Gorilla Position #6 – Il ruolo del codardo

Siamo (presumibilmente) un millennio e qualche candelina in più avanti Cristo. Nella città di Troia, sul ring, altresì detto campo di battaglia, avanzano i Greci, capeggiati da Agamennone e forti della virtù guerriera dell’invincibile Achille. Sono in cerca di vendetta, dopo che Elena, la regina di Sparta, nonché Miss Mondo 1200 a.C., ha turnato contro il proprio marito Menelao. Un voltafaccia alquanto sanguinoso, consumato in una clandestina fuga notturna, mascherata da rapimento, tra le braccia di Paride, giovane principe troiano.


La storyline principale che caratterizza l’Iliade nasce più o meno così e vive di personaggi e tematiche molto vicini all’attuale panorama del wrestling. Se ci pensate, il machiavellico e astuto Ulisse potrebbe tranquillamente essere l’MJF di turno, i mastodontici Aiaci sarebbero gli antesignani omerici dei Big Men tutto muscoli alla Braun Strowman. Ettore, l’underdog “umano” alla Daniel Bryan, che si trova a combattere one on one with the great one, Achille. E non puoi fare a meno di simpatizzare per lui, visto che non solo è opposto a un essere dalla potenza ultraterrena, ma è anche avversato dalla Corporation alloggiata sul Monte Olimpo.

E poi c’è lui, il vero Personaggio con la P maiuscola dell’Iliade. Colui che causa (kayfabe) l’intero conflitto, infatti, mentre i compagni versano sangue e lacrime, passa il tempo a trastullarsi tra le braccia della sua bella, o a rilassarsi in jacuzzi cibandosi di acini d’uva e altre leccornie. Di punto in bianco, viene chiamato alle armi e cosa succede? Che sprofonda nel meritato disonore? No. Neanche per sogno. Accade che uccide l’eroe nemico, l’apparentemente invulnerabile Achille, il powerhouse della stable avversaria, trafiggendolo con una freccia al tallone. Colui che aveva mietuto vittime e sconfitto ogni sorta di avversario, dai soldati semplici al suddetto Ettore e agli altri figli di Priamo, re di Troia, capitola sotto la saetta scoccata, con l’aiuto del Dio Apollo, proprio da quel codardo di Paride. Con la P maiuscola.

Paride. Il codardo che ottiene tutto. Quello che a Hell in a Cell sconfigge, un po’ a sorpresa, il coraggioso “Mr. Money in the Bank” Otis, peraltro reduce anch’egli da mille traversie amorose con l’incantevole Mandy Rose. Una volta ottenuta la valigetta, naviga nell’anonimato del comedy o del mid/low card per settimane, se non mesi. Improvvisamente, dopo essere sfuggito a innumerevoli potenziali scontri diretti sul ring, con l’avvicinarsi del momento che conta davvero, scende in campo.

E cosa fa? Vince. Vince il titolo nel momento di debolezza del precedente campione. L’achilleo Drew McIntyre. Un successo peraltro effimero, durato pochissimo, visto che la cintura è passata nelle mani di Lashley sostanzialmente alla prima occasione. Analogo anche questo a quanto accaduto al buon Paride, che nel momento del trionfo per l’uccisione di Achille venne a sua volta colpito a morte da una freccia. Ebbene sì, Omero è stato il ghost writer della storyline che ha portato The Miz a impossessarsi del titolo WWE.

The Miz, proprio lui, come direbbe Sandro Piccinini. Il perfetto heel codardo che affida la propria sorte a sotterfugi e macchinazioni, con la via di fuga sempre pronta. La sua vittoria è stata assurda da qualsiasi punto di vista. Un personaggio minimamente pronto per il titolo, senza una narrazione, cui è stata data una valigetta per rimediare a un precedente errore, ma senza un piano ben preciso in mente. Ma d’altro canto bisogna esser bravi pure ad esser codardi. E in questo, l’Awesome One rasenta la perfezione.

