5 Star Frog Splash #227 – The Difficult Life Of A Babyface In Modern Wrestling

5 Star Frog Splash

Da quando diventare un face di successo nel wrestling è diventato tremendamente difficile? Ci riflettevo ieri guardando Raw, con metà puntata presa in ostaggio da una stable heel patetica che poi va a vincere nel main event in un 6-man Tag Team match contro il World Heavyweight Champion e gli Undisputed WWE Tag Team Champions, che dovrebbero essere i top face della compagnia. Una scelta di booking patetica, ovviamente. Il problema è che non è l’unico caso. E che accade sempre più spesso in WWE (ma anche in AEW, che forse è ancora più grave considerato quanto sia giovane la compagnia) a causa della più totale mancanza di partorire idee sensate.


Mettiamo in chiaro una cosa basilare: nel wrestling scrivere un wrestler heel è tremendamente più semplice che scrivere un face. Tu attacchi tizio random alle spalle, poi insulti la città dove si svolge lo show, poi strappi qualche cartellone dei fan, fatto. Ovviamente per essere un BUON heel ci vuole molto di più di questo, ma le basi sono pressoché quelle. Essere un babyface è invece molto difficile, specie nel wrestling odierno. “Never forget to train, eat your vitamins, say your prayers!”, diceva Hulk Hogan una volta. Se apparisse al giorno d’oggi un personaggio così sarebbe probabilmente un heel per come si è evoluta la società.

Diventare noioso, banale e ripetitivo è tremendamente facile per un babyface. Leggi alla voce John Cena, ipermegaacclamato dopo il suo turn face e nel primo anno da main eventer, per poi dover fare i conti per tutto il resto della sua carriera con un’accoglienza mista, quando non era ostile. Perché la transizione dal rapper edgy che dice agli avversari quello che pensa, senza fregarsene troppo delle conseguenze, al marine senza macchia e senza paura tutto “Hustle, Loyalty and Respect” non poteva che portare a questo. Anni di ripetitività, una faida interessante su cinquanta ed evoluzione del personaggio pressoché nulla hanno fatto il resto.

Per questo motivo un babyface ha bisogno di reinventarsi continuamente se vuole essere e rimanere interessante. È anche il motivo per cui c’è bisogno delle storie nel wrestling, anche se il wrestling di oggi spesso e volentieri fa finta che non sia così. Tipo quando sono più di tre mesi che Cody Rhodes e Brock Lesnar sono in un feud e ancora non ci è concesso sapere perché. Peccato che le storie siano il sale del wrestling. E che senza storie non si vada proprio da nessuna parte.

E sono il primo ad ammettere che inventare nuove storie continuamente per uno sport-spettacolo che si può riassumere in “Io e te ci crepiamo di mazzate sul ring” non sia facile. Ma lo si può fare, come ci insegna Sami Zayn che è pressoché l’unico motivo per cui una stable noiosa e ammorbante come la Bloodline abbia avuto qualche buon momento. E quando tutto questo non basta, la vita reale dei wrestler interviene in aiuto. Come l’enfant prodige caduto in disgrazia che torna per riprendersi quel che è suo.

Vero Drew McIntyre? Il Chosen One che a causa di errori di gioventù finisce nei 3MB e poi viene licenziato. Ma poi torna, con qualcosa da dire e con una missione. E tira fuori uno dei migliori campioni babyface degli ultimi vent’anni. Peccato che a guardarlo ora non si direbbe affatto. Troppo sbatti prestargli un po’ d’attenzione, eh WWE? D’altronde è solo uno dei pochi che ti ha trascinato fuori dalla pandemia, che sarà mai mostrare un po’ di riconoscenza a qualcuno? Hangman Page in AEW è un altro ottimo esempio di questa dicotomia: una storia (simil-)reale che ti trascina per farti diventare campione del mondo. Peccato che anche lì abbiano smesso di prestargli attenzione subito dopo.

