Quando il wrestling arrivò in Italia, prima con il catch di Tony Fusaro sulle reti private e poi con il successo di “Superstars of Wrestling” con il commento inconfondibile del “coach” Dan Peterson, il minimo comune denominatore che attirava il pubblico davanti allo schermo era uno e solo: il fattore “meraviglia”.
Non avevamo mai visto in TV personaggi come questi, usciti da un fumetto o da un film di avventura, ma totalmente reali, fatti di carne ed ossa, che si scontravano come colossi al centro di un ring che a malapena delimitava e conteneva il fragore delle loro lotte: Hulk Hogan, André the Giant, King Kong Bundy, Antonio Inoki, The Ultimate Warrior, Earthquake e poi in seguito The Undertaker, Yokozuna, Diesel e tanti altri.
Anche coloro che rientravano in categorie meno “eccezionali” in termini di altezze e pesi, gente come Tatsumi Fujinami, Kengo Kimura, “Macho Man” Randy Savage e “Ravishing” Rick Rude, erano comunque non certo il prototipo degli individui che puoi conoscere ad una fermata dell’autobus o il lunedì pomeriggio mentre fai la spesa!
Negli States ed in Giappone la situazione non era meno diversa: gli eroi del wrestling erano visti come dei in terra, figure quasi mitologiche e leggendarie, che avevi la fortuna di poter vedere, almeno una volta nella tua vita, esibirsi dal vivo, come moderni gladiatori, nel palazzetto vicino casa tua.
Era l’epoca di piccoli televisori, di cinema che trasmettevano film con storie fantastiche ed effetti speciali ancora rozzi e senza l’ausilio di alcuna computer grafica, ma che permetteva al ragazzo dell’epoca di catapultarsi in un mondo “altro”, esterno alle vicissitudini quotIdiane e per questo più appetibili, più desiderate.
Con l’avvento di internet e delle nuove tecnologie la situazione è completamente cambiata: grazie alla rete siamo venuti a conoscenza della vita privata di questi “mostri del quadrato”, e la loro dimensione umana ce li ha fatti apparire più simpatici, ma anche meno attraenti.
Abbiamo scoperto che erano esseri umani come noi, dotati di famiglie, figli, un passato molte volte abbastanza triste e complesso. Siamo venuti a conoscenza di come fosse difficile la vita del gigante francese, costretto a vivere una realtà sempre sotto il microscopio di chi lo vedeva non come una stella ma come uno scherzo della natura, che fa meraviglia per quella serata, ma che non accetteremmo mai come vicino di casa o amico. Una condizione che lo rendeva sempre costantemente triste, a cui poi si aggiunse il tremendo dolore di un corpo che lo abbandonava giorno dopo giorno.
Abbiamo visto come Hulk Hogan, l’icona simbolo di quel wrestling colorato a stelle e strisce, avesse avuto un passato non semplice, un percorso di carriera con scelte importanti e di come anche lui avesse avuto a che fare con problematiche quotidiane, fino agli avvenimenti più recenti ed ai continui scandali di razzismo e situazioni non sempre chiare che hanno caratterizzato l’ultima fase della sua carriera.
In contrapposizione, una nuova pletora di nuovi lottatori si è fatta avanti, più agili, scattanti e più simili ad uno di noi. Il fisico sempre muscoloso e ben definito, ma niente che una sana palestra quotidiana non possa fare anche ad ognuno di noi (palestre che – va detto – ora sono ad ogni angolo di strada, ma che nel periodo su citato rappresentavano qualcosa di particolarmente strano).
Sono venuti fuori le stelle delle federazioni cosiddette “indipendenti”: CM Punk, Brian Danielson, Kenny Omega, Kota Ibushi, Low Ki e via dicendo, capaci di strappare delle esclamazioni di stupore per il loro combattimento al limite dell’incredibile, come un videogioco, cercando di alzare sempre più l’asticella del pericolo e della spettacolarità.
Chi, d’altro canto, il fisico non ce l’aveva proprio, poteva cercare comunque la sua fetta di popolarità nel mondo del wrestling hardcore: chi guarda se il braccio è pompato, se gli addominali sono scolpiti, quando filo spinato, tubi al neon e decespugliatori entrano a far parte di un match di wrestling?
Eppure.
Eppure i giganti, che sembrano ormai vestigia di un mondo che non esiste più, continuano ancora ad essere fonte di stupore, ad attirare lo spettatore casuale, quello che il wrestling “lo vedeva prima” e che ora dedica solo in parte tra lavoro, famiglia ed impegni quotidiani.
Quei giganti come Bronson Reed, Oba Femi, Wardlow e Bobby Lashely, senza tralasciare i vari Roman Reigns e Drew McIntyre che certamente piccolini non sono.
E da qualche giorni si è ricominciato a parlare di un ritorno in pianta stabile di Brock Lesnar, un gigante per eccellenza del nuovo millennio.
Si, perché nonostante tutto, quel senso di meraviglia, di stupore, di bambinesco approccio allo spettacolo, rimane una costante dentro di noi.
Si accende, si rianima, tutte le volte che l’inaspettato spezza quel velo di Maya della realtà ed entra di prepotenza nel quotidiano.
Perché di giganti, di André, Hulk, Undertaker e Warrior, ne abbiamo bisogno ancora, adesso forse anche più di prima, vittime come siamo della quotidianità, dell’informazione a tutti i costi, di social network sempre più invasivi e sempre più ignoranti, per riportarci a quel mondo fatto di zucchero filato, cioccolata calda e copertina, mentre la mamma prepara la cena e papà mette su un po’ di buona musica.
Anche se adesso, il papà, siamo noi.
Il Vostro Sempre (poco) Umile Maestro Zamo
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