The Codebreaker #34 – La voce, l’asticella, i numeri

The Codebreaker

Al giorno d'oggi non si rischia di perdere il conto dei match memorabili e dei segmenti parlati meritevoli di essere ricordati nel lungo termine. Si passa da grandi prestazioni tecniche sul ring, Ziggler in primis, a lunghe fasi caratterizzate da noia perenne, una disperata ricerca di novità e di fattori in grado di sorprendere, elettrizzare e lasciare gli appassionati attaccati alle rispettive poltrone.


Non sempre le responsabilità sono da attribuire alla federazione, con il passare degli anni diventa ulteriormente difficile trovare potenziali fattori di svolta in grado di lasciare un segno indelebile nella storia della disciplina. Al tempo stesso però si ha frequentemente la sensazione che non si stia facendo tutto il necessario per offrire un prodotto godibile, o comunque i bookers non siano in grado di soddisfare il pubblico, “alzare l'asticella”, sebbene si abbiano a portata di mano tutti gli elementi utili per raggiungere un livello non eccezionale, ma sicuramente più che soddisfacente.

Nel penultimo Raw qualcosa è successo e a mio parere merita di essere ricordato e analizzato, per qualche appassionato potrebbe trattarsi di un momento assolutamente privo d'importanza, per altri invece una fondamentale e sintetica chiave di lettura. Mi riferisco alla concezione di wrestling inteso come sport-entertainment, al rispetto, alla trasformazione della disciplina nel corso dei decenni, lo stile hardcore, l'entrata in scena dell'era attitude, il ruolo di Paul Heyman, gli elementi necessari per sfondare lo schermo ed entrare nel cuore dei fan.

In quest'occasione Mick Foley, contrariamente ad alcune recenti apparizioni piuttosto inconsistenti, si è rivelato assolutamente perfetto nell'analizzare a 360° il personaggio CM Punk, ma non solo. Al di là infatti delle storyline in pochi minuti il campione WWE e la leggenda hardcore hanno toccato tantissimi argomenti chiave per la nostra disciplina. Partiamo dalla durata di un regno titolato. Foley ha fatto riferimento al numero 29, la somma dei giorni dei suoi tre regni da campione del mondo, di per sé può essere considerata una sciocchezza, un dato misero e non degno di rispetto e gloria, mentre per molti addetti ai lavori bisogna andare oltre a numeri e statistiche e procedere all'analisi di cosa è accaduto in quei periodi e delle azioni del campione finalizzate alla conquista e alla difesa della propria cintura.

A prescindere dalle storyline CM Punk, a mio modesto parere, non ha praticamente più nulla da dimostrare, è dotato di un'invidiabile tecnica e un'eccezionale abilità da intrattenitore, in sintesi un perfetto lottatore moderno che abbina le qualità sul ring alla predisposizione per i segmenti parlati. Forse gli manca soltanto la possibilità di battere pulito John Cena, ma stiamo parlando di wrestling e anche lui deve fare i conti con la volontà dei bookers, quindi non si può parlare di una sua incapacità a priori. Spicca il fatto di aver superato quota 300 giorni da campione WWE, il decimo regno più lungo della storia, ma gli viene chiesto di “alzare l'asticella”, scrivere una pagina di storia, sconfiggere pulito John Cena e dimostrare di che pasta sia fatto.

Ritengo che non ci troviamo dinanzi ad una pura statistica, né ad un lottatore giunto improvvisamente e senza giustificati meriti a detenere per quasi un anno il titolo WWE, anzi, nessuno meglio di lui poteva entrare nella storia della federazione in questo momento e apprezzo la scelta dei vertici di concedere all'assistito di Paul Heyman e a Sheamus la possibilità di dare credibilità, qualità e solidità alle cinture più prestigiose presenti a Stamford. Abilità tecniche, follia e intrattenimento. CM Punk e Foley hanno toccato tutti questi elementi, evidenziando come nel tempo sia cambiato il nostro sport-entertainment preferito. Si tratta di fattori tanto diversi tra loro, ma tasselli di un unico mosaico utili a potersi definire “il migliore al mondo”, o almeno per guadagnarsi con i fatti il rispetto di chiunque.

