AEW Planet #83 – Forbidden Door

AEW Planet

Nell’AEW Planet di oggi è tempo di tracciare un bilancio di ciò che è stato Forbidden Door. Un evento per certi versi memorabile, per altri un po’ meno. Ma che ci consente chiaramente di segnare delle linee di demarcazione nel ripercorrerne e valutarne lo svolgimento. E nondimeno anche di poter confermare, per la AEW, ambiti in cui si vede chiaramente una crescita e altrettanti in cui borghesianamente parlando siamo ben lontani dal diesci. In maniera costante e vagamente imbarazzante, a tratti.


ACE ON THE RIVER

Entriamo in gergo pokeristico su ciò che ha davvero funzionato e partiamo dalle battute finali dell’evento. Omega contro Ospreay meriterebbe un editoriale tutto suo per quanto ha saputo rappresentare. Un’evoluzione di un conflitto nato in salsa giapponese e proseguito con i crismi del prowrestling a stelle e strisce. Se in Giappone avevamo assistito alla storia di Will Ospreay eterno incompiuto, qui in Canada abbiamo invece vissuto sulla nostra pelle il prosieguo del percorso di distruzione di Kenny Omega. Ad opera di Don Callis, ma che in senso più esteso si collega alla via crucis di infortuni patita e ad un cambio di rotta che lo ha portato a privilegiare l’Elite rispetto alla sua carriera in singolo.

Anche la sequenza finale, con Omega che quasi esanime allunga la mano verso il titolo è paradigmatico di un volersi aggrappare all’unico alloro rimasto. Di una collezione di tesori enorme, cross federazioni, cross continenti, ora per Omega non c’è più nulla. E il carnefice, come si evince dalle parole su Twitter di Omega, non è Ospreay, non è Don Callis, ma il fatto che c’è qualcuno che è stato più bravo di lui. I due sono riusciti clamorosamente a rendere tangibile tutto ciò durante il match, in piena continuità con il primo capitolo.

Ospreay ha peccato di tracotanza, ha nuovamente rischiato di non farcela arrivandoci così vicino. Ma nello svolgimento è sempre stato un passo avanti: lui il primo a ferire, lui a rubare la finisher all’avversario, lui a creare diversi spot of the night. Ospreay colpiva, Omega reagiva. Come al conto di 1 dopo One Winged Angel che ha fatto tremare le fondamenta della Scotiabank Arena di Toronto. Porta aperta quindi per la bella, quanto mai necessaria, per concludere entrambi gli archi narrativi ancora aperti. Visto che Ospreay stesso ha vinto, ma non da solo.

Continuità che sembra essere uno degli outcome anche del main event, su cui va necessariamente fatta la tara sulle aspettative. Il match Okada vs Danielson è stato davvero ottimo, pur non essendo perfetto. E farei un applauso per la prima volta alla produzione AEW, dai video package a tutto l’accompagnamento a questo incontro. Sono riusciti, senza strafare, a creare il background per un’epica di due supernova che si scontrano nel firmamento. Che è poi uno dei grossi elementi per cui Forbidden Door 2023, a parer mio, è andato oltre il pur illustre precedente. E paradossalmente, almeno in me, l’infortunio di Danielson ha contribuito a migliorare il match, non a peggiorarlo.

L’incontro è vissuto su una sostanziale parità, che per quanto meravigliosa dal punto di vista lottato, è stata un po’ piatta da quello emozionale. L’unica reale vibrazione in tal senso l’ha causata proprio l’infortunio di Danielson. Perché lì si è iniziato a vedere un racconto di livello più elevato. Il coraggio, la forza morale prima che fisica, la voglia di vincere contro ogni avversità. L’American Dragon ha sofferto in maniera evidentissima, ha combattuto incredibilmente pur avendo un braccio attaccato al corpo. Non riuscendo a chiudere la propria submission finisher ma al tempo stesso continuando a dare l’impressione che le sue contromisure “monobraccio” facessero un male terribile a Okada.