Il codardo Miz è WWE Champion

Diventa quasi un peccato non aver preparato a dovere il terreno prima, e approfondito il tutto poi. Per dare l’effettivo risalto che meritava una figura come la sua. Perché questa tipologia di heel non solo è sempre esistita, ma da sola ha già un certo grado di autosussistenza. Non ha bisogno di vittime sacrificali, può permettersi di fare qualche figura barbina e agli occhi del pubblico è giustificato che non sia quel tipo di campione dominante di cui fare bandiera.

Sarebbe bastato esaltare la conquista del Money in the Bank, elevare un minimo il suo status. O, addirittura, fargli respirare il main eventing, creando interazioni serie con McIntyre e Lashley. Sarebbe bastato, semplicemente, raccontare una storia. Come per esempio hanno fatto Kingston e Moxley in AEW: anche lì avevamo un onesto worker che improvvisamente è salito di livello. Con un messaggio, con qualcosa da dire, con una narrazione che partiva da anni e anni prima.

Invece il risultato della storyline per il titolo WWE è stato un susseguirsi di errori immotivati per riparare ad altrettante nefandezze. Fai vincere a Otis il MITB senza avere idee di come gestirlo, solo per seguire l’onda di una popolarità che non sarebbe durata. Ti rendi conto che non è ciò che ti serve e in modo del tutto ridicolo fai passare la valigetta di mano. A uno cui poi lasci in dote Bad Bunny e il debuttante Damien Priest. Di tutt’altra risma, chiaramente, rispetto ai grossi calibri che si giocano la cintura massima.

Insomma, alzi la mano chi aveva realisticamente previsto che Miz avrebbe incassato con successo. Peraltro al solo scopo di togliersi di mezzo l’incombenza di risolvere l’intera faccenda in modo sensato. Dai a Lashley un premio (?) e a McIntyre la tanto sospirata ovazione (?) con pubblico presente, in quel di Wrestlemania. Un contorsionismo (il)logico che ha ottenuto come risultato quello di gettare RAW in un vuoto totale di interesse (e di ascolti), per una storia inesistente e in-credibile nel senso etimologico del termine. È diventato davvero faticoso seguire il Monday Night, in diretta soprattutto. E non perché per partito preso si debba gettare cioccolata maleodorante addosso a tutto ciò che si produce in quel di Stamford.

Ma perché, per tornare a uno dei capisaldi della rubrica in questione, la credibilità non è un’opinione. E quindi, per tornare al principio di questo editoriale, in mezzo a un mare di personaggi stereotipati, se ce n’è uno che è damn real, quello è proprio The Miz. Lui è quello che copia ma prende più di te. Quello che causa le risse e poi si nasconde e ne esce intonso. Quello che dimentica il portafogli e alla fine paghi tu. È quello che sia che vinca, sia che perda, casca sempre in piedi. Perché con lui e per lui, è sempre tutto di guadagnato. Per questo trovo davvero criminale il modo in cui sia stato (consenzientemente, peraltro) trattato.

Una volta scelto di dargli il titolo, glielo avrei lasciato gestire ancora un po’. Senza l’intermezzo Lashley, di cui tanto non frega niente a nessuno. Non sono un fan del triple threat di SmackDown!. Capisco l’entusiasmo che Bryan genera sempre, ma narrativamente parlando, è una storia già vista, con meno motivazioni e soprattutto con un finale decisamente meno interessante. Piuttosto, non avrei storto il People’s eyebrow (che, ricordiamo, è di proprietà di Carlo Ancelotti) nel vedere il titolo di RAW in palio a Wrestlemania con Miz, McIntyre e Lashley. Avremmo avuto tre character diversissimi tra loro, due heel in accordo per boicottare il malcapitato Drew, insomma, anche qui niente di nuovo, però quantomeno…

Quantomeno avremmo dato a Paride quel che è di Paride.

Andrea Samele
Andrea Samele
Laureato in filosofia, amante della creatività, della scrittura e del suono musicale di una chop. Appassionato di wrestling di lunga data per la capacità di creare personaggi e storyline in grado di coinvolgere gli spettatori. Per Tuttowrestling.com curo l'AEW Planet.
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