Per raggiungere tali obiettivi ognuno può seguire strade diverse; incantare sul ring tecnicamente parlando, oppure lasciar perdere ragione e razionalità e affidarsi a coraggio e follia, dimostrando di non aver paura di niente e nessuno, mettendo in pericolo perfino la propria incolumità fisica pur di meritarsi il rispetto della gente e diventare definitivamente “qualcuno” che conta, oppure si può seguire la strada del puro intrattenimento, trasmettendo emozioni con segmenti parlati e mimiche facciali, esaltando il lato più entertainment della disciplina. Foley ha voluto ricercare il “vecchio” Cm Punk, ha cercato di convincerlo ad “alzare l'asticella”, a dare ai fan ciò che vogliono, ma si è imbattuto in un campione WWE che si sente continuamente mancare di rispetto nonostante abbia dimostrato di essere al momento il più forte in circolazione e non voglia assolutamente mettere in pericolo la propria integrità fisica per accontentare chi paga il biglietto, o lo show da casa.

Protagonista non sul ring, ma negli argomenti trattati lo è stato sicuramente Paul Heyman. Può piacere o meno, ognuno ha le proprie preferenze, ma una cosa è certa. Non lascia mai indifferenti ed è la cosa più importante, per chiunque e qualsiasi cosa l'importante è parlarne, nel bene e nel male. In questo caso ci troviamo sicuramente di fronte ad un genio dell'intrattenimento, ad un personaggio che ha fatto la storia dell'originale ECW, al simbolo dell'arte al microfono, ma, al tempo stesso, la colonna portante di un wrestling che non esiste più, ma che manca a tanti appassionati e in certi sensi “lottava” contro la finzione e proteggeva lo spettacolo tecnico della disciplina abbinato all'imprevedibilità, alla pura “battaglia”, un mix tra tecnica e spettacolo in un contesto hardcore.

In molte occasioni abbiamo discusso sull'incapacità della WWE di valorizzare a dovere diversi propri talenti e di far ricorso a leggende del passato, wrestlers ritirati da tempo immemore o personaggi che in passato hanno voltato le spalle alla disciplina. In questo caso ritengo che il ritorno di Paul Heyman possa soltanto portare beneficio in termini di qualità, esperienza e imprevedibilità agli show ed ecco arrivare all'ultimo argomento, ovvero la sua presenza al fianco di Cm Punk. Credo che non ci fosse manager, o personaggio più meritevole e adatto per affiancare colui che ha reso noto lo stile “Straight Edge”.

Sono accomunati dalla medesima concezione del wrestling, dalla valorizzazione della gavetta, di uno stile di lotta purtroppo sempre più in via d'estinzione, dalla capacità di lasciare chi li ascolta attaccato alla poltrona perché in grado di sorprendere sempre con una parola, una mimica facciale, anche quando tutto apparentemente sembrerebbe scontato. Il campione WWE ha avuto inizialmente spazio e credibilità a Stamford soltanto nella nuova ECW, che aveva soltanto quelle tre lettere in comune con quella originale. Essere riuscito a farsi notare, ad ottenere la prima cintura degna di nota proprio nella “finta” ECW creata dalla WWE rappresenta il simbolo di uno stile di lotta che cerca di vivere, sopravvivere in una disciplina, in un'epoca troppo spesso caratterizzate da giochi di potere, business, talvolta inguardabile intrattenimento, privo di mordente e qualità. “La voce di chi non ha voce”, di chi vorrebbe fornire un piccolo grande contributo verso un wrestling migliore. Non è impossibile, basta volerlo e crederci davvero.

Scritto da Diego Anelli
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