Gorilla Position #36 – Bloodline vs MJF & Adam Cole

No, non è un dream match in the making. Anche se non sarebbe male affatto un bel crossover tra i campioni delle due principali federazioni. No, nel Gorilla di questo mese parliamo delle main storyline che hanno caratterizzato il 2023 delle due compagnie più importanti nel panorama wrestling. Da una parte la Bloodline, dall’altra MJF e Adam Cole, per evidenziare punti di contatto, divergenze, errori e chi più ne ha più ne metta. Sempre tenendo presente che hanno anzianità e gestazione completamente diversa.


BLOODLINE: DA SUPERNOVA A BUCO NERO

La trama della Bloodline è nata con un ritmo molto lento, quasi quanto le entrate del suo uomo copertina. Ed è sempre mancata una caratterizzazione di livello superiore, che permettesse di rendere fluidi sia i segmenti “canonici”, sia gli swervoni che piacciono tanto alla WWE. Già, perché se c’è uno scheletro, se c’è una struttura che rimane inalterata, poi puoi tranquillamente sperimentare. Ma l’equivoco intorno alla figura di Roman Reigns non è mai stato risolto.

Che tipo di personaggio deve essere Reigns? Il capo tribù egemone? Un manipolatore? Un furbo stratega? Ancora oggi, non lo sappiamo. In primo luogo a causa dei suoi lunghi periodi di assenza. Che rendono impossibile riuscire a stabilire una linea con continuità. In secundis per i suoi chiari limiti recitativi, che fanno sì che di lui vediamo sempre uno stock di espressioni predefinite. In ulteriore luogo per i difetti di scrittura che di sicuro non l’hanno aiutato. Anzi, l’hanno sempre fatto sembrare debole. Gli Usos, Sikoa, Heyman intervenivano in suo soccorso perché sì. Perché dovevano, causa legame di sangue, causa senso di appartenenza. Credevano in lui? Mah.

Arriva il cambio di rotta, però, ed ecco che questa narrazione sincopata vive il suo momento di splendore. Una luce incredibile, data dall’avvento di Sami Zayn nella Bloodline. Avere dei temi reali da portare on screen e non solo la solita pletora di frasi fatte ha elevato tutto e tutti. Che è poi ciò che la scrittura deve fare. Con l’ingresso dell’elemento di disturbo, dell’Honorary Uce, improvvisamente la Bloodline ha iniziato a raccontare. A parlare d’amicizia sincera, di fratellanza. Di gelosia, di sfiducia, di paura di perdere il potere. Di desiderio di emergere, di ritrovare se stessi. Zayn cercava un rilancio, ha trovato la Bloodline e con essa una casa. E dei fratelli. Che a sua volta l’hanno adottato, protetto e abbracciato. Anche quando il capo, che invece aveva paura di essere tradito, lo ha messo ripetutamente all’angolo.

E poi il voltafaccia, la decisione di chi si schiera con chi. Il conflitto interiore di chi sa che la cosa giusta è diversa dalla “cosa di famiglia”. Ed arriviamo all’apice di tutto: Elimination Chamber. Tutti i pezzi del puzzle al loro posto, un pubblico magnifico, l’occasione di una vita, la possibilità di dare un senso a tutto. Di prendersi dei rischi, certo, ma di farlo sapendo che il pubblico ti seguirà. E non è poco. E non perché Sami Zayn ci piaccia tanto, tanto, tantissimo. Ma perché con lui ci si è riusciti, finalmente, a identificare. Inserire l’eterno incomodo Rhodes ha deviato l’attenzione, ancora una volta, non dai personaggi ma dai temi che essi portavano. E quando la saga del #finishthestory è capitolata di fronte al Tribal Chief, ci si è resi conto che intorno non è rimasto che qualche brandello di muro.

Perché l’esplosione della supernova ha lasciato intorno un buco nero astronomico che ha divorato ogni cosa. Come riparare? Con #coseacaso, con lui che tradisce l’altro, spingendo il fratello a tradire l’altro, per poi tradire il fratello che gli tira un calcio e scompare nel nulla. Che al mercato mio padre comprò. La bontà di una storia si vede negli effetti che genera. Come nei film, quando dopo i titoli di coda ci viene fatto vedere il prosieguo dei vari personaggi.

Ecco, facciamo lo stesso esercizio: cosa fanno ora i vari partecipanti alla saga della Bloodline? Reigns campione, come all’inizio. Jey Uso scomparso, dopo aver avuto un hype clamoroso. Tornerà, certo, per combattere con il fratello: wow. Kevin Owens è campione di coppia per emanazione, dopo aver quasi vinto il titolo principale (l’unica cosa che conti, in WWE) n volte. Strowman, licenziato (poi riassunto come tag team partner di Ricochet…), Daniel Bryan in AEW, Cesaro in AEW, Finn Bàlor parcheggiato per mesi in una storyline tendente al disgustoso con il Judgment Day. McIntyre nel midcard più pietoso, dopo mesi di oblio. Riddle, altro che aveva un gran momentum, non ne parliamo. In mezzo i vari Goldberg, Cena, Edge e Lesnar. E anche Seth Rollins, che vince seppur per squalifica e… finisce lì. Salvo poi riciclarsi come campione “alternativo”.

