La Parola al Maestro: Hulk Hogan contro Terry Bollea

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Raw. Netflix. Il primo, epico episodio del trentennale spettacolo “bandiera” della WWE ad essere trasmesso nel mondo via streaming e non tramite il tradizionale canale televisivo.


Hulk Hogan, insieme allo storico manager “The Mouth of the South” Jimmy Hart esce sullo stage appena poco più di qualche minuto, ma l’accoglienza è incredibile: decine e decine di “buuu” sonori (molto più pesanti dei nostri italianissimi “fischi”) accoglie l’Immortale, che a malapena riesce a fare il suo classico promo, dove tra l’altro sponsorizza la sua “Real America Beer”.

Nella serata succede di tutto, cambi di titoli, rivalità che finalmente trovano una chiusura e tanto altro, ma quei pochi minuti monopolizzano l’attenzione del mondo del wrestling.

Ormai, quella che avete letto, è storia vecchia, ne hanno parlato a destra ed a manca, qui, sui social network e su tutte le piattaforme che, in un modo o nell’altro, parlano di pro wrestling.

Ho volutamente fatto “sbollire” il tam tam mediatico per invitarvi, una volta calmate le acque burrascose, a riflettere su ciò che è successo e quanto sia lo specchio di una società che, da vecchiarello quale sono, da una parte mi affascina ma dall’altra pone domande rischiose e francamente – un po’ – mi impaurisce.

Hulk Hogan, icona del wrestling mondiale, l’unico lottatore ancora al mondo che, anche al più apocrifo degli intervistati, rimane impresso. Il solo che, quando viene posta la domanda “sai cos’è il wrestling?” nel 99% dei casi, se l’intervistato non è uno della nostra cerchia di appassionati, risponderà “si, quello dove c’è il tizio biondo con i baffi che si strappa la maglietta”. Ed è inutile specificarvi chi sia quel tizio biondo.

Hogan non è nuovo a questa incredibile ondata di disapprovazione da parte del suo pubblico, che a cicli alterni lo deride, lo schernisce, lo attacca, per poi tornare con la coda tra le gambe da lui, che ha reso questo spettacolo quello che conosciamo.

Potete stare quanto vi pare ad elucubrare, a dire che “Hulk Hogan non sa lottare”, perché seguite il wrestling magari da 15 anni ed avete avuto modo di vedere la All Elite Wrestling, i ragazzi di nXt, la women’s revolution e via dicendo. Ma tutto questo, che vi piaccia o meno, non avrebbe avuto luogo se nel 1983, quel gigante biondo tutto muscoli, non avesse stretto quel patto col diavolo in persona, Vince McMahon, per portare il pro wrestling da una nicchia di appassionati in ogni famiglia degli Stati Uniti d’America ed arrivare, poi, in tutto il mondo.

Hulk Hogan, in quei mitici anni 80, era il Dio del Wrestling.

Alto, biondo, muscoloso, in un epoca in cui non si richiedeva particolare tecnica, quanto una straordinaria fisicità. Ma ce n’erano tanti di fisici incredibili, eppure lui riuscì a sbaragliare la concorrenza per una semplice, quanto straordinaria, caratteristica: il carisma e quel magnetismo che gli consentiva di entrare in empatia con un popolo vittima della Guerra Fredda e di un nemico, l’Unione Sovietica, che faceva paura. Un pubblico che aveva un bisogno impellente di identificarsi in un eroe americano, nel momento in cui l’America si era auto-eletta salvatrice di un mondo in bilico.

All’epoca, Terry Bollea semplicemente non esisteva. Non per noi, almeno, non ancora ubriachi di internet e di social. Per noi c’era solo ed unicamente “Hulk Hogan” ed il primo segnale che il wrestler potesse avere un nome differente lo avemmo solo nel 1993, quando uscì il serial Tv “Thunder in Paradise” e nella sigla il gigante biondo veniva appellato come Terry “Hulk” Hogan.

Ma arriviamo al 1995.

Hogan, non più la stella di primo livello della WWF, aveva ceduto il passo ai vari Bret “Hitman” Hart e Shawn Michaels, ma aveva trovato nella WCW di Ted Turner ed Eric Bischoff una nuova casa. “Where the big boys play” dicevano, ma la WCW, naturale evoluzione della NWA, era famosa per un wrestling più tradizionale, piu “rasslin’” come diceva lo stesso Turner, senza indugiare inn gimmick e personaggi variopinti come invece era marchio di fabbrica nella federazione di McMahon. Hulk Hogan, eletto subito main eventer a scapito dei vari Ric Flair e Sting, che da sempre avevano sostenuto l’economia della WCW, viene prima accolto dal pubblico per la novità di vederlo nuotare in acque differenti, ma ben presto inizia ad essere fischiato da un pubblico che sta iniziando a cambiare.

Nel mondo di fine anni 90 i “cattivi” ed i “buoni” iniziano a non essere due distinzioni così nette, innescando una sorta di “linea grigia” che sarà la base di partenza per la cosiddetta “Era Attitude” e lo sviluppo di personaggi borderline come “Stone Cold” Steve Austin e The Rock. Non solo, internet si affaccia nel mondo e ben presto alcune caratteristiche di Terry Bollea vengono fuori: poche cose, il nome, la famiglia, qualche abitudine e qualche racconto ancora avvolto dal mistero.

Nel frattempo, sulle scene, Hulkster, grazie al genio creativo di Bischoff ed alla sua stoltezza, prende al balzo la situazione: cambia atteggiamento, si veste di nero ed abbraccia il lato oscuro e quegli stessi fan che lo fischiano. E’ la nascita di “Hollywood” Hogan, vile, bastardo e contro ogni forma di rispetto. Ed ecco che succede l’incredibile: quello stesso pubblico che lo aveva fischiato, ora lo abbraccia nuovamente in questa sua nuova veste.

