The Codebreaker #45 – Ma perchè è giunta la fine?

The Codebreaker

In ogni annata le settimane precedenti a Wrestlemania rappresentano il periodo più roseo in quel di Stamford. Match a cinque stelle, ritorni da copertina, indimenticabili colpi di scena, elettrizzanti feud, tutti tasselli di un mosaico destinato a diventare il più splendente nel miglior palcoscenico dell'anno.


Niente di nuovo all'orizzonte, si tratterà pure di un canovaccio puntuale come un orologio svizzero, ma ogni volta che si vivono determinate emozioni, non si può restare indifferenti, non si può far altro che restarne incantati, ipnotizzati, coinvolti, farsi trasportare da un mix di brividi, sensazioni, attimi, momenti, pagine di storia che vengono scritte, strappate e riscritte.

Tale scenario assume ancora più prestigio e peso nel wrestling moderno, sinonimo di una macchina da soldi, nel quale la quantità prevale spesso e volentieri sulla qualità. Tutti (o quasi) ormai sono arrivati alla conclusione che i lottatori, tra mille show, infiniti viaggi e immancabili tour, non sono robot, ma il numero degli spettacoli non tende a diminuire, tutt'altro. Inevitabile che sia la qualità a subirne le conseguenze, purtroppo.

In tale contesto quando lo spettacolo tecnicamente parlando torna in copertina (cosa che dovrebbe essere piuttosto frequente vista la grande caratura di numerosi talenti sotto contratto dalla WWE; da Cm Punk a Sheamus, da Barrett a Ziggler, da Cesaro a Bryan, soltanto per citare alcuni esempi), la reazione è ancora più evidente tra fan e addetti ai lavori, nella speranza che non si tratti di un caso isolato, nella convinzione più realistica che il boom sia destinato a durare in particolare nel breve termine e nella consapevolezza che un equilibrato mix tra quantità e qualità sia realisticamente possibile, tutto dipende dalla caratura dei bookers.

In determinate occasioni tutto passa in secondo piano; preferenze, valutazioni tecniche, opinioni personali, feud, storyline, personaggi, pubblico, posta in palio, l'orologio, tutto quanto. Quanto descritto è accaduto in occasione del main event del penultimo Raw, CM Punk vs Cena con in gioco lo status di primo sfidante al titolo WWE in quel di Wrestlemania contro il campione in carica The Rock. Non ho mai fatto mistero di non essere assolutamente un fan del leader della Cenation.

Nessun pregiudizio, nessun attacco premeditato, nessun giudizio negativo sulla sua persona. Stimo i suoi valori, la sua professionalità, la bravura nell'interpretare al meglio il proprio personaggio, l'innata dote di intrattenitore e l'attaccamento alla federazione. Piuttosto ho mostrato talvolta le mie perplessità sulla sua capacità tecnica sul ring, sullo status di super eroe quasi imbattibile con esiti puliti e sulla filosofia di wrestling che rappresenta, o meglio che gli hanno fatto rappresentare.

Sorprendere e restare sorpresi sono tra le situazioni più originali e indescrivibili che possano capitare nella vita quotidiana. John Cena, nel penultimo Raw, mi ha sorpreso in positivo, si merita tutti i miei più sinceri complimenti per la grande prova offerta, si è reso protagonista (non solo per merito del superbo CM Punk) un match qualitativamente elevato, tirando fuori dal cilindro un bagaglio tecnico più ricco del consueto.

Ha sbagliato quasi nulla, ai punti ha meritato il successo, ha portato Cm Punk oltre il limite, all'estremo, ha dimostrato di non essere un fenomeno e mai lo sarà, ma di essere capace, se fisicamente e mentalmente al top, di poter offrire un match notevole. Intendiamoci, con una sola sfida il giudizio di chiunque non può e non deve cambiare, ma è onesto e doveroso prenderne atto, apprezzare i miglioramenti di chi vuole dimostrare di essere all'altezza del palcoscenico.

Il match ha però rappresentato, come se ce ne fosse ancora bisogno, l'enorme tasso tecnico e non solo di CM Punk, in grado di lasciare il segno con mosse deliziose, sguardi più unici che rari, mimiche facciali meritevoli di set cinematografici, disinvolta capacità di lasciarci a bocca aperta, attaccati ad ogni sua parola, pesante come macigno, apparentemente scontata, ma efficace e pungente nella realtà.

Per la prima volta è uscito sconfitto con John Cena, ma l'ha fatto a modo suo, dando il massimo, resistendo ad un numero infinito di finisher e prese di sottomissione, andando al contrattacco, rispondendo colpo su colpo. Se in questo momento bisognava scegliere un avversario da mandare contro The Undertaker con in palio la striscia vincente del fenomeno, non c'era uomo migliore di CM Punk. La storia del wrestling contro la storia recente, una striscia incredibile contro il più longevo campione moderno.

Quando vanno in scena spettacoli del livello di questo CM Punk vs Cena non si tasta la delusione nel veder sconfitto il proprio beniamino, non si può quantificare la felicità nell'assistere al trionfo del lottatore preferito. Per fan e addetti ai lavori si va oltre a preferenze, posta in palio e storyline. In queste occasioni è il wrestling a scendere in campo, ad indossare l'abito da sera, ad incantare, a scrivere pagine di storia, a sorprenderci, a lasciarci immobili sulle nostre poltrone.

Ci godiamo ogni attimo, ogni mossa, ogni capovolgimento di fronte, ogni tentativo di schienamento, ogni prova d'orgoglio. È proprio in tali circostanze che tutti siamo accomunati da un'unica sensazione, considerazione, pensiero, proveniente dal dna di un vero appassionato di wrestling: alla conclusione del match tutti quanti abbiamo pensato, sussurrato, commentato con i vicini di poltrona: “ma perché è giunta la fine?”.

Scritto da Diego Anelli
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