Un altro modo di attirare attenzione e restare rilevante è inventarsi un personaggio dai manierismi talmente esagerati da attirare l’attenzione dei fan che vogliano vederlo. Vi saluta Seth Rollins. Peccato che questo sia venuto dopo 2-3 anni di un heel francamente terribile e che è diventato over prevalentemente per la sua musica, ma vabbè, ci accontentiamo. O ancora, essere talmente bravi e spettacolari sul ring e fuori da guadagnarsi l’apprezzamento indiscusso dei fan, come insegnano Kenny Omega e Bryan Danielson. Troppo bravi per non diventare i migliori, che la compagnia lo voglia o no nel caso dell’American Dragon.

Tutti questi tipi diversi di face, però, hanno tutti una cosa in comune. Una cosa in comune e dalla quale non si può prescindere: devono vincere. Perché il concetto di base del babyface è che lui è l’eroe che alla fine emerge vittorioso, quindi farlo perdere lo ammazza. Ovviamente, questo non vuol dire che debba vincere sempre. Tutti gli eroi hanno le loro sconfitte personali dalle quali risorgono dalle loro ceneri per tornare ancora migliori di prima. Non trasformerò questo editoriale in un trattato di epica, ma è così che funziona dai tempi dell’Iliade e dell’Odissea.

Per cui sì, l’eroe deve vincere. La sconfitta una tantum ci può stare, ma perdere continuamente è una cosa che li sminuisce e fa perdere loro sia status che la considerazione da parte del pubblico. Basti pensare a Kevin Owens e Sami Zayn, che da quando hanno vinto i titoli a Wrestlemania sono già stati schienati un numero non indifferente di volte. Sapevamo tutti che non avrebbero vinto sempre, ma si auspicava che venire fuori vittoriosi da un feud con la Bloodline avrebbe garantito loro almeno un periodo iniziale di immunità che avrebbe potuto aiutare a elevare la divisione tag team. Ovviamente, speranze vane.

Adesso però vi faccio una domanda. Quante volte sono stati schienati gli Usos durante il loro interminabile regno con le stesse cinture attualmente in possesso di Owens e Zayn? Probabilmente si possono contare sulle dita di una mano, e ancora più probabilmente tutti i casi sono avvenuti quando erano impegnati insieme al loro ancora più intoccabile cugino. E il problema, per quanto mi riguarda, è che gli Usos erano degli heel. Il che non vuol dire che potessero o dovessero perdere sempre, ma semplicemente che una sconfitta per loro significasse enormemente meno di quanto conti per Owens e Zayn ora.

Un heel ha diversi modi per incrementare il proprio status: attacchi alle spalle, promo in cui provoca i face generando heat, scappare dai match facendo i codardi e/o facendoli finire in squalifica o count out, etc. Un face ha praticamente solo un modo per incrementare il proprio status: vincere. E se questo non accade il face finisce ridimensionato MOLTO velocemente. Basta vedere dov’era Zayn a febbraio e dov’è Zayn ora. Sicuramente non allo stesso posto nelle gerarchie. D’altronde ha smesso di dover rendere over la Bloodline a ogni show e ha ormai esaurito la sua funzione, poverino.

Insomma, un lungo editoriale per dire cosa? Che è ora che la WWE (e la AEW, che lo fa meno ma è ugualmente colpevole) la smetta di prestare tutta questa considerazione non necessaria agli heel (i 1000+ giorni di regno da campione di Reigns LOL) e inizi a prestarne di più ai face, dato che sono DI GRAN LUNGA quelli che ne hanno maggior bisogno. Ovviamente non aiuta avere un campione heel che per metà del tempo ridicolizza il resto del roster e per l’altra metà sta a casa sul divano. E altrettanto ovviamente non aiuta che l’altro campione babyface sia un campione di serie C che pronti via deve vedersela con una stable ridicola e che perde da loro cercando di renderli rilevanti. Forse è venuto finalmente il momento di rivedere alcune priorità del wrestling attuale.

Scritto da Lorenzo Pierleoni
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