Nel frattempo, internet inizia a dilagare nel mondo e la figura di Terry Bollea inizia a mostrare le sue carte, vere o false che siano: qualcuno parla di “potere creativo”, di politiche del backstage in cui Terry, l’uomo, spadroneggia con la sua forza contrattuale a danno di nuove leve e nuovi wrestler. Wrestler che – va detto – passano presto dall’altra parte della barricata, trovando sicuramente più fortuna ma senza smuovere quelle famose acque di cui si sentivano invece capitani di nave in un mare burrascoso.

Addirittura personalità come Vince Russo, dal backstage e dal mondo “oscuro” del dietro le quinte, decidono di portare sul ring Terry Bollea invece che Hulk Hogan, rovinando il secondo in maniera – apparentemente – indelebile, a favore di nuovi personaggi come Jeff Jarrett ed altri che, nonostante un iniziale favore del pubblico, si trovano poi a far conto con una mancanza di magnetismo e di durabilità nel tempo che cercano in tutti i modi di mantenere, senza però spesso riuscire nell’intento.

Ecco allora che, nella più incredibile delle mosse, Hulk Hogan (e non Terry Bollea), riappare nella stessa WWF che lo aveva visto crescere e diventare 5 volte campione del mondo. Ed il pubblico si ricorda bene di Hulk Hogan, lascia a casa Terry Bollea e lo consacra ancora una volta quel grandissimo campione che è.

Ma è l’ultimo fuoco di paglia per il wrestler Hulk Hogan.

La vita sul ring, gli acciacchi, l’età che avanza e tutto il resto, cedono le forze al ben più preponderante Terry Bollea, che grazie all’ausilio del fenomeno degli smartphone e dei social network, che mettono in comunicazione miliardi di persone nel mondo, si rafforza sempre di più.

Si viene a sapere che Terry Bollea è uno schifoso razzista ed uno che tradisce la moglie: peccato che spesso venga omesso il fatto che le dichiarazioni di Bollea furono dette in un momento di rabbia e nella propria intimità personale, a differenza di altri personaggi (ad esempio, Ultimate Warrior, che fece dichiarazioni omofobe davanti ad un microfono durante una conferenza universitaria).

Non solo, al momento di andare a letto con una donna che non era sua moglie, ci si dimentica che quella moglie ormai non era più tale da diverso tempo. Ma la macchina distruttrice dei social network, del potere della parola data a tutti e che distorce a proprio volere le cose, ormai aveva fatto i suoi danni. Clamoroso è il tweet di Tony Khan che, a seguito di alcune dichiarazioni razziste di Linda Claridge, ex-moglie di Hogan, dichiarò che lei “e suo marito” erano stati bannati per sempre dagli show della sua federazione, a conferma di quanto l’ignoranza in materia possa arrivare anche a vertici molto alti.

Hulk Hogan

Non solo, Terry Bollea dichiara anche (sempre nella propria intimità familiare, in momenti di sconforto atroce e grazie all’ausilio di microfoni nascosti) che il suo povero figlio, condannato alla galera per aver ucciso l’amico in un incidente stradale, non si meritava un simile trattamento e si intimorisce di una eventuale ripercussione pubblica.

Ora, lungi da me giustificare ciascuna di queste cose: il razzismo, l’omofobia, il trattamento dispari di genere, la misoginia, non sono certo cose di poco conto, ed è giusto condannare e redarguire chiunque si permetta di fare simili affermazioni. Ma, diceva qualcuno di abbastanza importante (almeno per chi crede) “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. E non è importante che siate ferventi cattolici o meno, si tratta di un mantra che può trovare significato in mille ambiti, anche tra chi non crede proprio a nulla ma che comunque deve fare i conti con la propria dignità e serietà personale: ognuno di noi, nella nostra intimità personale, fa scelte sbagliate, si arrabbia, impreca, accusa persone senza motivo, è preda di gelosie ed invidie che sono tipiche di ogni essere umano. Chiunque, e Terry Bollea non è assolutamente escluso.

Ed in tutto questo, che fine ha fatto Hulk Hogan? Dimenticato, messo da parte, appannaggio di fan di vecchia data che seguivano le trasmissioni in TV e che se lo ricordavano aitante e muscoloso mentre sconfiggeva giganti come André the Giant, Triple H, Sgt. Slaughter e The Undertaker…. Tutti avversari pericolosi, per poi cedere definitivamente di fronte a quell’uomo, ormai anziano anche lui, che risponde proprio al nome di Terrence Gene Bollea.

Ed arriviamo quindi alla infame serata di Netflix: un pubblico ormai ubriaco di social media, della realtà a tutti i costi e che ha scambiato il wrestling per una tribuna politica, ha fischiato la leggenda Hulk Hogan, scambiandolo in un errore madornale per quel Terry Bollea che lo ha definitivamente affossato. Ma quando si entra nel mondo colorato di uno show di wrestling, bisogna “sospendere la realtà”: dimenticarsi del personaggio dietro al personaggio, credere in mosse pericolose, in storyline che con la realtà hanno poco a che fare… altrimenti si perde il gusto del gioco.

Ma siamo così sicuri che Hulk Hogan sia morto? Nonostante l’immagine di Terry Bollea sia sempre più significativa sui social media, quella di Hulk Hogan è ancora viva e vegeta, e sonnecchia da qualche parte in attesa di ruggire, almeno un ultima volta: del resto, cosa mai potrà significare, quando 3 minuti monopolizzano uno show di quasi 3 ore?

Il Vostro Sempre (poco) Umile Maestro Zamo

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