Gorilla Position #35 – La minaccia CM Punk sulla AEW

C’è una cosa che la AEW ha dimostrato di saper fare sempre molto bene. Per lo meno nelle storyline di primo piano. Ovvero, lavorare sui dettagli. Riprendere il passato, rivisitarlo, collegarlo al presente e chiudere il cerchio. Cosa che, tra parentesi, risulta ancora più efficace se affidata alle sapienti mani di uno che fa del simbolismo in ogni elemento che porta sul ring. Parliamo ovviamente di CM Punk, il cui ruolo in AEW provoca in me apocalittiche fantasie.


2011, CM Punk incrocia le gambe, prende il microfono e parla a John Cena e al WWE Universe nell’antonomastica Pipebomb. E se la prende con i vari Cena, Hogan e The Rock, imputandone il successo alla loro cartaigienifica lingua. Affermando che lui era il Best in the World, perché Paul Heyman aveva visto in lui, che veniva dal pro wrestling della ROH, qualcosa di unico e irripetibile. Espresse il desiderio di tornare da dove era arrivato, di andare in NJPW con il titolo WWE. Se la prese con i finti “brass rings”, con le presunte opportunità che, secondo Vince McMahon, dovevi andare a prenderti da solo, senza aspettare che ti piovesse dal cielo.

Fast forward, siamo nel 2018. Il reietto di Stamford, Cody Rhodes, insieme agli Young Bucks, raccoglie una sfida lanciata da un fan con annessa risposta da Dave Meltzer. Riuscirete a vendere più di 10 mila biglietti per un evento indipendente originariamente targato ROH? Risposta: Sì, All In capitolo 1. Cody and co hanno seguito il consiglio di zio Vince, in un certo senso. Dai loro insuccessi hanno creato un’occasione, che è divenuta poi una realtà di primissimo piano. La AEW è nata così e da qui è risorta la ROH, si è aperta la Forbidden Door con la NJPW. E quindi mi domando: Punk, amico mio, perché ce l’hai tanto con l’Elite? Loro, a differenza tua, hanno realizzato quanto tu avevi millantato di fare. ROH, NJPW.

Non solo, loro, l’Elite, ti hanno dato insieme a Tony Khan una casa. La tua casa. Volevi tornare al pro wrestling e grazie a loro hai potuto farlo. Perché loro hanno creato l’alternativa. E comunque non va bene? Per motivi, tutto sommato, risibili come la faccenda di Colt Cabana risalente a ere geologiche prima? Davvero è necessario, anche questa volta, fare terra bruciata e rinnegare, in un certo senso, chi ha seguito le orme che tu, con quella pipebomb, avevi tracciato in terra?

Ora Punk ha un suo show, uno show in cui ha riesumato il suo vecchio AEW World Title. Mettendo una X, casualmente anziché no, proprio sulla parola Elite. Simbolismi, manierismi, dicevamo. Ma come, Punk, sei in una federazione che da 4 anni coltiva i propri Pillars, a fortune alterne. In cui il campione è MJF, che a Tony Khan non ha mai leccato le terga. Anzi, gli ha urlato in faccia la qualunque, in mondovisione, e non ha mai fatto marcia indietro per questo. Perry è campione FTW, per quel che vale, Allin e Guevara hanno avuto il TNT Title. Non sei in quel posto là, dove vincono sempre gli stessi perché piacciono al capo.

Sei nella casa del pro wrestling. Dove si lotta, dove si creano di nuovo storyline a lungo termine, dove si sviluppano i personaggi e non ci si prostituisce creativamente per un pubblico che tanto ti paga lo stesso. Salvo poi vendere i tuoi autografi su Ebay, perché troppo pigri per trovarsi un lavoro. Ricordiamoci le parole di Hangman Page nel p(r)omo della discordia: difendere la AEW da CM Punk. Perché mai? Cos’ha fatto Punk di male? Ha avuto ottimi feud, ha jobbato quando doveva, ha vinto quando doveva. Certo, l’ha fatta fuori dal vaso, dopo. Ma il percorso di Punk in AEW è stato sino al World Title netto, sia nel senso di incedere, sia nel senso di lindo e intonso da macchie.

Proviamo a unire i puntini, per vedere che immagine viene fuori. Vuoi vedere che stiamo preparando il terreno per una versione di Punk che travalica i confini stessi dell’essere heel? Punk non potrà mai turnare heel in senso classico. Non può essere il cheap heel che insulta la folla a caso, che vince con i low blow. Sarebbe troppo degradante per uno che, quando lavora, raggiunge livelli di perfezionismo cui molti nemmeno si avvicinano.

