GPOrder #50 – Siamo così, dolcemente complicati..
Avete mai fatto caso a come nel mondo del Wrestling non siano soltanto le gimmick ed i comportamenti dei wrestler ad essere stereotipati, ma anche le reazioni del pubblico? In particolare proprio quello più “smart”, più esperto, più disposto a discutere anche dell'ultimo pettegolezzo del backstage o di booking e controbooking, salvo però poi immedesimarsi appieno in chiave mark quando si entusiasma per qualcosa.
Che questa sia poi la fetta più “feroce” rispetto alle principali major americane è infatti assolutamente indubbio: la memoria storica e l'indubbia competenza da un lato infatti inevitabilmente portano a criticare aspramente il presente in favore dei capitoli migliori del passato, dall'altro a volte perfino a idealizzarlo, quasi dimenticandosi come anche grandi cose evocate dal passato non sono sempre state esattamente rosa e fiori. Ovviamente il discorso è applicabile a 360 gradi, ovvero analizzando le varie “ere” oppure focalizzandosi sulla singola federazione o sul singolo atleta. Cena non vale Austin, Cena non vale Hogan, Cena non vale Rock, e così via.
Oggi però vorrei focalizzare l'attenzione non tanto sulla utilità /applicabilità /obiettività di queste critiche o semplici valutazioni, perché sono temi che si discutono da tempo immemore; oggi voglio richiamare la vostra attenzione su un altro elemento molto meno dibattuto ma sicuramente presente e assolutamente critico, ovvero la prevedibilità di una reazione.
Prevedere con assoluta certezza senza mai fallire la reazione positiva/negativa del pubblico è il sogno di ogni analista di marketing che si rispetti, perché ovviamente consentirebbe di dare al pubblico sempre e solo ciò che vuole, idee sempre vincenti e mai da affossare in breve tempo. Chiaro che si tratta di una pura utopia, perché non tutti abbiamo gli stessi gusti, non tutti apparteniamo alle stesse fasce di mercato, e così via: il wrestling che piace a me non è lo stesso di chi ha la metà o addirittura un terzo dei miei anni (sic!), ovvio. Quelli che però rende complicata, anzi complicatissima la vita dei booker, sono invece due fattori, questi si davvero molto peculiari del mondo del wrestling: l'imprevedibilità di una reazione e la velocità con cui questa può cambiare.
Sulla imprevedibilità davvero si potrebbe scrivere una ricca, ricchissima, enciclopedia, sia in negativo che in positivo. Quante volte, ad esempio, idee sulle quali non solo nessuno avrebbe scommesso una lira, ma che anzi appena presentate al pubblico hanno generato critiche ferocissime, sono poi state dei piccoli, medi o addirittura clamorosi successi. Una infinità , ma soprattutto anche senza un motivo, o meglio con un motivo che spesso di logico non ha davvero veramente nulla. Un esempio recentissimo? Facilissimo.. prendete i primi promo di Fandango e le prime reazioni del pubblico, tuttaltro che paragonabili a quelle attuali. Quanto tempo è passato? Un infinitesimo, ma soprattutto per quale motivo assolutamente logicissimo è cambiato tutto? Per un gruppo – consistente per carità – di folli tifosi che nella puntata post-Raw hanno scimmiottato la loro musica? Ebbene si, e ditemi chi sarebbe stato in grado di prevederlo e come!
Chiaro che non sempre le cose sono così bislacche, ad esempio il crollo dell'interesse verso AJ, tanto per citare un altro esempio che mi viene in mente, di motivazioni ben più logiche ne ha eccome, ma in generale si possono identificare davvero tanti e tanti casi nel presente come nel passato di situazioni in evoluzione sicuramente rapida e non sempre per fattori prevedibili.
Ecco perché a volte pur non comprendendo il perché di certe scelte non me la sento di gettare la croce addosso alla WWE, soprattutto quando viene ad essa mossa la critica di non essere riuscita a costruire personaggi dal carisma e dal seguito tali da dover ancora oggi “pescare” più nel passato che nel presente per riempire la parte alta delle card dei pay per view. Non che non sia vero, non a caso la differenza fra questa edizione di Extreme Rules e quella dell'anno scorso è marcatissima come “starpower”. Però ogni tanto mi chiedo: ma è proprio così facile costruire un grande successo, quando questo a volte può non soltanto costruirsi e/o distruggersi, ma lo può anche fare in poco tempo?
Guai a considerarlo, un alibi sia chiaro: il Triple H monopolista a Raw del 2002/2003, il primo John Cena campione praticamente imbattibile e perennemente monotono, quelli sono esempi di come al contrario anche questa forte imprevedibilità di fronte alle pure schifezze abbia un limite. Però rendiamoci anche conto che non soltanto i CM Punk nascono tutti i giorni, ma soprattutto una volta individuato chi ha il talento per diventarlo fra il dire e il faro c'è di mezzo tantissimo, compresa una bella dose di casualità più assoluta.
In cosa quindi effettivamente si può lavorare? Semplice, sul saper cogliere la reazione, modificare dinamicamente la propria strada; evitando gli estremi, che però attenzione sono entrambi. Un primo estremo è certamente ignorare ciò che il pubblico fa capire fin troppo chiaramente di volere, vedi ad esempio il trattamento, a volte davvero oltre l'inspiegabile, riservato a Zack Ryder. Un altro estremo, però è seguire sempre e immediatamente ciò che invoca il pubblico smart, proprio per la pluricitata enorme volubilità . Siete proprio sicuri che Zack Ryder superpushato sia poi over per un periodo sufficientemente lungo da giustificarne il push? O che sarebbe davvero “positiva” (nel senso di gradita e premiata da rating e acquisti ppv) al 1000% la reazione del pubblico verso un turn heel di Cena, senza ovviamente considerare gli altri fattori economici che come al solito non mettono nemmeno in discussione l'idea?
Ecco dunque un nuovo tema, un ulteriore elemento che vorrei aggiungere nelle consuete nostre discussioni, al momento spesso focalizzare solo sotto l'aspetto economico; con buona pace, fra l'altro, di chi alla prima notizia sulle condizioni rassicuranti di Cena deriva con deliri puri come “la WWE è in crisi per il prodotto di merda che fa”, cosa vera quanto la sincerità del minuto di raccoglimento per Andreotti fra la gente comune allo stadio.
Provate, dunque, ad immaginare il prodotto che oggi seguiamo con passione – anche senza risparmiarci critiche, per carità – considerando non soltanto i fattori economici che lo determinano, ma anche le oggettive difficoltà creative nel crearlo, intercettando un consenso velocemente volubile. Lo Shield tira? Certo che tira, maledettamente di più del previsto; e allora cosa dare di meglio? Ambrose, Reigns e Rollins; sembra ovvio, ma lo è fino a un certo punto, perché frutto della doppia difficoltà di gestire bene, vedi la credibilità conferita al gruppo, e capire bene, vedì il momento dove metterli al centro dell'attenzione.
In sintesi, il tifoso più “fissato” vorrebbe sorprese e soprattutto cambiamenti con frequenza assai più alta di quanto è possibile, ma quando questa voglia viene orientata al meglio sono rose, quando viene ignorata, almeno dal punto di vista creativo, sono dolori. Avete fatto caso, e guarda un po' dubito sia una coincidenza, a quale sia il personaggio più criticato, quello che altri fattori – ovviamente economici – lo vincolano a una staticità clamorosa? Lo potete ammirare nella copertina di questo numero..