The Pedigree #322 – ENGLISH THRONE

The Pedigree

Io, certe scelte, proprio non le capisco.
E no, non mi riferisco al voler inserire a tutti i costi all'interno di uno show di wrestling McCain, Obama e la Clinton, che non solo non interessano a nessuno spettatore al di fuori degli Stati Uniti ma che, secondo me, data la gigantesca campagna politica che i tre stanno mettendo in piedi in questi mesi poco interessano anche ad un cittadino d'America (che, al di là del rinomato patriottismo, forse ne avrà anche un po' le palle piene di ‘sti tizi…).


Faccio riferimento, invece, alla “nuova” edizione del King Of The Ring, storico torneo andato in onda durante l'ultima puntata di Raw e che ha visto primeggiare, sopra avversari di ben altro calibro, William Regal.
Epperò, William Regal…

Ora, io sono sempre stato un forte sostenitore di questo torneo. Ed i motivi sono piuttosto semplici.
Se c'è infatti una cosa che la WWE ha ampiamente dimostrato negli ultimi anni, è che fa una fatica immonda a lanciare e ad imporre nuovi e più giovani wrestler alle masse. Vuoi per scarsità di idee, vuoi per scarsità di talenti, vuoi per giochi politici da backstage dove nessuno vuole perdere il ruolo che si è ritagliato; fatto sta che di tutti i nuovi atleti che ultimamente sono sbarcati a Stamford, praticamente nessuno è riuscito a diventare una stella di discreta grandezza, capace quantomeno di uscire dall'anonimato e distinguersi da tutti i colleghi di pari categoria. Nick “Eugene” Dinsmore, al di là degli abusi di sostanze illecite che tanto caro gli sono costati, aveva una gimmick che puzzava di fallimento lontano un miglio. “Softcore” Cody Rhodes è l'anonimato fatto carne. Carlito, che di talento ne avrebbe, rimbalza da una sponda all'altra delle storyline senza mai riuscire a lasciare il segno. Santino, divertente al microfono, viene trattato come una macchietta e temo che come tale verrà presto cestinato una volta finito il divertimento. La ECW, poi, tra i vari Colin Delaney, Mike Knox e Kevin “100 gimmick, tutte sbagliate” Thorn potrebbe scrivere un intero trattato sul come fallire nel lanciare nuove proposte ai fan.
Ultimo della lista, in ordine di tempo, Paul Burchill. Un po' inglese, un po' pirata, un po' mi piace mia sorella, il buon vecchio Paul (un altro che di talento ne avrebbe a bizzeffe…) tenta per la terza volta di far breccia nel cuore degli spettatori, anche se dall'andazzo sembra che il risultato non sarà poi molto diverso dalle precedenti edizioni.

Il King Of The Ring, all'epoca, serviva invece proprio a questo, a dare subito un bel push ad un lottatore di buone speranze senza doversi troppo scervellare, ottenendo così in una sera un nuovo prospetto su cui lavorare seriamente. E basta guardare l'elenco dei vincitori di questo torneo per rendersi conto di chi è diventato cosa dopo averlo vinto. Austin ed il suo 3:16, Triple H, Kurt Angle, Edge e Brock Lesnar, Bret ed Owen Hart…
Poi, di colpo, la WWE annuncia che il torneo non si sarebbe più fatto. Al suo posto, tanto per non lasciare un buco, l'ennesimo pay-per-view fotocopia, che a volte riesce e a volte fa schifo, e che comunque rispetto ai vari No Mercy, Armageddon e compagnia non ha nulla di diverso, nulla che possa invogliare lo spettatore a comprare proprio quello show tra tutti quelli in calendario.
Noi, meri spettatori, possiamo fare poco, per cui ci adeguiamo alla politica aziendale di Stamford e lasciamo che il King Of The Ring diventi un bel ricordo e poco più. Questo, ovviamente, fino a quando non si decide di riportare in vita la manifestazione a Smackdown, con tanto di vittoria di Booker T, che da quel momento diventa King Booker e diventa uno dei personaggi meglio riusciti degli ultimi anni.

