Gorilla Position #16 – La sindrome di Lesnar-Reigns

Probabilmente non è ancora codificata tra le patologie ufficialmente riconosciute. Ma quella della WWE e dei fan verso Brock Lesnar e Roman Reigns è a tutti gli effetti una sindrome. Volontaria o involontaria che sia. Siamo tutti addicted, in un modo o nell’altro, a quella che è diventata quasi una droga. La ricerca morbosa di qualcosa di nuovo che venga fuori dalla WWE. Ed è paradossale al limite del parodistico e del ridicolo che la novità venga da coloro che stanno monopolizzando in maniera terribilmente noiosa la scena in quel di Stamford.


E in questo la WWE è stata, anche qui, volontariamente o involontariamente, incredibilmente intelligente e sveglia nel cogliere la palla al balzo. E vivere di rendita, perché quando ti capita la botta di culo e sei maledettamente pigro, cosa fai? Alzi le chiappe e ti metti a lavorare sulla tua fortuna? No. Capitalizzi l’immediato, lo sfrutti, lo spremi fino al midollo fino a fare terra bruciata intorno.

Parliamo di Roman Reigns. Il miglior wrestler dell’anno nei nostri Awards, quasi unanimemente riconosciuto al top anche nella categoria heel. Con una storia che lascia il tempo che trova, perché era il top face cui il pubblico non tributava il giusto apprezzamento perché imposto. Poi la leucemia, il ritorno tra gli applausi e qualche lacrimuccia. Finché non arriva il COVID e ci giochiamo Reigns. Che però dopo l’estate torna, in grande stile, vince, stravince da heel con Paul Heyman al fianco.

Millantando il fatto che il pubblico non lo avesse compreso. Proprio nel momento in cui invece i fan avevano mostrato empatia con la sua storia reale. E torna con Heyman a fianco, l’avvocato dell’arcinemico, quel Brock Lesnar con cui gli appuntamenti e le sfide non sono certo mancate. I promo di Reigns sono cambiati? No. Non a parer mio. Sono meno costruiti, certo, perché un face che faceva promo con quell’espressione cupa e quel tono baritonale non era esattamente credibilissimo.

Ma sono sempre recitati e poco vissuti, sono sempre poco empatici, privi di qualsiasi guizzo, piatti. Per questo ci si stupisce quando salta fuori con la battuta sul missionario, per esempio. Perché non te lo aspetti, da un mediocre come Reigns. Non ha spessore narrativo, non ha profondità. Sono cambiate le catchphrase, non c’è più I’m the guy o this is my yard ma abbiamo acknowledge me, head of the table, tribal chief ripetute alla nausea e dietro cui si nasconde.

E sul ring? Lo stile è sempre lo stesso. Raramente abbiamo visto Reigns usare mosse tipiche da heel, il canovaccio è sempre analogo, clinch, power moves, superman punch, urlo e spear. Ci sono state interferenze e aiuti masempre esterni, senza una inversione di tendenza nel modo che il personaggio ha di presentarsi sul ring.

Eppure il “nuovo” Reigns piace da impazzire. Perché? Perché è quello che la gente ha sempre desiderato vedere, il famigerato turn heel. Quindi io nutro le tue aspettative dopo averti lasciato per tanto tempo a penzolare e tu in cambio mi regali devozione a scatola chiusa. Comprensibile, se mi metto nei panni di Tantalo che sta lì, affamato e assetato, con frutti che non può raggiungere e acqua che non può bere, quand’anche mi portassero il peggior junk food del mondo e dell’acqua salata di mare, direi grazie, vi prego, ancora.

Ed è lo stesso discorso anche per Brock Lesnar, la cui attitude da face o tweener a seconda dei gusti è irresistibile, divertente, piacevole. Anche per me e non ho problemi ad ammetterlo. Lesnar è by far la cosa più interessante che ci sia oggi in WWE. Senza Heyman a tenerlo in secondo piano, libero di esprimersi, di farci vedere qualcosa di lui che non sapevamo. Ironico, pungente, senza che questo ne snaturi l’indole da massacratore. Un connubio riuscito di conservazione e innovazione.

Che si declina però nella stessa identica storia, che ogni anno con cadenza regolare come il ciclo mestruale ci tocca vedere. Arrivo, vinco il titolo, massacro chiunque prima e dopo, affronto Reigns, me ne vado. E intorno, again, terra bruciata. Lo ha fatto anche questa volta, con il sorriso e la salopette, ma lo ha fatto ancora. Entra di straforo in un fatal 4 way che include la créme del roster WWE degli ultimi anni. Rollins, Owens, Big E, Lashley. Tutti ex campioni, tutti main eventer più o meno consolidati (spiaze, Ettore). E li massacra. 8 minuti di main event, 8 minuti di Fatal 4 Way in cui c’è in ballo il titolo del mondo.

F-5, affondati. Tutti. Ineluttabilmente. Il grande inganno di Reigns e Lesnar è servito, invertendo i ruoli e mascherando la ripetitività con la novità di ciò che la gente voleva e sperava tremendamente di vedere. Ci fanno fessi facendoci contenti. Ecco perché hanno diritto di cittadinanza entrambi i partiti, quelli del “siamo fessi” e quelli del “siamo contenti”. Un bipolarismo su cui magistralmente la WWE sta tirando a campare, ma con cui prima o poi dovrà fare i conti. Perché tra Lesnar face, Reigns heel ed Heyman nel mezzo, le potenzialità narrative sono immense. Da non sprecare con il solito piattume nonsense edificato sulle macere del resto del roster.

Andrea Samele
Andrea Samele
Laureato in filosofia, amante della creatività, della scrittura e del suono musicale di una chop. Appassionato di wrestling di lunga data per la capacità di creare personaggi e storyline in grado di coinvolgere gli spettatori. Per Tuttowrestling.com curo l'AEW Planet.
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