AEW Planet #85 – Non dimentichiamoci di Jericho

Nelle ultime puntate di Dynamite e Collision, abbiamo visto germogliare tante trame in casa AEW. Elite e BCC hanno monopolizzato la scena per un bel po’, prima che MJF e Cole tirassero fuori il coniglio dal cilindro. Ma anche ora che Blood & Guts ha tracciato una linea di confine tra prima e dopo, il Blackpool Combat Club continua a creare interesse.


Dall’intreccio ROH con il Death Triangle, alla perdita di controllo di Jon Moxley dopo le sconfitte subite, al ruolo di Wheeler Yuta. Il modo in cui si è concluso il Blood & Guts è stato quasi poetico, con Moxley che in barba ai capisaldi su cui era nato il BCC decide di ammettere la sconfitta per proteggere Yuta da un livello di violenza che lui stesso aveva subito da Hangman Page.

Cole e MJF hanno vinto il Blind Tag Tournament, ma guardando più in là, hanno creato una chimica tale da rendere impossibile sapere quale sia il modo giusto per continuare. Probabilmente per loro si era pensato a uno split nel breve. Di cui già vediamo le fondamenta in questi giorni, con gli screzi sul titolo mondiale detenuto dal Diavolo. Ma è innegabile tornare a pensare, una volta di più, a quanto sarebbe più profondo narrativamente parlando dare a MJF qualcosa di meglio. E la AEW su questo sta giocando benissimo, facendo sì che MJF conceda a Cole la title shot, che Cole al tempo stesso moderi le gelosie di Roderick Storm, dicendo a più riprese di fidarsi di lui. Che sa quello che fa.

Potrebbero turnare entrambi e non ci sarebbe niente da dire, perché ci sono presupposti su tutti i lati della faccenda. A Collision abbiamo CM Punk a imperversare, Ricky Starks a cercare nuove identità, gli FTR a cementare il proprio ruolo di miglior tag team dell’era contemporanea del professional wrestling. Ma, venendo al titolo dell’editoriale, c’è un altro filone narrativo che sotto traccia si sta sviluppando intorno alla figura di Chris Jericho. Che è parimenti interessante proprio per la quantità di sbocchi cui può portare.

Jericho, peraltro in vacanza in Italia in questi giorni, da quando è in AEW si è specializzato nel creare stable. Allo scopo, ovviamente, di lanciare giovani. Cosa in cui lui ha sempre eccelso anche in WWE. Cosa che lui ha sempre fatto nella sua seconda parte di carriera. Inner Circle prima, JAS ora. E sembra arrivato il momento in cui Sammy Guevara e Daniel Garcia inizino a camminare con le proprie gambe. Insofferenti alla figura del leader che non è più quello di un tempo, ha perso potere. Non ha più obiettivi, né convinzione, se pensiamo alle sue ultime azioni. E in questo contesto si è inserito Don Callis, uno squilibrato equilibratore.

Callis con il discepolo Takeshita al seguito si è posto come elemento di congiunzione e di transizione da una prospettiva banale, come il turn face dei due su Jericho, a una più evoluta. Con Jericho che di sua iniziativa decide cosa vuole fare da grande, per sé prima che per gli altri. Nel wrestling è fondamentale il processo di identificazione e una storia ha successo quando si riesce a capirne i meccanismi da tutti i punti di vista. Spesso, le vicende giovani vs vecchi risultano vuote di contenuti, perché mentre il Guevara di turno ha tutto da guadagnare, a Jericho frega relativamente di dove lo Spanish God vada a parare.

Vuoi andare per conto tu? Vai. Non c’è bisogno che io combatta con te. Perché io non ho niente da fare. Non c’è un titolo in palio, non mi dà alcuna prospettiva scontrarmi sapendo di perdere. Inserire Callis è secondo me una mossa molto valida per l’intera riuscita della storia. Perché dà a Jericho degli spunti di riflessione, una profondità che va oltre il subire l’emergenza altrui in maniera forzatamente e disinteressatamente passiva. Come nel caso di MJF, si può anche qui creare un intreccio volto a non svalutare il personaggio e il suo ruolo, ma a valorizzarne lo sviluppo. Il vecchio leone che cede il passo ai giovani virgulti, ma che al tempo stesso non rinuncia al suo amor proprio per legarsi al machiavellico manipolatore.

Insomma, spesso in queste righe abbiamo parlato di come scrivere un face non solo sia estremamente difficile. Ma sia anche una cosa in cui a volte ci sia della pigrizia creativa incredibile. O della carenza di coraggio, che dir si voglia. Con un face è più facile rinunciare a mettersi in gioco, per rimanere nel paradigma del classico tradimento e tanti saluti. Quello che la AEW dell’ultimo periodo sta facendo è invece calibrare i ruoli in base a ciò che possano significare per il personaggio che li interpreta. Ed è, a prescindere dall’esito, uno sforzo più che apprezzabile.

Purché non inizino ad andare on screen con magliette ridicole “Ho battuto HOOK”…

Andrea Samele
Andrea Samele
Laureato in filosofia, amante della creatività, della scrittura e del suono musicale di una chop. Appassionato di wrestling di lunga data per la capacità di creare personaggi e storyline in grado di coinvolgere gli spettatori. Per Tuttowrestling.com curo l'AEW Planet.
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