5 Star Frog Splash #59 – Punk Addict

Uno non può abbandonare la propria rubrica per due settimane che nel frattempo si scatena il finimondo: torna Sting, Dolph Ziggler fa il diavolo a quattro eliminando quattro su cinque del Team Authority e porta alla vittoria il Team Cena, CM Punk svela i motivi del suo addio che un po' tutti stavamo attendendo da dieci mesi, Vince McMahon viene intervistato nel podcast di Stone Cold Steve Austin, mi inizia inspiegabilmente a piacere Erick Rowan, Big Show compie uno storico turn ah no scusate, mi sono lasciato prendere. Scherzi a parte (no, su Erick Rowan non scherzo), non basterebbero dieci editoriali per trattare adeguatamente tutti questi avvenimenti dell'ultimo periodo. Ma dato che di Sting, di Ziggler, di quanto avvenuto a Survivor Series, di TLC (e anche di Rowan) avremo abbondantemente modo di parlare tra un mese (no, non tra due settimane perché – SPOILER! – torna l'Helluvakick! e sì, il 1º gennaio inizierete bene il 2015 leggendomi), vorrei dedicare questo numero del 5 Star Frog Splash alla mia opinione sul podcast di CM Punk e sulla risposta che Vince McMahon gli ha dato nel post-show di Raw. Anche per un senso di chiusura, perché tra un mese inizierà la Road to Wrestlemania e spero vivamente di dover dedicare la mia rubrica a qualcosa di più produttivo di parlare di un wrestler che, per quanto sia innegabilmente nella testa e nel cuore di tutti noi, probabilmente non lotterà mai più.
Perché è questa, in poche parole, la chiosa che emerge da quanto dichiarato dalla Straight Edge Superstar nel podcast che lo ha visto protagonista giovedì scorso: Punk ha affermato di odiare attualmente il mondo del wrestling e tutto ciò che lo circonda, nonché di essere un wrestler ritirato e che non tornerà mai più in WWE. Benché tutti noi sappiamo che “non tornerò mai più in WWE” è un'affermazione smentita più volta dalla storia recente della WWE (Bret Hart, Bruno Sammartino, Sting solo per citare tre dei nomi che probabilmente non ci saremmo mai sognati di rivedere), quelle di Punk sono indubbiamente parole forti. Sono parole forti perché provengono da un uomo che da poco ha compiuto 36 anni, quindi non più certo nel fiore dell'età sportiva ma che in WWE, acciacchi fisici permettendo, sarebbe potuto rimanere tanto tempo ancora. Vengono da un uomo che fin da ragazzino aveva fatto del wrestling la sua unica gioia, il suo modo di sfogarsi, la sua passione massima. Vengono da un uomo che aveva realizzato il suo obiettivo principale, arrivare in WWE per restarci, e che aveva tutte le ragioni per cercare di fare bene. Un uomo che ora, però, dice di odiare il wrestling e che in WWE non tornerà mai.
Molteplici le ragioni per cui Punk è arrivato fino a questo punto di rottura totale ma, come hanno già ben analizzato al Wrestling Cafe prima di me, i motivi possono essere ricondotti a due grandi macrocause: problemi di salute e problemi di booking. Ed è inevitabile fare questa distinzione perché se dal punto di vista fisico – nel caso in cui abbia assolutamente ragione e le sue parole si dimostrino completamente veritiere – Punk ha un motivo sacrosanto per dire le cose che ha detto, per quanto riguarda il booking tutto rientra nell'opinabile e in una visione complessiva che inevitabilmente vira verso la soggettività. Ma andiamo con ordine, parliamo dei problemi di salute di Punk. Problemi di salute che, direbbe qualcuno, scoprono l'acqua calda. Si è discusso molto in questi giorni di come Punk non abbia detto niente di sconvolgente (beh, oddio, la parte sull'infezione da stafilococchi se è vera un po' lo è), perché tutti noi in fin dei conti sappiamo che la WWE certo non si è distinta negli anni per tutelare scrupolosamente la salute dei suoi atleti. In questo caso, però, per me si è raggiunto un livello davvero pesante. Non è normale che un wrestler si operi al gomito e che qualche giorno dopo debba lottare come se niente fosse. Non è normale che un wrestler si operi al ginocchio (e da giocatore di football lo so il ginocchio quanto diavolo possa essere problematico) e due settimane dopo debba affrontare un TLC match contro Ryback (e chi ha ascoltato il podcast sa perché nominare anche il suo avversario sia importante). Non è normale che un'infezione da stafilococchi sia trascurata al punto tale da dover essere curata da un medico esterno alla WWE e presa a quanto pare giusto in tempo prima che potesse avere ripercussioni gravi per il Chicago Made (alla sua possibile morte ci credo poco, ma tant'è). Inutile spendere altre parole, inutile dire quanto abbia ragione su “Steroid Guy” Ryback, riconoscibile da chiunque come un pericolo pubblico per se stesso e per gli altri, le motivazioni fisiche ci sono e su quelle c'è ben poco da dire: CM Punk ha assolutamente ragione.
