The Codebreaker #5 – Summerslam: la voglia di nuovo e il ritorno al passato

The Codebreaker

Uno dei quattro ppv più importanti e attesi della stagione fa parte più del passato che della storia, perché non necessariamente destinato a lasciare una traccia indelebile nelle nostre memorie, mi spiego meglio. Summerslam non ha sicuramente deluso le attese a livello generale di ppv, abbiamo assistito ad un prodotto assai valido in termini di lotta e gran merito, a prescindere da vincitori e vinti, va ad alcuni wrestlers in particolare, come Daniel Bryan e Christian.


Il primo, criticato da una parte degli addetti ai lavori per le proprie caratteristiche fisiche o per una provenienza diversa dai talenti “fatti in casa”, rappresenta invece l'esempio più eclatante di un ragazzo che regala spettacolo sul ring a suon di tecnica, acrobazie ed efficacia nelle prese di sottomissione, dimostrando che se giustamente si criticano verbalmente lottatori con gravi carenze tecniche, allora sia soltanto una perdita di tempo e qualcosa di controproducente prendere di mira chi invece, come l'ex membro del Nexus, dovrebbe essere invidiato da molti colleghi ed esaltato da chi lavora nell'ambiente; talvolta la gavetta aiuta molto più di qualsiasi altra cosa.

Christian, stuzzicato da Edge, ripreso quindi dal suo migliore amico, si è trasformato in un libro aperto, si è ritrovato senza più la maschera che ha voluto e, forse, pure dovuto indossare per qualche settimana, ha recuperato la propria essenza, il suo DNA, il proprio modo di essere e ha tirato fuori un grande match contro Randy Orton, uscito sì vincitore, ma costretto a portarsi al limite, se non addirittura oltre, della resistenza e della frustrazione. Il canadese ha perso la cintura, uscirà probabilmente come sconfitto dalla prolungata faida contro l'ex membro dell'Evolution, ma ha dimostrato, ancora con i fatti come insegna la sua storia, che meritava e avrebbe meritato in passato maggiori opportunità nei quartieri alti per le categorie da singolo.

Al di là della comprensibile scelta di non bruciare né Mark Henry né Sheamus nel duello tra i duri del roster blu e del prevedibile ritorno di Randy Orton come campione, gran parte dell'attesa di appassionati e addetti ai lavori si concentrava sul main event, inutile nasconderlo. Ribadendo nuovamente i miei complimenti nei confronti della WWE e dei propri bookers per la capacità di creare, alimentare un ottimo feud non soltanto tra CM Punk e John Cena, ma tra il leader della Straight Edge e l'intera federazione, portavoce della filosofia intrattenitrice del wrestling moderno (compensando, ma soltanto in parte, una gestione recente del personaggio CM Punk almeno discutibile se non addirittura contraddittoria e incomprensibile), in questo caso si potrebbe aver compiuto un passo indietro, forse piccolo, difficile da quantificare per qualcuno, irrisorio per qualcun altro, ma, a mio modesto parere, assai importante.

CM Punk ha dimostrato, anche ai suoi detrattori o a chi preferiva semplicemente snobbarlo, di rappresentare il perfetto modello di wrestler moderno, il massimo raggiungibile almeno sulla carta al fianco di Chris Jericho, un mix di bravura sul ring e con il microfono in mano. John Cena, almeno in qualità di intrattenitore, ha ben poco da imparare, anche chi non lo ama particolarmente lo deve ammettere, riesce a controbattere colpo su colpo come pochi altri. HHH, nella sua carriera da lottatore, si è contraddistinto per l'immensa bravura nel mettere in difficoltà gli avversari in primis con i suoi “mind games”, non a caso è stato soprannominato l'assassino cerebrale. Da poco ha assunto il ruolo di direttore esecutivo e, sotto tale carica, è ancora chiamato alla svolta, si attende il salto di qualità, ci aspettiamo che esca definitivamente allo scoperto, giochi le proprie carte e ci porti ad un'analisi a 360° sul proprio rendimento. Al di là delle qualità infinite dei tre principali protagonisti, a Summerslam si sarebbe potuto fare meglio, oppure optare per un qualcosa di diverso.

