Gorilla Position #22 – Morgan, Theory e tempi di cottura

Gorilla Position

Benvenuti nella cucina di WrestlinChef, oggi vi metteremo alla prova su come si prepara un main eventer gourmet. Gli ingredienti di qualità sono assolutamente importanti, ma non dovete dimenticare i dosaggi. La giusta combinazione valorizza i singoli sapori, mentre un piatto sbilanciato rischia di essere immangiabile. O un mappazzone. E ultimo ma non ultimo, la cosa fondamentale: i tempi di cottura. Se è crudo o troppo cotto, il risultato finale sarà deludente, se non addirittura fallimentare.


Squadra blu, squadra rossa, due ricette per voi: la prima si chiama Liv Morgan. Trae le sue radici nella soddisfazione popolare, è fresca, giovane, ancora immatura, ma in corso di evoluzione. Ha ingredienti apparentemente poveri, ma che messi insieme nel piatto possono creare un entusiasmo gustativo. L’altra è ricca di qualità, è appariscente, bella da vedere e da assaggiare. I dosaggi sono molto delicati, perché si rischia in un secondo di passare dal successo all’idiozia. Porta il nome di Theory, un tempo Austin. Ma di Austin ce ne sono già troppi in circolazione. Motivo per cui Cole, peraltro, si chiama Adam a dispetto del nome di battesimo (Austin Jenkins). Ma questa è un’altra storia.

Preparerete i vostri piatti a Money in The Bank, non sono ammessi errori.

E così, Money in The Bank arriva e per la squadra blu è tempo di alzare la cloche e scoprire cosa penseranno gli chef su Liv Morgan. Un piatto onesto, ben cucinato, con il giusto impatto emotivo, ma forse un po’ lungo nella cottura. Si è superato il momento preciso in cui valorizzare la ricetta, si è atteso quel tanto di troppo da renderla fuori focus. Succede anche in altre cucine dopotutto, leggasi Thunder Rosa. Il pubblico ha apprezzato la portata, non v’è dubbio alcuno. La miglior reazione di tutto l’evento tra valigetta, gestita in modo ottimo, con tanto di finale anche abbastanza difficile ma perfettamente riuscito. Con Morgan che si dà la spinta sulle corde per rimanere sulla scala e togliere di torno la rivale più accreditata, Becky Lynch. Valigetta, e successivo repentino incasso dopo qualche attimo di riflessione nel backstage.

Ecco questa seconda fase è stata un po’ più delicata. In cucina, abbiamo registrato dei problemi contingenti legati forse a un infortunio. Ma anche l’impiattamento ha risentito di qualche distrazione di troppo. Una valigetta usata su avversaria menomata che porta a un roll-up senza nemmeno una mossa o un’azione degna di nota. Un po’ pochino per valorizzare un momento importante e denso di significato emozionale. Tanto più che, per l’appunto, si continua a far leva solo su questo aspetto, con promo un po’ bislacchi e senza una direzione precisa sul futuro. Quello che stiamo assaggiando è un piatto che ha avuto una lunga e discretamente meticolosa lavorazione, ma che si è perso per strada cammin facendo. E ora che dobbiamo servirlo, sentiamo chiaramente che manca qualcosa.

Liv Morgan è una ricetta di cui non sentiremo mai parlare in ristoranti stellati. Una portata che potrà andare bene per qualche cena occasionale con amici di medio/corto corso. Per fare comunque bella figura in un momento in cui non si sa bene cosa cucinare. Ma non è un piatto vincente nel lungo periodo, per quanto visto finora, a meno che non si riesca a impreziosirne meglio le qualità. In fondo, è sempre una questione di narrazione. Senza un senso non c’è sapore. In ogni caso, squadra blu: buon lavoro. Liv Morgan a Money in The Bank ha avuto il giusto risalto anche agli occhi del pubblico.

Passiamo a voi, squadra rossa, parliamo di Theory. Ripercorriamo la preparazione del piatto: siamo partiti da una gimmick discutibile, quel trash-comedy fatto di selfie, faccette e mossette senza troppo contenuto. Al tempo stesso, nessuno ha avuto (e ha) dubbi sul fatto che qui ci sia un potenziale notevole. Si sono scomodati paragoni illustri a livello di costruzione. John Cena, Randy Orton, i due con le stimmate del talento generazionale della storia moderno-contemporanea della WWE. Theory in PPV ha una storia fatta di bassi più che di alti. L’unico successo pre-MITB è relativo a Hell in a Cell contro il grande e irreprensibile Mustafa Alì. Oltre al mappazzone di Survivor Series 2021.

Quindi, una costruzione priva di grandi picchi, basata tutta sulla protezione di paparino Vince su quello che viene unanimemente riconosciuto come un patrimonio del mondo wrestling. Poi arriva il titolo US, la musica inizia parzialmente a cambiare. Si mette un mattoncino in più, lo si porta più avanti. Ma non ci sono, ancora, contenuti. Non c’è faida, né avversario. E appena il primo grande nome si palesa, arriviamo a Money in The Bank e alla sconfitta, pulitissima. Una narrazione che stava nascendo e che viene interrotta prima ancora di iniziarne a sentire il profumino. Si dev’essere spento il fornello mentre il piatto era in cottura, perché la il tutto è risultato scialbo, monocorde, forzato. Ingredienti di primo livello, impiattamento da grande ristorante, ma al palato è insipido, vuoto, banale.

