WWE Planet #880

WWE Planet

Ne Il ritorno di Sherlock Holmes Arthur Conan Doyle, nel racconto L’avventura del costruttore di Norwood, attraverso il suo iconico personaggio Sherlock Holmes, dice: «Il tocco supremo dell’artista – sapere quando fermarsi».


Se c’è qualcosa di chiaro, arrivati a questo punto di tempi tanto strani, è proprio che fermarsi può rappresentare una virtù. Nonostante su tutto, WWE compresa, ci si divida in partiti di idee, alcune verità restano inoppugnabili. E parlando di WWE, una delle poche ad esserlo è che il prodotto non è all’altezza. Qualcuno potrebbe obiettare che per larghi tratti non lo era già prima, ma quello che la compagnia offre dall’inizio della pandemia non è all’altezza di sé stesso. Di più – non è all’altezza di essere visto. Era chiaro fin dall’inizio che nelle condizioni imposte dal dilagare del COVID-19, tutto avrebbe subito un contraccolpo, anche qualitativo. Lavorare forzatamente sempre nello stesso posto, a contingente “limitato” e interfacciandosi con una modalità nuova, per giunta priva dell’elemento fondante che è il pubblico non poteva trasformarsi in un successo. Una situazione obbligata e contro cui poco si poteva fare: oltre la WWE, non solo tutte le altre compagnie di wrestling si sono ritrovate a farci i conti, ma anche tutte le aziende che si occupano di sport e d’intrattenimento nel senso più largo. Ma forse, anche se la nostra cultura (così come il nostro web) è popolato da immagini e aforismi a dominanza oltranzista – forse stavolta fermarsi era la scelta giusta.

Anche fingendo di essere tranquilli per la sicurezza di lavoratori ed atleti e loro cari, la realtà è che ci stiamo ritrovando a guardare a forza un wrestling che è l’ombra di sé stesso. Come un patetico racconto di un qualsiasi politico in tv, la WWE tenta disperatamente di dimostrare che va tuto bene e che la situazione è sotto controllo. Ma come per quel politico, il risultato è tra il patetico e il grottesco. Le puntate degli episodi settimanali sono – quasi senza eccezione – loffie nel migliore dei casi, vuote, sbiadite. Raccontano poco e lasciano niente, non emozionano e non smuovono di un millimetro. Perché alla lunga tutto si fa sentire ma anche perché lo sforzo è inadeguato e nella direzione sbagliata. Forse non ci sono i mezzi per fare bene, forse a mancare è la volontà o la motivazione, forse tutto un po’ insieme. Ma a chi giova trovarsi davanti a show insulsi con ascolti deprimenti? Non ai lottatori, non a chi lavora, non alla WWE, non a noi. A occhio a poco e niente, ma al costo di bruciare sull’ennesimo altare delle apparenze tutto quello che c’è di buono o quasi. Dopo due mesi di qualche sussulto a WM e nulla cosmico attorno, forse anche per Stamford è arrivato il momento di ragionare sul dopo a livello creativo perché – esattamente come a livello economico – il peggio devo ancora venire. Non conviene ad una compagnia cronicamente a corto di idee, ritrovarsi senza nulla in mano quando tutto potrà ripartire a pieno regime.

Al di là del fisiologico, è diventato naturale chiedersi ancora se il gioco valga la candela. Nella più delicata e obbligata delle truffe, si continua a spacciare un prodotto per quello che non è, non può essere più e forse tonerà solo un domani ad essere. E allora a che pro raccontare il nulla per poi trovarsi con nulla da raccontare quando davvero ce ne sarà bisogno?

Scritto da Daniele La Spina
Parliamo di: ,