AEW Planet #47 – Ultimi mesi dell’anno

Parigi in autunno, ultimi mesi dell’anno, la fine del millennio. Iniziava così Broken Sword, per i nerd nostalgici come me uno dei giochi capolavoro degli anni ’90, un punta e clicca investigativo. George Stobbart, un turista statunitense in terra di Francia, rimane coinvolto in un omicidio in un bar, compiuto da un uomo vestito da clown. Potrà mai decidere di farsi gli affaracci suoi? Ma no, investighiamo. E come un novello Jessica Fletcher, finisce per rimanere coinvolto in una trama articolata che coinvolge diverse nazioni, cavalieri templari, sordide trame, capre intransigenti e nuovi amori. E un cattivo di nome Khan, tra l’altro.
Ecco, in casa AEW la situazione mi ricorda molto quella sopra descritta. Persone a caso incontrano persone a caso, apparentemente. Si incazzano, parlano, discutono, si menano. E così capita che Kingston stia mangiando e venga attaccato dai 2.0 e Daniel Garcia, che poi non contenti interrompono Chris Jericho. Jamie Hayter e PAC vengono proditoriamente colpiti dal fuoco amico da Britt Baker e Cody Rhodes rispettivamente.
Omega si prende una pausa, Cole e Fish gonfiano il petto dicendo “noi siamo i best friends”. E arrivano i Best Friends. Allin arriva come un missile per attaccare Punk? No. MJF? No. Il Gunn Club. Ah. Viene rispolverata Riho, manca Moxley, mancano i Bucks, i Jurassic si ricordano di essere un tag prima che un trio. E Cage profuma di turn heel lontano un miglio.
Insomma, a Full Gear molte storyline si sono chiuse, alcune sono rimaste aperte. Ma in generale quest’ultimo periodo tardo autunnale in AEW ci sta regalando tanta semina che si spera torni utile investigare più avanti. Perché a oggi tra match già visti, titoli dimenticati e bizzarri abbinamenti, onestamente nel low-mid-upper card non stiamo vedendo granché. Fortunatamente in nostro soccorso arrivano i main eventer, quindi bando alle ciance e, visto che di Cody s’è già detto nel Gorilla Position, soffermiamoci ora sui due momenti clou avvenuti a Dynamite.
CM PUNK E MJF: FATTI NELLE PAROLE
Fatti, oddio, non vorrei che il buon Brooks si offendesse. Ad ogni modo se lo merita, visto che avevo scritto il Planet e ho dovuto rifarlo a causa sua e di quel fenomeno di MJF. 20 minuti di promo passati come un sorso di tè verde la mattina. In cui abbiamo visto di tutto. Un inizio tendenzialmente soft, in cui sia MJF che soprattutto Punk in maniera molto classica si sono insultati senza colpo ferire.
Poi il cambio di marcia, con MJF a punire sul personale lo Straight Edge rispondendo al fuoco con il fuoco. L’immagine che rende perfettamente l’idea di quanto questo segmento sia stato ottimo è l’atteggiamento del pubblico. Eravamo a Chicago, terra di Punk, eppure sebbene la prima grande reazione sia stata quando MJF è stato definito una versione meno famosa di Miz, da lì in poi anche Maxwell è riuscito a ottenere incredulità . Sono sicuro anche in chi guardava da casa.
Riferimenti a John Cena e Triple H per dire a Punk che è giusto che abbia paura, che non è mai stato il numero uno, il Best in the World. Che ora non è altro che un brizzolato ex atleta malmenato nelle UFC. E che questa non è la sua compagnia. Uno scambio alla pari in cui andando sul personale l’uno portava in scena i demoni dell’altro. Con l’ego di MJF ridicolizzato a più riprese, con la ring rust di Punk sottolineata altrettanto.
Consiglio a tutti di riguardarselo, di ascoltare ogni cosa, di ridere del Punk robotico, di PG Punk. O di MJF che deve aspettare la figlia di Tony Khan per fare carriera. Ogni singola linea del promo merita. Quei due là hanno riempito il tacchino alla grande e ora si aspetta solo il loro confronto fisico sul ring, finora sapientemente evitato da Friedman. E qui il rischio è alto, perché abbiamo visto dinamite pura in un solo episodio, bisogna saper scrivere un match che ne sia l’adeguata esplosione.
PAGE E DANIELSON: FACE E HEEL
Quanto mi piace questa versione di Adam Page. In primis perché non è per niente una “versione”, è Adam Page. E l’hanno costruito per essere Adam Page. Abbiamo visto il suo essere isolato, la sua crisi di autostima dopo le sconfitte, la fiammella dell’orgoglio risvegliata dai Dark Order e poi la nuova caduta. La sensazione di non farcela, la paura di trovarsi di fronte a qualcuno più grande di lui. Quel Kenny Omega amico prima e nemico poi.
La pausa, la paternità , la fiducia ritrovata, il gusto per le cose belle che nella vita accadono e che ti spingono a credere che non ti sia negato il diritto di sognare. E di qui la baldanzosa aggressività del Cowboy, mai abbandonato dal pubblico. Che torna a sorpresa (o no), vince la title shot, va faccia a faccia con la nemesi e non abbassa mai lo sguardo. Mai un cedimento, mai una versione del face codardo cui questi ultimi anni di wrestling ci avevano abituato.
Prenditela la cintura, Kenny, che tanto sono gli ultimi 10 giorni, disse Hangman. E non in tono agitato, non urlando o sbraitando, ma con la tranquillità di chi sa di potercela fare, di poter vincere. Di aver lavorato due anni per questo, di meritarselo. E lo stesso sta continuando a fare ora che un altro mostro sacro del pro wrestling si è messo sul suo cammino. Bryan Danielson, un altro personaggio carismatico il cui interesse è mosso dal fatto che fa quello che vuole.
Lo hanno ingabbiato, costretto ad essere PG Bryan, ma ora è libero di essere se stesso, di amare il wrestling e di farlo vedere a tutti, in qualsiasi veste. Volevo Kenny Omega, me lo sono preso, da face o presunto tale, volevo Hangman Page per il titolo, eccomi qua, da heel o presunto tale. Un lavoro perfetto da parte dell’American Dragon, capace in un paio di puntate di passare dall’essere tifatissimo all’essere fischiatissimo. “Presunto tale” è appunto l’espressione chiave, perché prima dell’essere bianco o nero, contano le motivazioni.
L’unica cosa a questo proposito che stona un po’ è la tempistica. Abbiamo visto il personaggio di Page evolversi in un paio di anni di lunga lavorazione. Quello di Danielson cambia repentinamente in 24 ore senza che vi sia un fattore scatenante. Stride secondo me il primissimo promo heel in Virginia, quello delle congratulazioni al neo campione collimate con il tentativo di sminuirlo. Per poi prendersela con il pubblico, “Of course Virginia booes hard work” e sfuggire al confronto diretto.
Si poteva lavorare di più sul disappunto nel non avere la rivincita con Omega, che Page aveva battuto, sul motivo personale per cui Danielson è venuto in AEW. Che è ciò che poi nei fatti si è visto eccome: lottare. Fare wrestling. Combattere il più possibile, contro tutti gli avversari, per vincere. Se per MJF e Punk abbiamo visto, per ora, le parole contare più dei fatti, essere i fatti, per Danielson a me è parso proprio l’opposto.
Nell’attesa che il profumino di buono si trasformi in cena luculliana, per questo mese è tutto. Buon wrestling (e videogame) da Andrea “The Philosopher of Violence” Samele!