I suoi racconti in ring, parlati o lottati, sono dei capolavori. Degli affreschi di pura bellezza, per chi ne sa cogliere l’arte. Poi si può discutere su velocità, botch, barba ingrigita e tutto. Ma il wrestling vive di storie e CM Punk è un narratore onnivoro, capace di dare logica e consequenzialità ad anni di vita vissuta. Ma è anche un anti sistema per eccellenza, uno il cui ego fa fatica a rimanere imbrigliato in logiche decise da altri. Si è stancato della WWE, per i suoi motivi. Ha storto il naso anche in AEW, per altri motivi. E ora il titolo, che non ha mai perso, che rivendica. Perché lui, per sua stessa bocca, è migliore di tutti.

And you know it. Ah, no, aspettate. Questo è quell’altro. Quell’MJF che… ha trovato una casa. Anche lui. E l’ha trovata in Adam Cole (Bay Bay). Mai prima d’ora avevamo visto MJF sinceramente e continuativamente face. Non dichiaratamente, ma involontariamente. Perché la vita lo ha portato sin qui, perché qui non credeva di arrivare. Ma ha trovato la sua valle incantata in un amico che non aveva mai avuto. E ora si è accorto di starci bene, benissimo. Al punto da rinunciare, almeno per ora, a essere il Diavolo che dopo una sconfitta ti attacca alle spalle. Invece, abbiamo visto la frustrazione per aver subito il pin, dopo aver salvato l’amico dalla finisher altrui. Per averci provato con tutte le sue forze ma aver fallito. La frustrazione, peraltro, non per se stesso. Ma per la coppia con il suo amico.

MJF nella sua vita in AEW non è mai stato tranquillo. Ha costantemente avuto bisogno di un nemico, di prendersela con qualcuno. A volte pretestuosamente, altre volte con il pieno favore del pubblico, pur mantenendo un’attitudine spiccatamente heel. Come già detto in altri editoriali, MJF ha la dote innata e incredibile di convincere sempre e comunque, senza dover fingere di essere chi non è. Proprio come CM Punk. E ora, abbiamo due percorsi che nel silenzio di altre trame, Cole da una parte, Starks dall’altra, piano piano si avvicinano.

Dipingendo due figure di una grandezza monumentale. In un’inversione di ruolo che potrebbe generare una rivoluzione narrativa entusiasmante. Si stanno piantando i semi per una guerra strutturale, in AEW. Con Punk che si prepara a essere un monster heel lontano dalla concezione classica. L’anti-sistema che vuole distruggerlo dall’interno solo per dimostrare a tutti che lui aveva ragione. Ed è colpa nostra che non l’abbiamo seguito o non gli abbiamo creduto. Ma c’è chi si identificherà in lui. Convincerà adepti, di cui fomenterà il risentimento, userà Collision per far vedere al mondo che lui è il migliore. E se si stancherà anche di questo, la guerra sarà totale. Ripeto, senza che vi sia un reale fine per uno come Punk, che non sia dare al suo Ego la luce più splendente. Quella del sole, attorno a cui tutti pianeti del nostro sistema girano.

E contro una figura di tale fattura, serve un eroe che ne condivida la natura ma al tempo stesso possa avversarne la polarità. MJF che ha scoperto di amare la AEW perché qui ha realizzato ciò che nella vita sinora aveva sempre mancato. Non aveva affetti, né occasioni. Le opportunità erano svanite in un No, o in una mail senza risposta. Nell’ “altra compagnia” nessuno lo ha voluto. Mentre qui, come gli ha detto Adam Cole, lui è il campione.

Lo è diventato lui. La cintura è sua. E ha un amico, un vero amico. Può averne altri, può migliorare, può combattere con tutte le sue forze per difendere qualcosa in cui crede e cui tiene. Come ha fatto in queste settimane, in cui MJF si è dannato letteralmente l’anima per portare a casa i match. In cui è stato inquadrato diverse volte a interpretare di avere il fiatone o di essere esausto a furia di azioni non stop. Shockato dopo un suicide dive. Felice di eseguire una double clothesline. Ansioso di fare una bodyslam. Qualcuno che il pubblico ha imparato ad amare, che ha accolto in quella stessa casa, del pro wrestling, che quell’altro invece sta abbandonando e di cui sta minando le fondamenta.

Può darsi che nulla di ciò che ho scritto avverrà. Che tutti i famosi puntini che ho unito, in realtà fossero tali solo per me. Che i riferimenti, le parole, le azioni, i sentimenti, le espressioni facciali, i silenzi, le vittorie o le sconfitte fossero, per l’ennesima volta, solo un tentativo di far vedere qualcosa al pubblico per intrattenerlo sul momento. Sia quel che sia, spero che Tony Khan e soci mantengano il pelo sullo stomaco che stanno usando per Collision. Che ripartano quindi dal finale non banale né scontato, ardimentoso quasi, della scorsa puntata per non incanalarsi nei binari già visti e rivisti e osare. Perché davvero con questa storia si può fare la storia.

Andrea Samele
Andrea Samele
Laureato in filosofia, amante della creatività, della scrittura e del suono musicale di una chop. Appassionato di wrestling di lunga data per la capacità di creare personaggi e storyline in grado di coinvolgere gli spettatori. Per Tuttowrestling.com curo l'AEW Planet.
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