Proprio in un periodo nel quale la WWE ha dovuto fare i conti in breve tempo con numerose perdite illustri (Shawn Michaels, Batista, Edge, Jericho, Jeff Hardy , senza dimenticare Undertaker e HHH oramai semiritirati) e si ritrova tra le mani numerosi talenti da lanciare, o da consacrare definitivamente, si è deciso di tornare al passato, fare ricorso a scelte, eventi e personaggi già visti e rivisti, a ricreare una situazione di potere controversa, conflittuale, dirompente che ha interessato in particolare l'era attitude. Il ritorno sulla scena di personaggi della famiglia Mc Mahon attorno alla cintura non fa più notizia, non rappresenta un elemento potenzialmente capace di lasciare un appassionato immobile sulla poltrona. Perché far ricorso a Kevin Nash? A prescindere da opinioni e gusti personali nei confronti della sua carriera e delle caratteristiche da lottatore, può rappresentare ancora una valida alternativa al microfono, ma, oltre all'amicizia con i vertici, perché si è deciso di puntare su di lui? Si cercava una soluzione valida in un tempo ristretto e rappresentava il meglio disponibile sul mercato? Si credeva e si è tuttora convinti sul fatto che il suo ritorno costituisca un episodio destinato ad impressionare e a sorprendere gli appassionati, oltre a rendere ancora più imprevedibile la storyline legata alla cintura di Raw?

Personalmente mi sono sorpreso nel vederlo spuntare dal pubblico e mettere k.o. sul ring un esausto CM Punk, ma non perché ritenga il suo arrivo come un qualcosa capace di stravolgere uno degli appuntamenti più importanti dell'anno, ma perché mi sono reso conto che le minestre riscaldate possono ancora essere ripresentate per la millesima volta, ahimè. Incredulità più che sorpresa positiva, non c'è dubbio. Il terzo passo indietro: la sostanza non appare cambiata nonostante i fatti potrebbero far pensare il contrario a qualcuno, mi riferisco al trattamento riservato a John Cena. È vero, due match titolati contro CM Punk, altrettante sconfitte, ma ritengo giusto interrogarsi su come siano avvenute: la distrazione involontaria generata dall'arrivo di Vince Mc Mahon e un piede sulla corda ignorato da HHH in versione arbitrale. È un modo per dare nuova linfa alla ribellione di CM Punk contro il potere, peraltro in grande spolvero poi tramite l'irruzione di Kevin Nash, oppure una scorciatoia per far cadere John Cena sempre in piedi, o magari entrambe le cose?

Alberto Del Rio ha sfruttato l'opportunità per il titolo nel momento migliore, capitalizzando il Money in the Bank contro un campione in carica k.o. al centro del ring, ma, anche in questo caso, sia i tentativi andati a vuoto nelle precedenti occasioni, il poco tempo trascorso dalla conquista della valigetta e la modalità con la quale ha conquistato la cintura, lasciano un pochino di amaro in bocca, al di là che il lottatore messicano rappresenti o meno il preferito di turno. È vero, Summerslam è una vetrina assai prestigiosa e conquistare il titolo in un palcoscenico simile non ha prezzo, un evento simile scrive una riga di storia, ma se si cercava il clamore a prescindere dalla vetrina, si potevano seguire strade differenti, non andando comunque contro la gimmick da heel, ma dando il giusto tributo alle grandi qualità del diretto interessato.

Anche qui è un passo indietro, anche se la difesa contro Rey Mysterio ha mostrato un Del Rio superlativo, capace di uscire a testa alta vincendo in maniera meritata e pulita. Era però impensabile attendersi una vittoria dell'atleta mascherato, altrimenti davvero si poteva pensare che le cinture mondiali fossero diventate delle autentiche patate bollenti che bisogna scaricare prima possibile. I cambi di titolo sono già fin troppo numerosi e talvolta controproducenti, assisterne ad un altro, soltanto 24 ore dopo, sarebbe stato davvero troppo, anche se con la WWE odierna è sempre meglio seguire il motto “mai dire mai”.

Scritto da Diego Anelli
Parliamo di: