dragon” Steamboat. 56 anni compiuti pochi giorni fa, Steamboat senza ombra di dubbio è uno dei più grandi lottatori tecnici ad aver calcato i ring delle principali federazioni di sempre, ed a dimostrarlo c'è uno di quei match che spesso è citato tra i più belli e spettacolari di ogni epoca: quello valido per il titolo intercontinentale da lui vinto a Wrestlemania III contro “Macho Man” Randy Savage; guardare per credere. A margine di questa nota poi, per capire la grandezza del lottatore d'origine hawaiana, ci sono venticinque titoli conquistati lottando contro i più grandi (uno su tutti, Ric Flair: le loro contese si studiano nelle scuole di wrestling): tra essi svettano appunto quello intercontinentale della WWE, un mondiale NWA (conquistato contro il Nature Boy nel '89), e due di coppia, due TV ed uno US della WCW. Tutto ciò fa da contorno ad una carriera mai vissuta sopra le righe, anzi, con un po' di cattiveria in più da parte sua, sarebbe stato forse ancor più grande e con una bacheca più carica di successi. Meritevole di HOF al 110%.

Due fratelli poi guadagnano l'ingresso nell'Olimpo della WWE: i Funk, Dory e Terry, che imperversano nel business da quasi cinquanta anni. Figli d'arte (il padre Dory Sr. fu un buon lottatore del circuito NWA tra gli anni '40 ed i '70, dove conquistò molte cinture e toccò il top con il titolo mondiale Junior Heavyweight), vi chiederete perché entrambi, e non uno sì e l'altro no? Presto detto.

Dory, come il padre, è stato un'icona del circuito NWA in generale, e in più ha conquistato in carriera il prestigioso titolo mondiale della compagnia, nel '69 battendo Gene Kiniski, mantenendolo per quattro anni e dandogli maggior prestigio grazie ad una serie di difese che definire epiche sarebbe riduttivo. Tra il '69 ed il '70 infatti Dory affrontò in due occasioni Antonio Inoki ed in una Giant Baba, addirittura due di questi tre match in serate consecutive; ebbene, tutte e tre le contese, valide per la corona, terminarono in pareggio dopo un'ora di battaglia. Roba davvero d'altri tempi, da pelle d'oca. Dory ha sempre rappresentato una risorsa per il wrestling business, basti pensare al fatto che ha combattuto fino alla tenera età di 67 anni (si è ritirato giusto un anno fa), e all'energia che spende nella sua BANG!, indy statunitense tra le migliori.

Per quanto riguarda Terry invece, più giovane ma forse più conosciuto, basta una parola: hardcore. Terry è stato il pioniere di uno stile di lotta impressionante, ed è incredibile vedere come è in grado di immolarsi ancora sul ring nonostante anni e anni di sangue versato. Con Mick Foley rappresenta un simbolo per il wrestling ad alto rischio, e per capirlo basta andare a guardare il King Of Death Match Tournament della IWA del '95: roba da palati fini… Ha conquistato anch'egli il titolo mondiale NWA, è stato uno dei più grandi nomi della vecchia ECW, ove si laureò in due occasioni campione del mondo, ha conquistato titoli anche nella WWE (in tag team proprio con Mick Foley) e nella WCW (due Hardcore ed uno US). Entrambi infine sono i due principali promotori dell'intera scena nel loro stato, il Texas, dove guarda caso quest'anno si svolge Wrestlemania. Un motivo in più per giustificare il loro inserimento nella Hall Of Fame.

In chiusura, anche se è stato il primo nome annunciato, c'è lui, uno dei più grandi di ogni epoca: “Stone Cold” Steve Austin. Difficile non conoscerlo, ma per coloro che magari si sono avvicinati al wrestling da poco, facciamo un po' di luce. Nato nel '64, Austin passa i primi anni della carriera tra WCW e ECW, vincendo qualche titolo minore (due TV e US ed uno di coppia con Brian Pillman nella promotion di Atlanta) e senza mai convincere del tutto, anche se nella federazione hardcore la gimmick dell'imitatore era esilarante.

Passa poi alla WWE, dove esordisce come un protetto di “The Million Dollar Man” Ted DiBiase, e la leggenda piano piano inizia a prendere corpo. Dal King Of The Ring conquistato nel giugno '96 è un'ascesa continua. La WWE cambia forma e target, nasce l'era Attitude, e lui ne è l'assoluto protagonista. Stile brawl e linguaggio volgare, Stone Cold diventa il simbolo della compagnia: il feud con Undertaker fa discutere; quelli con The Rock fanno appassionare; quello con Bret “Hart” ha un epilogo quasi strappa-lacrime, quello con Vince McMahon, beh, fa semplicemente storia. Poco a poco il Texas Rattlesnake conquista due titoli intercontinentali, quattro in tag team (con nell'ordine Shawn Michaels, Dude Love, Undertaker e Triple H), sei mondiali e la vittoria, primato ancora imbattuto e forse tra gli imbattibili, in ben tre Royal Rumble. Wrestlemania XIV, XV e XVI portano la sua indelebile firma. Wrestlemania XIX poi, il congedo definitivo dal ring in quella fantastica contesa contro The Rock, per altro persa, è indimenticabile.

Forse l'unico il cui risuonare di theme, anticipato dall'infrangersi dei vetri, fa saltare i fan dalle sedie come succede con Hulk Hogan. E scusatemi se è poco…

Booya!

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