E su questi presupposti si cerca di servirlo ai clienti VIP? Gli diamo una valigetta in un contesto del genere? Well, per me è no. E non è accettabile, dal mio punto di vista, dire ok, ora ce l’ha, vediamo come lo costruiscono. No, perché così si ribalta il rapporto tra costruzione e obiettivo. Non parto dall’obiettivo e poi vado all’indietro. Posso farlo su una storia, creo lo swerve e poi te lo spiego, non su un personaggio. Che viceversa ha bisogno di tessuto narrativo, di preparare il terreno per tutte le sue conquiste. Cena ebbe un imprinting a suon di Kurt Angle, ebbe rivalità intermedie da PPV con gente come Undertaker, finì nel mezzo del feud Angle-Lesnar a Survivor Series. Insomma, ci abituarono a pensare che John Cena fosse materiale da main eventing. Che fosse un piatto gourmet.

Dosarono bene amore e crudeltà, dandogli un titolo solamente a maturazione completata. Perché altrimenti nessuna pietà. E fu un titolo secondario (US), anche lì con la dovuta gestazione prima di fare un altro step nella crescita. Orton, di cui abbiamo già diffusamente parlato, ha avuto il tutoraggio di gente come Triple H e Ric Flair, regno intercontinentale da protagonista, faida con The Rock e Foley. Anche qui, apprendimento, educazione al pubblico circa il valore reale e percepito, passettino con cintura minore e feud importanti. E poi la storia. Il titolo più importante di tutti come risultato di una narrazione. Non come grazia ricevuta e immotivata. Be a man, gli disse Chris Benoit.

Lo stesso dicasi di Miz, personaggio più simile all’attuale Theory rispetto ai due di cui sopra. Anche l’Awesome One passò per un cursus honorum fatto di titoli minori, talk show e feud in varie parti della card, prima di vincere MITB e titolo. La vittoria di Theory è una grande ingiustizia, è il voler come al solito cercare un effetto sorpresa peraltro rovinandolo con un annuncio anticipato. Un nuovo tentativo di ficcarci in gola qualcosa che ancora non abbiamo avuto il tempo di conoscere. E che magari ci piacerà anche, ma con calma, in maniera logica, consequenziale. Squadra rossa, il vostro piatto è inconcludente. Una combinazione malriuscita di ingredienti potenzialmente ottimi ma che eseguiti in questo modo sono affrettati, poco cotti, duri da recepire.

Tanto più che di storie da raccontare nel MITB maschile ce n’erano tantissime. E ha vinto l’intruso. C’era Zayn e il suo tentativo di interagire con la Bloodline. McIntyre sempre in perenne ricerca di nuova legittimazione. Sheamus perennemente alla ricerca di primeggiare rispetto al rivale del Regno Unito. Seth Rollins, per cui basta semplicemente aprire gli almanacchi per attingere a capitoli interi di meraviglia. E Riddle, il perfetto vincitore, colui che dopo un match più che valido contro il campione dei campioni è impossibilitato a nuove title shot. Nella maniera standard, ma what if prendo la valigetta? L’intreccio era facile, servito.

E invece si è scelta una modalità di cottura completamente non pertinente. Fuori dalla ricetta. Persino il tanto bistrattato Omos ha fatto più di Theory nel MITB. E non c’entra nulla che sia heel, finiamola con la corbelleria per cui a un heel tutto può essere concesso e se lo odio tanto è heel. No. Il wrestling è pieno di heel che sono diventati tali perché costruiti. Perché la malvagità va raccontata e si basa, ancor più che la bontà, sugli obiettivi e le modalità per raggiungerli. Anche l’odio va conquistato. Sennò è indifferenza o, meglio, insofferenza. Che è quella che per inciso accoglie Theory ora.

Per cui la reazione si palesa nel “Ma tanto non incasserà su Reigns”, “Ma tanto ha un anno”, “Non lo farà ora”. Perché? Perché è palesemente non pronto. E anche una vittoria di rapina non risulterebbe minimamente credibile. Quindi perché fare tutto questo subito? Perché non lasciarlo crescere all’ombra di faide già potenzialmente pronte e scritte? E solo allora, una volta finemente lavorato, costruire un giorno, un mese o un anno di valigetta contro i big.

Ribadiamo, il potenziale è e rimane enorme. Basta solo dargli il giusto tempo di cottura. Ma questo errore pesa, sbagliare nuovamente con l’incasso rischia di essere tombale. Voglio essere positivo, non credo che la WWE manderà alle ortiche il personaggio di Theory. Tuttavia, squadra rossa, questo per voi sarà un vero e proprio pressure test.

Scritto da Andrea Samele
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