AEW Planet #75: Revolution

Per fortuna alla fine c’è il ring. E dopo mille peripezie, costruzioni stentate, personaggi in cerca d’autore, feud stantii, rumors, polemiche e chi più ne ha più ne metta, è arrivata la dura legge del quadrato. Consegnando agli archivi un Revolution a tratti entusiasmante, che ha peraltro lanciato un forte segnale su questo 2023. Una sorta di rivoluzione di nome e di fatto, un grido di battaglia lanciato dalla gioventù che appariva bruciata e che invece dall’evento è uscita tirata a lucido.
Starks ha prevalso su Jericho, Wardlow su Samoa Joe, Hayter ha mantenuto su Soho e Saraya, House of Black ha detronizzato l’Elite, “Jungle Boy” Jack Perry ha messo il punto esclamativo finale al capitolo Christian Cage. Un cambio di passo importante, gestito quasi sempre con incredibile lucidità sia nella struttura dell’incontro che nella sua messa in atto. Per arrivare poi al main event, in cui MJF ha completato l’opera in un 60 minutes (più recupero) Iron Man Match che entra di diritto nel novero dei grandi match della storia AEW.
MJF E DANIELSON: 60 MINUTI INDIMENTICABILI
Partiamo proprio da qui, dal main event. Che nasceva con grandi aspettative legate al fatto che si affrontavano due fenomeni. Perché che piaccia o meno a chi guarda bendato gli show, MJF merita questo appellativo. E lo ha dimostrato una volta di più in quel di Revolution. Tuttavia, le premesse non erano ideali: la storia traballava, sembrava cercare una ragione di esistere perché dall’addio di William Regal MJF aveva perso la propria bussola. Si è riciclato il classico “Le fatiche di [nome]”, si è parlato di mogli, fidanzate, tradimenti, figli, cose e ancora cose. Salvo poi ricordarsi all’ultimo momento che, indovina indovinello, c’è un titolo AEW nel cappello. E ciò da cui doveva partire Danielson, ovvero palesare il suo desiderio di conquista, è diventato il punto di arrivo.
Ma a Revolution si sono ingranate subito le marce giuste. Il match ha avuto un ritmo incredibile, una tensione costante. Sono stati 60 minuti di sali-scendi in apnea, caratteristici di un Iron Man Match. Ci sono stati riferimenti presi dal passato, intrecciati con un racconto per cui MJF non è mai sembrato inferiore a Danielson, il campione ha fatto per la prima volta nel feud il campione. Pur cercando scorrettezze varie ed eventuali, ma abbiamo capito che con lui questo è il canovaccio. Primo schienamento di Danielson, con un Busaiku Knee, poi low blow di MJF e conteggi vari per un 2-2 poi divenuto 3-3 raggiunto dall’American Dragon che va per la sottomissione finale. Ma come in Lesnar Angle, per esempio, MJF cede solo dopo il suono della campana. Il pubblico è rimasto costantemente in delirio, ha circondato il match di un elemento aggiuntivo terrificantemente emozionante.
Per quanto il risultato del match sembrasse piuttosto indirizzato in favore di MJF, l’andamento ha creato incertezza continua perché per 60 minuti questi si sono riempiti di legnate. Non si sono risparmiati in nessuna circostanza, nemmeno nel Sudden Death Overtime, in cui un Busaiku Knee di Danielson aveva illuso tutti, me compreso. Ma MJF, pur privato dell’anello dall’arbitro, non muore davvero mai e dopo aver colpito Bryan Danielson con una bombola d’ossigeno trovata a bordo ring, LeBell Lock e vittoria.
Un match al limite della perfezione, se ci dimentichiamo della costruzione. Anche l’espediente finale, criticato da molti, a me non è dispiaciuto affatto. Ha dato l’immagine di un campione che, come da lui stesso dichiarato, ha nel titolo la sua unica ragione di esistere attuale. Non ha una famiglia, non ha una fidanzata bella, non ha il pubblico ad amarlo (non è vero), non viene riconosciuto come il best in the world. Posso fidarmi solo di questo titolo, aveva detto, e come tale l’ha difeso fino alla morte.
A stonare lievemente, ma parliamo davvero di dettagli, è il perimetro che il personaggio di MJF sta assumendo, i cui confini sono davvero difficili da identificare. Prima è il tracotante che si crede il migliore, poi il codardo, prima insulta città varie ed eventuali, poi cerca il favore del pubblico aprendo la sua autobiografia emotiva, prima mette a libro paga chiunque, poi diventa il campione dominante, ma che infine cerca scorciatoie. Il messaggio è che MJF può essere tutto? Benissimo, prendiamo e portiamo a casa, siamo di fronte a un wrestler incredibile sotto tutti i punti di vista. Ma a volte è davvero difficile seguire il filo logico (o illogico) che cerca di proporci e durante i match questo aspetto diventa evidente e inverosimile.