Per quanto riguarda invece i problemi creativi che CM Punk ha avuto in WWE, questo è un altro paio di maniche. È ovviamente su questo che il dibattito è esploso maggiormente, poiché Punk, come ci si aspettava, non ci è andato affatto leggero e non ha avuto riguardo per nessuno in WWE. Forse per questo le opinioni su di lui divergono così drasticamente, perché questa sua rabbia, questo suo fuoco è scambiato per presunzione. E chi dice che Punk è presuntuoso non sbaglia poi di molto eh, è la pura verità: non è la prima volta che la Straight Edge Superstar dimostra di possedere davvero quel “cult of personality” che lo ha contraddistinto nei suoi ultimi anni in WWE. Peccato però che, presunzione a parte, una cosa è realmente innegabile: CM Punk non ha torto quando dice di essere uno dei migliori al mondo, perché dall'estate 2011 in cui è esploso non ha fatto altro che dimostrarlo “on this microphone, in that ring, even on commentary!”. Punk voleva solo essere salvaguardato, oltre che dal punto di vista fisico, anche dal punto di vista creativo. Quando parla del fatto di dover affrontare e perdere contro avversari come The Rock e Undertaker e poi andare la sera dopo a Raw mentre i suoi avversari sono a casa sul divano ha ragione da vendere: anche io sarei frustrato se io lavorassi tutto l'anno per ottenere un risultato e poi arrivasse qualcun altro a rubarmelo da sotto al naso in modo completamente immeritevole. E il risultato che Punk voleva raggiungere, ormai lo sanno tutti, era uno solo: il main event di Wrestlemania. Punk era consapevole dei propri mezzi però non ha esitato a definire la propria carriera nel wrestling un fallimento per non essere riuscito ad arrivare al main event del Grandaddy of 'em all. Punk era consapevole dei propri mezzi però era nient'affatto egocentrico; sapeva che il 2014 sarebbe dovuto essere l'anno di Daniel Bryan. Ma sapeva anche che quel main event a lui sottratto a più riprese sarebbe stato sottratto anche a Bryan se durante la Road to Wrestlemania lo Yes Movement non avesse fatto sentire la sua voce. Per cui anche qui Punk è nel giusto, anche se in certi frangenti esagera (come quando dice a Triple H di non volerlo affrontare per non dargli quel privilegio, ecco lì è davvero esagerato) e passa dalla parte del torto. Ma le motivazioni sono lì, innegabili per chiunque.
Interessante è stata la risposta di Vince McMahon a quanto detto da Punk o meglio a quello che non ha detto, visto che McMahon ha affermato di non aver sentito il podcast di Punk. McMahon secondo me ne è uscito bene dal punto di vista dell'immagine perché ha fatto una cosa che forse non si sarebbe aspettato nessuno: scusarsi. Non certo per tutto, per i problemi fisici e creativi. McMahon si è scusato perché Punk è stato licenziato nel giorno del suo matrimonio. E McMahon sembrava davvero dispiaciuto di questo. In realtà, se devo essere sincero, a McMahon pareva che dispiacesse dell'intera situazione Punk, perché non avrebbe mai voluto trovarcisi in mezzo. Ma non solo per questo, anche perché Punk aveva tirato avanti la baracca di Raw per più di un anno, con un regno fantastico che aveva chiuso la bocca di chiunque. Eppure, durante quel regno fantastico non è mai stato nel main event, cosa che per me è trascendentale. Peccato, perché secondo me McMahon stima seriamente Punk e gli dispiace per tutto quello che è successo non solo dal punto di vista professionale ma anche da quello umano, perché secondo me ha dimostrato di stimare molto l'ex WWE Champion. Peccato che Punk i suoi problemi li abbia con Triple H, che a quanto pare è il principale “responsabile” (prendo sempre per buona la versione di Punk) della caduta della Straight Edge Superstar.
Quante incertezze. Dovute principalmente al fatto che nessuno di noi sa veramente se e quanto le cose dette da Punk siano davvero reali. Se davvero nel backstage tutto ciò di cui si preoccupano sia “Cosa fa poi John Cena?”, lasciando il resto del roster a navigare a vista. Se davvero il dottor Chris Amann sia un imbecille totale che faccia solo finta di preoccuparsi della salute dei suoi atleti, lasciandoli invece in balia di ogni infortunio o malattia. Chissà se si sarebbe potuto fare qualcosa per prevenire una situazione del genere, magari mettendo un responsabile delle relazioni con i talenti all'altezza di Jim Ross e facendo in modo che Punk si sentisse a casa, sempre e comunque. Peccato che tutto questo non è stato fatto. E che un performer del quale potremmo benissimo stare parlando per l'ultima volta sia stato “costretto” a prendere delle decisioni personali che gli hanno impedito di dedicarsi a ciò che amava di più al mondo, a una disciplina che amava forse più di se stesso e di chiunque altro stesse intorno a lui: il wrestling.