E veniamo ai nostri giorni, con Zayn anche lui campione di coppia, perché sì. Perché a Elimination Chamber arrivo a tanto così dal detronizzare il tiranno, ma no. Non ci riprovo. Vado per i titoli di coppia. Così dice il copione, dopotutto. E Cody Rhodes? Anche lui dopo Reigns naviga a vista. Faida con Lesnar senza una ragione, intruso in qualsiasi contesto, tanto che per rendersi rilevante fa i promo sui suoi avversari e non su se stesso. Perché lui, davvero, non ha niente da dire in tutto questo. La sua storia era un’altra e farlo intrufolare con gli altri non ne eleva la statura. Insomma, di 3 anni di caratterizzazione, conditi anche da un barlume di eccellenza, sono rimaste macerie narrative.

BETTER THAN YOU BAYBAY: L’ELOGIO DELLA SEMPLICITA’

Il tutto mentre, dall’altra parte, All In ha segnato quel momento supernova dell’arco narrativo di MJF e Adam Cole. Che a differenza di quello di cui sopra, non è nato in sovrascrittura, non è nato imponendo dei personaggi, ma li ha fatti crescere. Li ha lasciati liberi di scoprire la loro dimensione, senza imprigionarli in un contesto per cui il copione invalida la realtà. Spesso nel marketing si fa l’errore di “overselling”. Basti pensare ai titoli di alcune inserzioni pubblicitarie: “Meraviglioso ristorante bla bla bla”. “Entusiasmante percorso avventura bla bla bla”. Come se un aggettivo potesse rendere veritiero qualcosa. E si fa quando semplicemente non si sa cosa dire oppure quando ci si rende conto che, forse, il proprio prodotto non è di qualità e abbisogna di un extra push.

Come nel caso degli swervoni narrativi a caso: non sai più cosa dire? PAM, tradimenti, intrighi, fughe e ritorni, i classiconi di quelle telenovelas che mia nonna mi faceva guardare quando ero piccolo. Adam Cole e MJF, fin dall’inizio, si sono invece basati su una quotidiana semplicità. Siamo nemici, ci stupiamo che ci mettano insieme, scopriamo elementi che ci accomunano come la voglia di primeggiare (e l’odio per Tony Schiavone). E visto che dobbiamo farlo, facciamolo bene. Andiamo ad allenarci in palestra, ci divertiamo. Usciamo a mangiare, ci divertiamo. Conversiamo sui social, ci divertiamo.

E intanto vinciamo, eccome se vinciamo. E il pubblico ci ama, quindi ci divertiamo. Cresciamo, insieme, come personaggi e come persone. MJF rivela il suo lato più intimo, le sue vulnerabilità, supera l’eterno complesso della finzione diabolica (almeno per ora) e traduce la sua esuberanza in voglia di vincere nel modo giusto. E con la persona giusta. Il tutto senza rinunciare alla rivalità, che continua a esacerbarsi anche per via di ingerenze esterne. Ma il connubio tra i due protagonisti è talmente solido e identificativo, che la presenza di Roderick Strong risulta sovrabbondante. Non necessaria. A tratti patetica. Anche per via dell’atavica incapacità del soggetto di fare un promo che non faccia tenerezza.

Come detto, la storia di MJF e Cole non è paragonabile per durata e portata a quella della Bloodline, ma le sue dinamiche si sono inserite alla perfezione nei difetti che la Samoan Saga ha palesato. E All In ne è stato il fulgido esempio. Per una volta, il wrestling ha smesso di essere autoreferenziale. Ci aspettavamo qualcosa, perché nel wrestling deve per forza succedere qualcosa di strano. Perché ci siamo abituati a questo, ai tradimenti a caso, al fatto che per catturare l’attenzione del pubblico ci si debba sempre scervellare su distorsioni incredibili. Quando invece nulla funziona meglio della verità. ROH Tag Team Championship match che va via pulitissimo e liscio, sorprendentemente. Tra le ovazioni per il Kangaroo Kick e la Double Clothesline. Arriverà Strong, il Kingdom, litigheranno i due, qualcosa succederà. E invece, con stupore anche del panel di Zero Hour, nulla accade e loro vincono.

