La Parola al Maestro: Wrestling ed Inclusività

Qualche giorno fa sono capitato per caso su una puntata della 4a stagione di “The Dark Side of the Ring” dedicata alla figura di Sylvester Ritter, conosciuto ai fan del wrestling come The Junkyard Dog.


Per chi non lo sapesse “The Dark Side of the Ring” è una serie TV americana del canale Vice, composta di alcuni documentari di circa 45 minuti dedicata ai fatti più oscuri del mondo del pro wrestling (ad esempio la tragedia di Owen Hart, il caso Chris Benoit, la morte di Bruiser Brody e via dicendo).

Ero quindi abbastanza curioso di vedere in che modo un personaggio abbastanza simpatico e giocherellone (almeno in tv) come Junkyard Dog potesse inquadrarsi in un contesto simile. L’unica cosa di cui ero a conoscenza era – quella si – la tragica morte a cui era andato incontro in un incidente d’auto.

La verità venuta fuori è che, dietro alla maschera del divertimento con i bambini e la figura carismatica del lottatore di Wadesboro, si celava un uomo travolto dal successo, con l’unico, enorme difetto di essere un nero in un mondo non ancora pronto per un campione di colore. Questo lo portò in breve ad un rapido declino, fatto di droghe sempre più pesanti, che poi inevitabilmente lo fecero cadere nel baratro della disperazione.

Al termine dello show mi sono reso conto di quanto ed in che modo si può soffrire per la discriminazione (lì razziale, ma oggi ne possiamo contare a centinaia, body shaming, omofobia e via dicendo), se pensiamo che un gigante come Ritter, pieno di soldi nel suo periodo d’oro alla WWF, attorniato di donne che pagavano per andare a letto con lui, ogni sera nei match più importanti al Madison Square Garden di New York, sentisse dentro di sé di non essere “all’altezza” di Hulk Hogan e della sua popolarità (anche se lì il discorso assume un’altra, ulteriore valenza: Hogan era uno tsunami di carisma mentre JYD era più l’idolo dei bambini che ne vedevano un cucciolone che li difendeva dai malvagi cattivi) e che per questo, per lottare contro questo malessere interiore, affogava la sua disperazione in alcol e tanta, tantissima droga.

I wrestler di colore sono stati effettivamente un grosso tabù nel pro wrestling, complice una ideologia molto razzista che giustificava il colore della pelle come non esaltante la massa muscolare e pertanto un wrestler con tali caratteristiche non avrebbe potuto mai sfondare al top del ranking.

Non credo di sbagliarmi se dico che il primo wrestler di colore che abbia vinto il titolo mondiale fu Ron Simmons nel 1992, quando battè Vader per l’alloro assoluto della WCW. Tra l’altro, il fatto abbastanza curioso è che Junkyard Dog raggiunse il massimo splendore nella Mid-South Wrestling sotto l’egida di Bill Watts e che Simmons vinse il titolo proprio quando la WCW era sotto Watts, noto razzista ma evidentemente molto più amante delle entrate date dai biglietti che del proprio credo personale.

Dobbiamo aspettare molti anni dopo quando Vince Russo (capoccia della WCW) tolse il titolo dalla vita di Jeff Jarrett per incoronare Booker T campione del mondo. Ed in WWF/WWE le cose stavano ancora peggio, se si esclude The Rock (mezzo samoano mezzo afroamericano), credo proprio sia Booker T il primo campione del mondo di colore della federazione.

Con l’avvento delle nuove tecnologie, del potere di parola dato praticamente a tutti, la voce della comunità di colore del mondo si è fatta sentire anche in questo frangente, e adesso non si contano i campioni assoluti di colore (penso a Bobby Lashley, Bianca Belair e tanti altri), e quindi il colore della pelle non fa più la differenza.

Carmelo Hayes
Carmelo Hayes

Non solo, il panorama del wrestling odierno offre finalmente uno spaccato di campioni non caucasici di tutto rispetto: ad nXt abbiamo avuto Carmelo Hayes (ora in forza al main roster WWE) ed un campione in carica che risponde al nome del talentuoso Trick Williams, in TNA abbiamo avuto giganti di colore come Moose ed artisti del wrestling tecnico come Rich Swann, per approdare in AEW dove troneggia su tutti la stella fulgente di Swerve Strickland.

Possiamo quindi dire che il problema della differenza razziale è stato definitivamente superato, ed è ormai un lontano, vetusto ricordo di un passato che ha generato tanta sofferenza e più di qualche morte.

Quale sarà il prossimo step, il prossimo tabù da superare? A mio avviso, dato l’alto numero di campagne sociali e trasmissioni televisive che invocano all’inclusività, penso che il prossimo enorme traguardo sarà quello di avere un campione transgender (alla AEW c’è già stata Nyla Rose, ma considero la cosa non così rilevante poiché il bacino di affluenza della federazione è troppo “fan oriented” e non mainstream come la WWE), ed una buona candidata potrebbe essere Gabbi Tuft, precedente conosciuta in WWE come il wrestler Tyler Reks (gran fisico ma poca potenzialità), dal momento che in questi giorni l’abbiamo vista al Performance Center della WWE (forse in previsione di un debutto ad NXT?).

E voi, che ne pensate?

Il Vostro Sempre (poco) Umile “Maestro Zamo” Francesco Zamori

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Scritto da Francesco 'Maestro Zamo' Zamori
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