The Codebreaker #1

The Codebreaker

Con lo zaino sulle spalle, il biglietto nel portafoglio, i sacrifici e non per organizzare un weekend lontano da casa perché una passione non ha prezzo, la consapevolezza dell'importanza di poter dichiarare “io c'ero, ancora”, la speranza che non passi troppo tempo per dirlo un'altra volta. Sono queste le sensazioni che mi hanno spinto, stimolato, accompagnato nel viaggio di andata e ritorno in occasione dello show di Firenze.


Sinceramente, nonostante il grande successo della tappa milanese di novembre, non mi sarei aspettato un ritorno della WWE così a breve scadenza, addirittura in due locations. Ragioni di comodità logistica, reale soddisfazione dei vertici della federazione, ritrovato interesse del pubblico italiano verso il nostro sport entertainment preferito, oppure uno zoccolo duro che non ne vuole sapere di gettare la spugna, ma non sarà destinato ad incrementare nel corso del tempo? Al di là di qualunque considerazione l'house show di Firenze, al quale ho presenziato ed è stata l'occasione per conoscere i miei nuovi compagni del viaggio denominato “Tuttowrestling.com” dopo 7 anni nel wrestling web, può essere ritenuto gradevole, prezioso e simbolico.

Ok, stiamo sempre parlando di un house show in Italia, ma la card aveva fatto storcere il naso a più di un appassionato, non solo perché alcuni dei lottatori arrivati da Raw non erano di primissima fascia ed erano stati nostri ospiti soltanto sette mesi prima, ma anche per l'oggettiva inferiorità qualitativa di Smackdown nei confronti dello show rosso, un gap non colmato, anzi forse perfino aggravato con l'ultima draft. A mio parere i timori, le perplessità, le delusioni sono state spazzate via da quanto visto sul ring, dallo spettacolo che la WWE ci ha offerto. È un house show, nulla resterà per sempre scritto nel libro della storia del wrestling ovviamente, ma il prodotto è stato gradevole, godibile.

L'aggiunta di due stelle di Raw come Alberto Del Rio e The Big Show hanno reso la card più competitiva, prestigiosa e interessante, dando agli italiani l'occasione di vedere un feud appena nato e una stella al debutto nello Stivale, ovvero il benestante messicano. Altri due fattori hanno fortemente contribuito alla buona riuscita dello spettacolo, in primis l'ottima resa degli heel di turno e non mi sto riferendo allo scontato Mark Henry. Il primo al quale rivolgere la propria attenzione è invece Cody Rhodes, che sta rendendo al massimo in una gimmick forse ripetitiva ma d'impatto in grado di portarlo a livelli da singolo mai raggiunti, ma che rischia al tempo stesso di rivelarsi un boomerang se i bookers non decidessero di integrarla, completarla, arricchirla, perché soltanto l'imprevedibilità, l'efficacia e la voglia di sorprendere i fans potrebbero portarlo tra gli intoccabili del roster pur mantenendo l'attuale gimmick.

Ogni giorno che passa gradisco sempre più Sheamus, uno che preferisce la dura lotta sul ring ai monologhi al microfono: tecnico, capace, potente, giovane. La WWE si ritrova tra le mani un grande talento, le spetterà soprattutto il compito di non bruciarlo. Il fatto che l'irlandese abbia aggiunto al proprio parco mosse una presa di sottomissione agli arti inferiori testimonia la volontà del diretto interessato e dei vertici di formare un lottatore sempre più duro da sconfiggere. Del Rio e Christian completano il valore aggiunto heel: il primo ha conquistato anche il pubblico italiano con un'agiatezza contagiosa, il secondo era face fino a pochi giorni fa, è un heel anomalo, stuzzica ma non provoca i fans, vive per il completamento di una missione, e ogni fallimento è causa di tutto e tutti.