Allora, io stesso dicevo agli altri con cui stavo seguendo l’evento: “Succederà qualcosa nel main event, qualcuno tradirà”. Stolto, direbbe il maestro di Sirio il Dragone nei Cavalieri dello Zodiaco. Perché il main event è un capolavoro di narrazione, costruita su un match tutto sommato normale per lottato. Una fase iniziale di imbarazzato ambientamento, con i due che devono combattere l’uno contro l’altro dopo settimane di vita in simbiosi in e fuori ring. Poi subentra la competitività, la sete di conquista di Adam Cole, che si scontra con la fragilità ora evidente di MJF. Ha trovato un amico, non lo vuole perdere. Mentre Cole dopo il calvario dell’anno scorso vuole vincere. E vuole dimostrare di poter vincere a tutti coloro che l’hanno criticato.

Cole vacilla, colpisce MJF con un brainbuster pericolosissimo sui gradoni. Il campione non si muove, ha vinto? No. Il suo amico non si muove. E lui lo chiama, preoccupato. Max, MAX. MJF rientra al 9 più recupero. Il match riparte, MJF rinuncia a usare l’anello, la cintura, tutto ciò che lo ha reso campione, di fatto. Rinnega il diavolo, in nome dell’amicizia. Anche quando, dopo la double clothesline (nice touch!) il match finisce pari e Cole gli chiede, nuovamente, 5 more minutes. E lui gliene concede quanti ne vuole, fino alla fine. Dov’è finito quello che non voleva mai combattere? Obliato da una storia che ha reso tutto “giusto così”.

Ogni cosa ha una sua logica e una sua motivazione. Si intromette Strong, ma Cole tentenna. Perde, si dispera, si arrabbia. Potrebbe colpire MJF con la cintura. Ma tentenna, fino a rifiutare il tradimento. E dopo la disperazione l’abbraccio con cui si chiude l’evento di Wembley. Siamo alla supernova, dicevo prima. L’apoteosi di una narrazione sin qui al limite della perfezione. Nella vita reale l’amicizia esiste. La fratellanza esiste. E si litiga, a volte ci si mena anche, magari perché condividiamo lo stesso obiettivo. Ci si invidia, può anche succedere che ci si separi. Ma il wrestling ci ha sempre abituato a pensare che ogni cosa bella nasconda del marcio. Che sia normale che tutto finisca male. Che dietro i buoni sentimenti ci sia sempre e solo l’intento di approfittare. E invece è tremendamente bello specchiarsi nella semplicità di un quotidiano rapporto pulito. Almeno per ora.

Ora viene il difficile per i Better Than You Baby. Perché hanno esaurito gli argomenti secondo cui il tag team è nato. Hanno conquistato i titoli ROH, si sono sfidati per il titolo del mondo. La AEW dovrà riuscire a non far scadere nella noia e nella banalità i contenuti di questa storia. Perché più si vola alto e più fragorosa è un’eventuale caduta. Arriverà un lato oscuro, prima o poi, ma tutto sta a quali tappe intermedie verranno percorse. Sin qui, c’è ancora molto che i due hanno da dire insieme.

E parlando di lato oscuro, concludo l’editoriale con un saluto a Bray Wyatt. Il Gorilla Position nasce per parlare di creatività, di narrazione, di personaggi. Tutti elementi in cui Windham Rotunda eccelleva. La sua mente aveva idee. E come tutti i visionari, anche lui era divisivo. Non tutto funzionava, non tutto era comprensibile ai più. Ma lui sapeva vivere e farti vivere qualsiasi cosa come interessante. La sua morte mi ha colpito terribilmente, sia per la giovane età (io sono più vecchio, per capirci), sia per le circostanze in cui è avvenuta.

Sia pensando alla sua famiglia, pensando a quanto avrebbe voluto rientrare a fare quello che ama. E perché di fronte a queste cose siamo tutti impotenti e fa male. Odio soffrire senza avere contromisure, ma quando la vita ci sbatte in faccia l’ineluttabilità, possiamo solo dire I Quit. E accettare il dolore. Parlavo di amicizia, prima. Ecco, noi vediamo questi performer ogni settimana, più volte alla settimana. Paradossalmente, vediamo più loro dei nostri supposti veri amici nella vita reale. E il wrestling ha questa magia di farci vivere le emozioni di chi ci parla. O di chi lotta per noi. Per il nostro intrattenimento. Ho amato quella lanterna, quel sorriso, il Fiend, il promo con cui Bray stava portando on screen i suoi drammi interiori. E le sue personalità in conflitto. E quindi settimana scorsa ho perso nuovamente un amico.

Ciao Bray, ci mancherà la tua risata, ci mancherai tu.

Andrea Samele
Andrea Samele
Laureato in filosofia, amante della creatività, della scrittura e del suono musicale di una chop. Appassionato di wrestling di lunga data per la capacità di creare personaggi e storyline in grado di coinvolgere gli spettatori. Per Tuttowrestling.com curo l'AEW Planet.
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