AEW Planet #61 – È quasi magia Tony

Kyosuke Kasuga (al secolo, Johnny) è un teenager dotato di poteri paranormali. Timido e sincero, per lo meno nella versione animata (ultracensurata) passata nell’oscurantista Occidente. Di tutti tutto sa, poiché legge nel pensiero, canta la meravigliosa Cristina D’Avena. E passa puntate su puntate a teletrasportarsi tra Hikaru (Tinetta), insopportabilmente espansiva e appiccicosa, conosciuta da tutti, e Madoka (Sabrina), introversa, solitaria e misteriosa.
Antony Rafiq Khan (al secolo, Tony) è un 40enne imprenditore dotato di tanti denari. Ha entusiasmo, passione. Per lo meno nella versione AEW, che la TV ha portato nelle nostre case. Paladino della libertà di parola, del booking a lungo termine, del fan service. Diamo ai fan ciò che i fan vogliono. E passa puntate su puntate a tentare di mandare on screen tutti i loro beniamini, a far vincere gli hometown hero, quelli espansivi e conosciuti da tutti. Mentre alle loro spalle, solitari e misteriosi, ci sono i Pillars, il nuovo che avanza. Il cambiamento da scoprire poco alla volta.
Il giovane Kyosuke alla fine sceglierà Madoka, scatenando le invidie di chi, come me, la considera alla stregua di un primo amore. E tutta la lunghissima serie di trame e sottotrame, di sorprese e momenti equivoci era funzionale a una costruzione a lungo termine. Invece, l’altrettanto green (dal punto di vista wrestling) Tony pare essersi incartato con le sue stesse mani. Perché le trame e le sottotrame innegabilmente ci sono, ma risultano un lasciarsi trascinare, a volte monotono a volte efficace, verso un orizzonte non chiaro.
Stiamo arrivando alla seconda parte dell’anno, quella dove il 2021 fece saltare il banco. All Out ci regalò i debutti di Cole e Danielson, oltre a diversi match di grande fattura. Full Gear per me fu ancora migliore, perché simboleggiò, senza debutti di grande spicco, il grido della All Elite sull’essere finalmente in grado di camminare con le proprie gambe. MJF e Darby Allin diedero vita a un match semplicemente fantastico, Jungle Boy troneggiò sulla SuperKliq, Hangman Page pose fine al regno di Kenny Omega. Il core della tua card era rappresentato dal tuo futuro, per cui avevi minuziosamente seminato nei due anni precedenti e ora era il momento di raccogliere i frutti. Non l’amore facile di Hikaru, per cui di fatto lasci fare a lei, ma la costruzione di qualcosa di più importante, destinata a durare a lungo e a definire chi tu sei.
Fast forward nel 2022 e dei Pillars non v’è traccia, l’unico rilevante è in smart wrestling, lavora in assenza. Fa parlare il silenzio e l’attesa del suo ritorno dopo quelle parole che furono. Gli altri sono completamente annichiliti da una preparazione degli show che ha smesso di costruire e raccontare l’ignoto ma è rimasta a specchiarsi in ciò che sappiamo già e abbiamo già visto. I personaggi che parlano sono quelli di cui conosciamo già la storia. Sono loro che ci parlano, non è la narrazione che ce li presenta. E questo crea due grandi problemi.
I GIOVANI NON CRESCONO
Il primo è che i giovani non crescono. L’innegabile sfiga che ha colpito la All Elite in termini di infortuni (ultimo, per ora, quello di Thunder Rosa) ha creato una situazione grottesca in cui ti sei trovato senza Punk, Danielson, Cole e Omega. E la differenza di performer, purtroppo, ha mostrato quanto tautologicamente più facile sia avere puntate di qualità quando gli interpreti sono quelli “che lo sanno fare già”. Ma alle loro spalle evidentemente manca qualcosa. E non per colpe dei wrestler.
Perché anche nei casi in cui ci sono delle trame in ballo, si procede in modo non consequenziale, costantemente interrotto in nome di show in cui, per bocca stessa del Tony di cui sopra, non possono entrare tutti. Darby Allin fa un grande match con Brody King e non porta a nulla. Jungle Boy e Christian potevano avere il feud dell’anno o quasi con l’allievo che supera il maestro. E invece è una scialba recita priva di argomenti. Guevara ha peregrinato intorno al TNT per poi tornare a fare quello che faceva prima, il portaborse di Chris Jericho senza una sua definizione personale.
Page si incazza con il Dark Order, poi combatte a Forbidden Door per il massimo titolo, poi diventa il cheerleader del Dark Order. Viene citato dai Bucks, viene citato da Punk, ma non succede niente. E qui la scusa non è l’avere pazienza in vista di ciò che accadrà. Il presente deve preparare il futuro, non è alla luce del futuro che puoi rileggere la povertà del presente. Magari domani batteremo le mani a una storyline fantastica per cui Page tornerà campione. Ma nasce da dei presupposti che non hanno senso. E che non generano interesse.
CONFUSIONE SENZA VIA D’USCITA
Prendendo la card di All Out il match di cartello è… è… è… Non c’è. Manca clamorosamente il catalizzatore di interesse. E manca una settimana al PPV e ciò che sappiamo è che Punk non sta in piedi e Mox non è più interim. Anche qui, potremmo aprire mille parentesi. E il secondo problema è proprio questo. Controversial is money. Ma se nasce da radici solide è un conto, è un appassionato dibattito su come la vede ciascuno. Altrimenti, ed è questo il caso, è solo confusione. Nessuno capisce nulla e quindi ti chiedi quale sarà il senso di tutto ciò.
Quale sarà la via d’uscita da questi contorsionismi per cui apri le porte all’esterno ma non ti curi dell’interno. In cui arrivano i Motor City Machine Guns, arriva il Giappone ma non c’è una storyline che li presenti e che dia continuità. In cui i campioni non hanno letteralmente avversari e narrazione. E ancora in cui hai stable che nascono, crescono e poi perdono i principi connotativi. Proprio quando subentra la maturità della scrittura, Tony Khan sta marcando visita. Nel momento in cui dall’altra parte della barricata risuonano le fanfare della nuova era Triple H.
E mai come ora, nella storia pur breve (e quindi sempre “giustificabile” nei suoi punti oscuri) della AEW, avvicinandoci a un All Out che pare insignificante, mi viene da chiudere con: “Se a Tony gira e va, che strane cose fa.”.