The Pedigree #363 – QUIS CUSTODIET IPSOS CUSTODES?

Come forse avrete letto in newsboard, un recente caso di cronaca nera potrebbe mettere a rischio il proseguimento della storyline che vede protagonista Randy Orton, o almeno quella parte di storyline che lo vede affetto da un disturbo psichico che non solo gli provoca improvvisi scatti d'ira, ma che – in quanto persona afflitta da problemi – gli garantisce anche l'immunità per le azioni compiute. IED (Intermittent Explosive Disorder), questo il nome del problema, e questa anche la giustificazione utilizzata da Orton per proteggersi le spalle dopo il viscido attacco a Vince McMahon qualche settimana fa.
La cronaca, invece, ci riporta il caso di un uomo che, in preda ad un attacco, ha prima ucciso moglie e figlio, e poi si è tolto al vita. Storia tristemente analoga ad una che ha gettato profonde ombre sul mondo del wrestling, e storia che indubbiamente sposta l'equilibrio tra wrestling e “realtà” verso una direzione scomoda.


Questa vicenda, dunque, riporta in auge un problema mai perfettamente risolto che da sempre coinvolge il mondo del wrestling, ovvero quale dovrebbe essere (sempre che ci sia) il limite tra la finzione televisiva ed il mondo esterno, quello dove le cose accadono per davvero e dove, almeno sulla carta, non è sfidandosi su un ring a suon di cazzotti che si dovrebbe giungere alla risoluzione di un problema.

Caso analogo è, senza andare troppo indietro nel tempo, quello che ha visto coinvolti Shawn Michaels, JBL e la crisi economica, con il primo ridotto sul lastrico ed il secondo, magnate della finanza, pronto a finanziarlo in cambio di preziosi servigi. Tutto questo senza dimenticare i recenti fatti privati della turbolenta vita di Jeff Hardy, trasportati poi su schermo nelle scorse settimane, nell'innegabile speranza che il mischiare verità e finzione spingesse l'acceleratore sul lato più morboso dei fan.
E, giusto per completare la lista, il caso forse maggiormente significativo di questa breve lista è e deve essere quello di Muhammad Hassan (al secolo Mark Copani), l'arabo-americano che la WWE inserì nei propri programmi sfruttando la situazione sociale venutasi a creare dopo l'undici settembre. L'idea alla base, quella di avere uno statunitense di origini arabe che si batteva contro le discriminazioni generalizzate verso la propria razza dopo l'attacco terroristico poteva anche, lontanamente, avere senso. L'aver però introdotto in un programma di puro e semplice intrattenimento un evento di tale e tragica portata, ancora oggi per niente superato, spinse parecchie persone a storcere il naso, tanto che a poco valsero le spiegazioni (copiose) che la WWE diede sulla sua scelta. Alla fine, per intercessione diretta del network, Hassan venne “eliminato” da Undertaker, Copani venne licenziato e di lui non si seppe più nulla. Tipo voi perdonateci per questa cosa, e noi non ne parleremo mai più.

Se ne evince, quindi, quanto sia difficile stabilire su quali territori può muoversi il wrestling.
Da un lato, per attirare spettatori, il wrestling deve fare leva su determinati bottoni “emotivi”, su particolari vicende che non lascino lo spettatore del tutto indifferente (Orton vs. Shane, recentissimo, ne è un perfetto esempio). Dall'altro, però, considerato che il wrestling dovrebbe offrire un paio d'ore di svago a chi lo guarda, non si dovrebbe calcare troppo la mano su eventi che, in chi sta guardando, riportano alla mente quello che invece si sta cercando di dimenticare.
Non a caso, così, HBK vs. JBL è stato un mezzo fiasco, visto che nessuno (dopo essere stato bombardato per l'intera giornata con notizie sempre più pessimistiche sulla crisi) aveva voglia di trovarsi il problema davanti anche laddove si andava cercando un po' di divertimento.