Fantastico. Ho pensato questo vedendo gli ultimi 10 minuti di Danielson. Non sapremo mai come sarebbe potuta andare con Bryan sano. Probabilmente avremmo avuto un cambio di ritmo in termini di velocità, di finisher e kick out, si sarebbe creata una tensione diversa basata unicamente sul risultato finale. Ma la drammaticità che ha avuto vedere e sentire la sofferenza di Danielson nel non arrendersi, sommata all’incertezza, per me è stata incredibile.

TURN NEL NULLA

Altro elemento degno di nota, che si collega allo scorso numero del Planet, è il turn di Jungle Boy. Al termine di un match piuttosto scialbo contro SANADA, l’ex membro dei Jurassic Express si è scagliato contro HOOK, motivando il tutto poi nel Dynamite di questa notte. Occasioni di fare il grande salto titolato che gli sono state sottratte con l’inganno. Un promo brutto, che non ha attecchito con il pubblico e che porta a un feud con HOOK che fa fare a Jack Perry non uno, ma dieci se non venti se non cinquanta passi indietro.

Turn con i tempi completamente sbagliati, che doveva avvenire nel fallout di Double or Nothing riprendendo il momento in cui cintura alla mano poteva colpire MJF e chiudere il match. Oppure che doveva maturare ulteriormente ora, con motivazioni più convincenti, con un obiettivo più chiaro e più utile di una cintura FTW. Di cui non frega nulla a nessuno.

Di sicuro non lo proietta a gravitare nell’orbita di MJF, capace di prevalere in un match poco più che sufficiente contro un incerto Tanahashi. Né gli dà un tessuto narrativo paragonabile a quello di Sammy Guevara, in corso di split con il suo mentore pluriennale Jericho. Con Darby Allin a fare il diavoletto sulla sua spalla. Lo Spanish God si candida al ruolo di top face nel futuro prossimo venturo. Ha una direzione chiara e un seguito crescente. Sta seguendo i giusti passi per “diventare grande”. E qui il turn face è prodromico al completamento di un percorso di crescita, fatto ai danni peraltro di una divinità heel come Chris Jericho.

FLOP AL FEMMINILE

In chiusura, al contrario del giro di carte del Texas Holdem, eccoci al flop. Che ancora una volta coincide con la divisione femminile. Non solo come svolgimento dei match, ma proprio come intenzioni. Come mancanza di idee, come pigrizia di scrittura, inesistenza creativa. Ditela come volete, ma tra tutti i vari show, PPV compresi, la costante insufficiente è sempre lì. E ne fa le spese un’ottima performer come Toni Storm, prigioniera di un regno del tutto insipido e nato in maniera non valorizzante. L’attenuante infortuni è valida, perché perdere la Hayter che era il centro di gravità permanente della divisione è sicuramente grave. Ma anche nella situazione di emergenza c’è modo e modo per venirne fuori. E la AEW al femminile continua a galleggiare nella noia e nell’inutilità più assoluta, quasi come fosse un corpo estraneo della federazione.

In un universo di prowrestling, di match caratterizzati da un ottimo lottato, di velocità e di epica come di cui sopra, Storm, Soho e Saraya bullizzano con una bomboletta spray. Che diventa l’unico elemento costante della loro forma di controllo sulla divisione. In ogni incontro, in ogni evento, contro qualunque avversario. Il tutto vive su quando o se riusciranno a imbrattare la malcapitata di turno. Che per di più costantemente risalta più della campionessa stessa. Willow Nightingale ha condotto senza sosta l’incontro a Forbidden Door. La Storm non ha letteralmente fatto niente e ha vinto a caso con la Storm Zero.

E questo è quanto per Forbidden Door. Un evento ottimo anche in virtù del fatto che a differenza del precedente, ha saputo non solo offrire match di grande qualità, ma anche seminare per futuri sviluppi. Sia in All Elite, sia in chiave NJPW.

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Scritto da Andrea Samele
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