AEW Planet #35 – Best Moment 2020

Tra pandori e panettoni, tra tombole e cenoni, è tempo di chiudere l’anno in casa AEW. Andrea “The Philosopher of Violence” vi guiderà attraverso una carrellata dei Best Moment 2020 in quel di Jacksonville, che farà invidia ai filmati del Grande Fratello o a qualsivoglia format defilippiano.


BEST MOMENT OF 2020

Il bilancio è sicuramente positivo per quanto abbiamo visto sia nelle puntate di Dynamite che nei Pay per view. Coerenza, personaggi ben delineati, storyline interessanti e con il giusto tempo di cottura. Guardare uno show AEW difficilmente lascia l’amaro in bocca: ci sono stati chiaramente anche dei bassi, ma in linea generale va riconosciuto a Tony Khan e soci il tentativo di riportare il wrestling all’interno di binari di credibilità che coinvolgano sia l’aspetto creativo che quello dell’azione in ring.

Cos’è mancato? Sicuramente qualche colpo di scena in più, che facesse sfondare, magari in pianta stabile, il muro del milione di viewers. In una Wednesday Night War che comunque ha visto la AEW dominare platealmente la scena contro il prodotto NXT. Paradossalmente, i fuochi d’artificio sono arrivati proprio nel mese di dicembre, con il debutto fantastico di Sting e l’interferenza di Don Callis nel match per il titolo del mondo, che ha poi portato il neo campione Kenny Omega a lasciare il proprio marchio il martedì sera a Impact!.

INIZIO ANNO DA CAMPIONI

Proprio l’inizio anno ci ha regalato quello che a parer mio è il Match of the Year 2020. Il suddetto Kenny Omega e Adam “Hangman” Page hanno incrociato le armi contro gli Young Bucks, griffando il PPV Revolution con un incontro a 6 stelle nella scala Meltzer. 30 minuti di grande wrestling, in cui abbiamo visto un concentrato di tecnica, intensità, velocità, storytelling e narrativa. Un’autentica gemma del tag team che vi invito a vedere o rivedere se non sapete come tirare la mezzanotte in questo finale d’anno targato Covid.

Evento in cui Jon Moxley ripose la benda dal suo occhio, sconfiggendo Chris Jericho e dando inizio al regno che ha segnato l’annata di Dynamite. Un personaggio ritrovato, capace di dominare la scena con il proprio carisma e di meritarsi l’incoronazione del Pro Wrestling Illustrated nella sua popolare top 500. Un avvio di 2020 che è quindi stato all’insegna dei grandi campioni, che potevano e dovevano trainare la compagnia con la loro già consolidata popolarità.

Canovaccio continuato anche con la fioritura della primavera, che ha incoronato l’allora Cody (sprovvisto di cognome) first ever TNT Champion a Double or Nothing. Primo evento condizionato in maniera importante dalla pandemia, che ha privato i wrestler del supporto fondamentale e imprescindibile del pubblico e che ha costretto i creative team di tutte le compagnie a pensare fuori dagli schemi, buttandosi nel cinematic wrestling. Proprio DoN, ci ha offerto lo Stadium Stampede Match, in cui l’Elite, impreziosita dall’aggiunta di un poliedrico Matt Hardy, ha avuto la meglio sull’Inner Circle. La stable capitanata da Chris Jericho ha iniziato da lì il proprio declino verso il midcarding, passando dalla scena titolata alle spremute d’arancia con Cassidy o alle cene con MJF.

OPULENZA ESTIVA

Tra primavera ed estate, il roster AEW ha aumentato esponenzialmente i grossi calibri a propria disposizione. Addizionando nomi di tutto rispetto come Matt Hardy, Lance Archer, Brodie Lee (l’ex Luke Harper in WWE), FTR (al secolo Revival), Miro (Rusev) e l’ex campione di Impact Wrestling Brian Cage, finito in stable con Taz e altri due debuttanti del mercoledì sera (l’ottimo Ricky Starks e Will Hobbs). Se da un lato questo ha contribuito a dare appeal e figure simbolo al roster, dall’altro ha ingolfato enormemente il percorso creativo. Troppi character cui dare risalto, troppe figure che non potevano permettersi di perdere, risultati talvolta contraddittori, in particolar modo intorno al TNT Championship, passato di mano diverse volte senza che vi fosse un’apparente connessione logica.