L'altro elemento decisivo fa invece riferimento alla competenza di buona parte del pubblico, che ha messo alla prova gli heel di turno, costretti a trovare diversi espedienti per provocare le ire dei presenti, tramutando gli inaspettati attestati di stima in fischi di disappunto. In parte i wrestlers hanno raggiunto il proprio obiettivo, la fetta di mancata riuscita non è dovuta alla loro presunta incapacità, ma al giusto senso critico del pubblico che va al di là di face e heel, tifa chi merita, incita chi è in grado di dare qualcosa d'importante ogni qual volta salga sul ring. Nonostante tutto e tutti, i vari Sheamus, Del Rio e Christian hanno conservato gli incitamenti di parte della platea per l'intera durata delle sfide, evidenziando sugli spalti la presenza di persone magari non abituate, ahimè, a un paio di tapings a settimana, ma che, con l'ausilio di internet e satellite, masticano quotidianamente wrestling e hanno tutti gli elementi necessari per giudicare il prodotto offerto al di là di gimmick e decisioni dei bookers.

Ovviamente il buon livello tecnico di buona parte dei protagonisti sul ring ha aiutato e non poco la serata: Sincara può anche essere eccessivamente spettacolare, rendendo ogni suo match quasi una prova di acrobazia più che un match di wrestling, ma è un gran vedere, Chavo in versione face ha conquistato il pubblico ed è andato vicino a battere un deludente Henry, Jackson sembra un Lashley bis, grande fisico, potenza infinita, ma poco altro, contro di lui un Barrett invece in grande spolvero, capace di tenere l'incontro in pugno con mosse assai convincenti, Big Show vs Del Rio ha garantito equilibrio e capovolgimenti di fronte, Christian ha dato filo da torcere a Randy Orton, il quale però, al momento, rappresenta un lottatore di un altro pianeta per qualunque membro di Smackdown .

Non mancano le note dolenti e non mi riferisco ai vari posti vuoti nei settori “più popolari” del Mandela Forum, ma piuttosto ad atteggiamenti e modi di fare tipicamente italiani. Da noi succede che ti metti in fila mesi prima per prendere un biglietto da 70 euro di secondo settore platea e dopo pochi minuti invidi chi ha pagato meno della metà per un settore di gradinata, i motivi? Impossibilità a seguire decentemente il match, ci si immagina l'ingresso e l'uscita dei lottatori, non si può osservare i momenti di lotta fuori dal ring, bisogna farsi raccontare le mosse a terra dai vicini, non si riesce a vedere nulla, vuoi per l'educazione italiana che porta la gente a mettersi in piedi sui seggiolini, vuoi per i fenomeni che giudicano di platea un posto assolutamente distante, negando prospettiva e profondità, e ti fanno accomodare in confortevoli sedie da nani.

Chissà per un concerto o per una partita di calcio cosa sarebbe successo, ma 5 mila persone circa erano presenti al Mandela, eppure qualcuno se ne è voluto dimenticare e non ha mosso un dito per mettere a disposizione degli spettatori qualche mezzo per tornare nel centro città, allora non hai alternativa, ti aspetta un viaggio “alla Fantozzi” in un normale bus di linea, sogni le navette e pensi a quanto conta il wrestling e chi lo segue in Italia. Il mattino dopo ti alzi, apri il giornale e leggi il solito articolo patetico, inutile e basato sul consueto “sparare a zero” sul wrestling e arrivi alla conclusione che se non si conosce, o non si vuole conoscere, oppure si vuole scrivere per partito preso contro qualcosa, allora è meglio risparmiare carta e inchiostro.

Ma sapete quale è il bello, il motivo di orgoglio di tutti noi veri appassionati di vecchia data? Gli inconvenienti, gli ostacoli, gli imprevisti, i gruppi degli ignoranti, dei destabilizzatori e di chi fa di tutto per soffocare una passione ti fanno innervosire e non poco, ma alla fine ottengono il risultato contrario: ci consolidano, ci rendono più forti e compatti, saremo pure una nicchia in Italia, uno zoccolo duro, ma ci saremo sempre, in Italia non ci oscureranno mai.

Scritto da Diego Anelli
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