Personalmente, in tutti questi anni, non ho mai fatto mistero di gradire poco quando il wrestling scade in becera maniera nei drammi reali, con il solo scopo di far parlare di se (possibilmente organi esterni ai siti o alle riviste specializzate) nella speranza di alzare leggermente gli ascolti. Così era stato per il matrimonio gay tra Billy e Chuck, e così era stato per la “finta morte” di Vince McMahon, eventi che avevano incuriosito i media e che, alla fine, si erano risolti in una bolla di sapone tanto grande da avere un effetto opposto a quello desiderato: la WWE aveva rimediato due incredibili figuracce e ne era uscita più debole di prima.
Ho speso parole di critica per i recenti avvenimenti della vita televisiva di Vince McMahon, così come non ho mai smesso di criticare il modo in cui la WWE ha sfruttato la tragica scomparsa di Eddie Guerrero per lanciare Rey Mysterio, idolo dei più giovani tramite il quale parecchi dollari sono entrati in merchandising. Perché se si voleva pushare il folletto di San Diego di maniere ce n'erano a miliardi. Farlo utilizzando la morte di un tuo dipendente, però, è semplicemente ingiustificabile.

Detto questo, però, ritengo che serva procedere sempre con i piedi di piombo prima di indignarsi, o di gridare allo scandalo. Specialmente quando, per quanto si possa trattare di una rarità, la WWE ha agito in buona fede e, suo malgrado, si trova ora in una situazione all'apparenza spinosa.

L'idea della malattia di Orton, lo specifico subito, è perfetta.
Perché non solo cementifica l'immagine bastarda di Orton, ma rendendolo impunibile lo trasforma automaticamente in una scheggia impazzita, una bomba a tempo che si aggira nei meandri di Raw in attesa di detonare, e vista l'importanza assunta da Orton nell'economia generale dello show del lunedì sera non ci potrebbe essere niente di meglio che un lottatore capace di tutto e, per questo, assolutamente giustificato.
E, inoltre, non è da un fatto di cronaca (per di più tragico come questo) che nasce l'idea della WWE. Una coincidenza, se si vuole sfortunata, accomuna ancora una volta il wrestling e la realtà, ma visto che per una volta non c'è malizia dietro la scelta della WWE, troverei solo che deleterio andarla volutamente a cercare.

Non credo, o per lo meno fino ad ora non se ne è parlato, che sia intenzione della WWE quella di cancellare, o quanto meno risolvere, il “problema” di Orton per evitare critiche che, specialmente ora che le cose stanno iniziando a funzionare piuttosto bene, rischierebbero di gettare cattiva luce sulla compagnia. Mi auguro comunque che, indipendentemente dalla tempistica, questo non accada mai, se non per fini puramente inerenti al wrestling.
Perché, come si diceva prima, la WWE deve comunque attingere (seppur con saggezza) dalla realtà dei fatti per le proprie rivalità. Deve saper emozionare il pubblico non solo con i match, ma anche con le parole e tutto quello che ruota attorno agli incontri prestabiliti, e difficilmente potrà farlo lavorando solo di pura fantasia.
Con questo in mente, però, non si può dimenticare che, per un motivo o per l'altro, al mondo ci sarà sempre qualcuno che soffre. Ci sarà sempre qualcuno che sta male, qualcuno che cade in miseria e qualcuno che compie gesti scandalosi. E, di certo, non è compito del wrestling andare in soccorso di queste persone (per quanto la WWE, suo merito, sia da anni ormai impegnata nel sociale e nella beneficenza).

Perdonate il cinismo, che pur poco mi appartiene, ma alla fine esiste un limite tra wrestling e realtà.
E' un limite che il wrestling supera quando sfrutta, invece che trarre spunto. E' un limite che il wrestling supera quando fa leva, invece che sulla curiosità, sull'aspetto voyeuristico dei suoi spettatori, attratti a volte in maniera preoccupante da disgrazie possibili (si veda Jeff Hardy) più che dall'aspetto ludico del business. E' un limite che il wrestling supera quando, facendosi stancamente scudo con puerili scuse, butta nella mischia situazioni e personaggi che chiaramente vogliono solo suscitare scalpore.

Ma è un limite che, in questo caso specifico, il wrestling non ha superato.
E se ogni qual volta si troverà un'attinenza, pur macabra, tra business e realtà la WWE dovrà preoccuparsi delle reazioni esterne, allora forse le converrebbe chiudere subito baracca e burattini.
Perché non ne vieni più fuori, da questo tipo di circoli viziosi.

For now The Game's over, a martedì prossimo.

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