Percorsi ondivaghi che hanno esaltato prima e depotenziato poi performer come Orange Cassidy, Darby Allin, Brodie Lee, Lucha Bros. La netta impressione è che i nomi in ballo fossero (e siano tuttora) troppi. Troppe bocche da sfamare, con il risultato di avere dei conflitti di individualità in posti della card poco di pertinenza. Il caso più eclatante è a parer mio MJF, Heel of the Year a mani basse, dato in pasto a Moxley come un semplice +1 (main event di All Out) e poi abbandonato a segmenti comedy con Chris Jericho, che per quanto divertenti possano essere, rappresentano comunque un significativo passo indietro per l’ottimo wrestler inglese.

PIROTECNICO FINALE DI ANNO

Se l’estate è stata povera di tormentoni e molto ricca di canzoni mononota, equamente divise tra i vari titoli (Women’s compreso, ma su quello la monotonia è congenita), l’ultima parte dell’anno ha decisamente cambiato marcia. La AEW ha tirato le fila di quanto costruito e ha dato vita a un ottimo Full Gear e a show ben oltre la sufficienza.

Abbiamo ammirato e ascoltato uno strepitoso Eddie Kingston, un imprevisto del Monopoli arrivato direttamente a Parco della Vittoria, per quanto poi l’epilogo sia stata una sconfitta con Moxley in un validissimo I Quit Match. Ci siamo goduti lo scontro epocale tra FTR e Young Bucks, con i fratelli Jackson a certificare con una cintura il proprio rango di miglior tag team sulla scena del wrestling mondiale. Abbiamo visto Kenny Omega ritrovare i panni di The Cleaner, con un turn heel completato da un’invasione in quel di Impact!, motivata da una collaborazione di lunga data con Don Callis.

È la storyline decisamente più interessante con cui ci avviamo al nuovo anno, un connubio tra show rivali dell’egemonica WWE, che può dare lustro (se ben gestito) a entrambe le compagnie. Soprattutto perché è coinvolto Kenny Omega, il nome di punta, il volto della federazione, dopo la vittoria su Jon Moxley per l’AEW World Championship. I promo tenuti nelle scorse puntate hanno solo gettato le basi, senza esporre troppo i piani diabolici della nuova power couple del pro wrestling mondiale. Serve un deciso cambio di passo perché altrimenti il rischio è che di questa storia, potenzialmente devastante, non importi più niente a nessuno.

La chiusura, però, non può che essere per una delle leggende di questo sport/entertainment. Uno dei miei eroi, a prescindere da dove, come e quando. Il 2 dicembre a Dynamite, match tra il neocampione TNT Darby Allin e Cody contro il Team Taz, le luci sul ring si spengono. Risuona una musica, bellissima. La neve, il vento, l’immagine di un corvo. Atmosfera, pathos, intensità. E improvvisamente l’urlo di Tony Schiavone. IT’S STIIIIIIIIING! It’s Sting. Sting è ALL ELITE. Nessun parola, solo sguardi. La perfezione in un segmento. È bastato questo per dare un’impennata ai ratings, per far parlare chiunque. Per farci chiudere quest’anno chiedendoci, ansiosi: cosa farà Sting nel 2021?

Con questo, siamo arrivati alla fine di questo Planet, auguro a tutti i lettori delle piacevoli festività natalizie e un felice inizio del nuovo anno!

Andrea Samele
Andrea Samele
Laureato in filosofia, amante della creatività, della scrittura e del suono musicale di una chop. Appassionato di wrestling di lunga data per la capacità di creare personaggi e storyline in grado di coinvolgere gli spettatori. Per Tuttowrestling.com curo l'AEW Planet.
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