IL RESTO DELLA CARD: CHI SALE
Tra coloro che escono rinvigoriti da Revolution ci sono sicuramente Starks e Jack Perry. Inaspettatamente ottimi entrambi i match, contro due veterani del ring come Jericho e Christian Cage per cui il tempo sembra non passare mai. Se per Starks un push era già in essere, di Jungle Boy si erano perse le tracce, invischiato in questo feud infinito con il suo vecchio mentore. Gli infortuni in corso d’opera ne hanno penalizzato enormemente la riuscita, ma già di per sé la faida era in sofferenza per mancanza di appeal. Ma anche qui, il ring ha ridato nobiltà a tutto: tematiche, wrestler, sete di rivincita o di vendetta.
In entrambi i casi, il ritmo dell’azione è stato da subito veloce. Senza pause, senza tregua, con gli sfidanti pronti a dare tutto pur di sconfiggere l’odiato rivale. L’odio, l’intensità , la rabbia e la tensione che sono mancati durante entrambi i feud sono venuti fuori prepotentemente nello svolgimento dei match. Consegnandoci due wrestler pronti per qualcosa di più importante, come il titolo TNT per cominciare. O, chissà , anche come prossimi contender per MJF.
Pollice alto anche per la House of Black, nuovi campioni Trios in un match davvero incredibile contro l’Elite. Non c’erano le premesse per un cambio di titolo, onestamente. A maggior ragione dopo che l’Elite era sopravvissuta a 7 match in 3 mesi contro il Death Triangle. Qui primo incontro e via, subito cambio. Ma alla luce di quanto visto sul ring, c’è davvero poco per cui obiettare alzando la mano. Chiude alla grande anche Hangman Page, in un match che non tutti apprezzeranno, ma che ha alzato l’asticella in termini di violenza contro uno che mette sangue e violenza insieme al pane e marmellata a colazione. Battere Jon Moxley in un Death Match vale tanto, tantissimo per rilanciare il personaggio di Page.
IL RESTO DELLA CARD: COLOR CHE SON SOSPESI
Wardlow (di cui vi consiglio di recuperare la nostra intervista) e Samoa Joe sono finiti in una posizione di card mortifera. Il loro match si è svolto nella totale abulia da parte del pubblico e questo ha pesato in una contesa sicuramente sufficiente. C’è tanto lavoro da fare con Mr. Mayhem, perché gli errori durante il suo primo regno in termini di booking sono stati enormi e hanno lasciato cicatrici sulla presa del suo personaggio agli occhi del pubblico.
Il Gunn Club ha come da pronostico mantenuto le cinture, visti anche gli avversari non irreprensibili. Ma la loro vittoria è stata immediatamente oscurata dal ritorno degli FTR, più che mai candidati ora a detronizzare gli usurpatori. Ai Gunn manca completamente credibilità , loro stanno facendo molto poco per tentare di costruirsela o per tentare di lavorare usando questa “incredibilità ” a loro vantaggio. Fare due o tre facce strane e dire sempre le stesse cose non evolve il tuo character. Sperando che, appunto, il loro regno sia di breve durata, visto che ridendo e scherzando questi hanno battuto gli FTR, gli Acclaimed and counting.
Il match femminile non è stato male, anzi. Ha proposto una Jamie Hayter in condizioni fantastiche, a fare da contraltare a Saraya, la cui performance una volta di più ha lasciato a desiderare finendo a tratti per essere anche piuttosto pericolosa. Il pubblico sempre coinvolto è un segnale enormemente positivo nei confronti della divisione. Ma il tempo a loro disposizione è stato esiguo e il turn finale della Soho per quanto comprensibile come motivazione ha difettato clamorosamente in modalità .
Se voglio unirmi a loro, perché non approfittarne durante il match? Perché scacciare tutti dal ring dicendo questo ring non è vostro, se poi diventi una di loro e via di bomboletta? Al personaggio di Ruby, per me, avrebbe fatto meglio rimanere un lone wolf (no, non Baron Corbin). Heel o face che fosse, il pubblico l’aveva identificata come un elemento terzo con un suo specifico status identitario e come tale doveva rimanere. Per poi eventualmente turnare, ma in ben altro contesto e con ben altra costruzione e svolgimento.
IL RESTO DELLA CARD: CHI SCENDE
Nessuno. Revolution è stato un evento ottimo, il migliore in casa AEW da un bel po’ di tempo a questa parte. 4 ore e più di match eccezionali, con picchi di entusiasmo mai intervallati da momenti di noia. Guardatelo, divertitevi, godetevelo e speriamo che questo sia il livello settato come base d’ora in poi. Perché la AEW ci ha saputo regalare meraviglie, in passato, salvo poi perdere la rotta. Ripartiamo da qui, Tony, ripartiamo dalla Rivoluzione.