WWE Planet #829

WWE Planet

Amiche ed amici di Tuttowrestling, ben ritrovati anche alla fine di questa settimana. Una settimana a dir poco folle dentro e fuori la WWE ma che ci regala più che mai il quadro generale di una situazione confusa, strana e forse inedita attorno alla federazione. In meno di 7 giorni si è passati da TakeOver XXV a Super ShowDown, passando attraverso le parole di Jon Moxley sul suo vecchio posto di lavoro.


Facile, troppo facile concludere allora, al termine di questa settimana, che sarebbe ora che Triple H togliesse il controllo creativo della federazione a Vince McMahon: l'ha suggerito Moxley, non è il primo e, una volta di più, è evidente come sia ampiamente più apprezzato il prodotto che HHH ha in mente rispetto a quello che tira fuori suo suocero. Semmai, a spiccare più di tutto, è il forte bipolarismo di una federazione, che tramite le parole di un ex e i riscontri oggettivi di quanto mostrato, ha evidenziato tutti i problemi che il non avere un indirizzo preciso e chiaro in mente comporta. Nella sua ormai famigerata intervista con Wade Keller, l'ex Dean Ambrose ha detto che nessuno può capire cosa succede in quel backstage ma la realtà, quella emersa anche dalle sue parole, dice esattamente il contrario. È indubbio che le sue rivelazioni abbiano aperto uno squarcio su cose fino a pochi giorni fa sconosciute ai più, tuttavia è anche vero che, forse per la prima volta da quando domina il palcoscenico del pro wrestling, avevamo intuito alla perfezione quasi tutte le dinamiche dietro le quinte semplicemente osservando il risultato on screen. Da mesi, forse da anni quasi ogni fan di wrestling è rimasto stupito in negativo da una o più svolte creative repentine, sorprese che poco avevano a che fare con la logica, e spesso ci si è ritrovati a dare la colpa a Vince, ai cambi d'idea improvvisi, all'apparente navigazione a vista, all'impossibilità di proporre storie coerenti per un ambiente – quello del team creativo e di chi lavora con loro – troppo poco responsabilizzato ed eccessivamente vittima dei capricci esterni. E anche fingendo che l'intervista di Moxley a Keller non sia mai esistita, tutto era fin troppo evidente da quello che è poi il risultato definitivo che ci arriva, da ormai almeno un paio d'anni a questa parte.

Insomma c'è una WWE che è vittima dei suoi stessi meccanismi anti-professionali e c'è un'altra WWE – gialla anzi d'oro – che per rispondere a tono a Double or Nothing non ha dovuto far altro che seguire il canovaccio steso nelle settimane precedenti: nulla di incoerente, nessuna sorpresa forzata, nessun cambio d'idea dell'ultimo minuto e nessuna interferenza esterna. Valutazioni di Meltzer o no, c'è un dato oggettivo: NXT TakeOver XXV è stato l'ennesimo capolavoro del roster giallonero, capace di entusiasmare qualsiasi tipo di fan di wrestling. Soddisfatto il purista, e come potrebbe essere altrimenti con dei match di quella qualità, soddisfatto chi vive di spot al limite, e basterebbe il Ladder Match, ma soddisfatto anche il fan più attento all'entertainment, con incontri ben raccontati e uno show godibile dall'inizio alla fine. Una Guernica alla portata di tutti. Ma è lo spazio in mezzo a preoccupare: per ogni Adam Cole che scalpita e costruisce qualcosa di memorabile, c'è un Undertaker che continua (probabilmente persino controvoglia) a essere dato in pasto ad un pubblico ridotto ma profumatamente pagante, a scapito della forma, sua e di quello che fa. Per ogni storyline breve ma coerente come quella tra Tyler Breeze e Velveteen Dream, ce n'è una costruita per mesi ma in maniera monotona e imprecisa come quella tra Roman Reigns e Shane McMahon; oppure frettolosa e vana, come quella tra Kofi Kingston e Dolph Ziggler. Per ogni valorizzazione perfettamente contestualizzata di performer apparentemente non di primissimo livello, come gli Street Profit, c'è l'umiliazione di chi meriterebbe tutti i riconoscimenti del mondo per il proprio valore dimostrato e inconfutabile, come i Revival o anche solo gli Usos. Non serve che la WWE diventi NXT, anzi. Basterebbe che la WWE tornasse quel raccoglitore di storie e qualità che sa essere, anziché una rassegna di tentativi falliti di trucchi di magia scadenti. Non è il 24/7 a divertire (se diverte) ma R-Truth, non è la chance di Alexa Bliss a dare fastidio ma la pigrizia nel costruire una storia o una contendente valida, non è che Brock Lesnar abbia la valigetta a interessare ma quando e come la userà, non è il vedere Rollins quattro volte a puntata a stancare ma il non vedere mai tutti gli altri.

Insomma c'è incoerenza nell'incoerenza, un abisso tra i due lati della stessa medaglia, che fanno sempre più fatica a coesistere quando invece dovrebbero solo accorciare le distanze per tirare fuori un wrestling show di alto calibro. Non basta che quello che succede in Arabia Saudita, rimanga in Arabia Saudita a giustificare il pessimo livello di SSD; i precedenti PPV del main roster erano sulla stessa linea. Eppure una reazione tarda ad arrivare: come il personaggio Mr. McMahon che tutti hanno in testa, Vince resta ostinato oltre logica, continua a provare strade già battute e fallimentari per cambiare qualcosa che non riesce a capire. Una testardaggine pericolosa non certo in ottica AEW ma più probabilmente in quella di chi sgancia fior di quattrini tutte le settimane per quel prodotto. E in cambio ottiene solamente un capitano che decide di affondare insieme alla nave, quando basterebbe virare di pochi gradi per evitare l'iceberg, scambiando la sua miopia per coraggio.

Scritto da Daniele La Spina
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