Booker T, però, non è certo l'ultimo arrivato. Anzi, di titoli vinti sulle spalle ne ha come pochi. E comunque avere messo il torneo a Smackdown toglie praticamente tutto il pathos della contesa.
E lo stesso dicasi per questa edizione, svoltasi durante un singolo show (Raw) e terminata, tra l'altro, con la vittoria di William Regal. Che, di essere King Of The Ring, non se ne fa nulla. Che push si può dare a Regal, tecnicamente ineccepibile quanto si vuole ma sempre snobbato dai fan, se non in quel ruolo di General Manager (o, anni addietro, Commissioner), che sembra gli sia stato cucito addosso? Dove mai potrà arrivare Regal, ora che ha questo titolo di cui fregiarsi? Regal, che avrà anche messo in difficoltà il campione del mondo durante lo scorso show ma che è comunque andato giù con una sola mossa, una RKO ben assestata che ha spento qualsiasi suo sogno di rivalsa.
Insomma, che senso ha dare questo titolo ad uno che non se ne fa niente, specialmente quando hai tanti giovani che pagherebbero oro pur di avere una simile chance? MVP, tanto per dire, oppure lo stesso Punk, che dopo aver vinto il Money In The Bank avrebbe potuto giovare di un'ulteriore conferma. O magari quel Kennedy che, come Carlito, rimbalza e rimbalza e rimbalza ma alla fine non arriva mai da nessuna parte.
Ora, per carità, a me Regal piace abbastanza, per quanto non riesca a vedere in lui nulla più di un, magari, campione Intercontinentale (ma già adesso, con Jericho detentore della cintura, parliamo di due universi distanti anni luce). Quello che mi ha lasciato perplesso di questa scelta è stato che, delle due funzioni primarie del King Of The Ring, la prima è stata (per la seconda volta) completamente vanificata. Invece di un giovane si è scelto un veterano, uno che calca quei ring da una vita e che di certo non trarrà enorme giovamento dall'aver vinto questo “titolo”.

Il che, inevitabilmente, ci porta alla seconda questione.
Un tempo, fino al 2002, King Of The Ring era non solo un torneo, ma anche un pay-per-view. Show all'interno del quale, ovviamente, si svolgeva tutta la competizione e che, prima della fine della serata, laureava anche il suo nuovo Re. Come Survivor Series, che un tempo era costruito soltanto di incontri ad eliminazione, oppure come la Rumble, il match caratteristico per eccellenza. King Of The Ring era, insomma, un'idea diversa per un pay-per-view, ed un modo di offrire agli spettatori paganti uno show che valesse qualcosa e che si differenziasse da tutti gli altri. Inoltre, con l'aggiunta della postilla che il vincitore del torneo guadagnava il diritto di sfidare il campione a Summerslam, si era anche ottenuto un ulteriore push per il vincitore, con tra l'altro un bel po' di tempo per costruire una rivalità degna di tal nome.
Adesso, invece, se si tolgono Rumble e Wrestlemania, cosa resta?
Survivor Series, se va bene, di incontri ad eliminazione ne ha uno o due. Summerslam, al di la del mettere uno contro l'altro avversari di un certo calibro, è un pay-per-view come gli altri. C'è la Night Of Champions, dove però vengono messi in palio anche titoli che durante l'anno nessuno ha in nota e che quindi, che passino di mano o restino ai campioni in carica, fa poca differenza. E poi?
Armageddon, Backlash, No Mercy, Unforgiven… Tanti show che, però, di particolare non hanno nulla. Una volta ci sarà il tale match, una volta ce ne sarà un altro, ma è tutto dovuto al caso e mai ad un piano ben congegnato. Se persino One Night Stand si sta omologando a tutto il resto…
Quanto farebbe comodo, allora, riavere nel palinsesto degli show a pagamento il King Of The Ring, esclusivamente dedicato ai giovani in rampa di lancio, che si svolge tutto in una notte e che nell'arco di quella precisa notte lancia un nuovo wrestler verso vette più alte?

Di cattivo, dall'ultimo Raw, ci arriva sia il vincitore del King Of The Ring sia il modo in cui è stato pensato e messo in scena il torneo. Di buono c'è, però, che la tradizione di questo evento sopravvive ancora un altro anno, e dato che per parecchio tempo sembrava destinato a morire del tutto, c'è di che accontentarsi.
Il passo successivo, al quale io sarei assolutamente favorevole, sarebbe quello di riportare il King Of The Ring là dove merita di stare, ed iniziare a dare qualche chance in più ai vari Kennedy che, se si affidano soltanto alle abilità di chi scrive gli show, mi sa che rischiano di restare in eterno fermi al via senza che nessuno gli consenta mai di partire.
Per ora, purtroppo, appare assai difficile che la WWE si spinga fino a questo punto, ma sperare non nuoce.
Dopo tutto, prima o poi, a qualcuno dovrà pur venire in mente che se non si sa cosa fare del tal giovane wrestler che deve guadagnarsi fama e rispetto, ci sarebbe un metodo più divertente che non, d'improvviso, fargli vincere ogni incontro davanti ad un pubblico costantemente indifferente.
Eh, prima o poiÂ…

For now The Game's over, a martedì prossimo.

Scritto da Alessandro Saracca
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