La parola al Maestro: il mio ricordo di André the Giant, l’ultimo gigante buono

Quando nel 1991 finalmente mia madre e mio padre riuscirono a rintracciare i nuovi pupazzetti del wrestling (provai a dirgli che si chiamavano “nuovi eroi del wrestling”, ma non ci fu storia, per loro erano e sono sempre rimasti i pupazzetti del wrestling), la super fornita edicola a due passi da casa mia aveva la prima storica wave della Hasbro, quella a cui tutti gli appassionati di wrestling sono rimasti legati e che probabilmente ancora hanno nascosta in qualche vecchia scatola sigillata in garage.
Che ci crediate o no, la mia prima action figure non fu Ultimate Warrior o Hulk Hogan, ma fu l’unica action figure che spiccava per altezza e corporatura sopra le altre. Quella di André The Giant.
Eppure di André avevo visto ben poco, nel 91 ormai i suoi tempi d’oro erano finiti, ed io non ero figlio della fortunata stagione di “Catch the Catch” con lo splendido commento di Tony Fusaro e gli interventi di Cristina Piras, ma di Dan Peterson e dei nuovi eroi come Undertaker e Bret Hart. Ma per qualche motivo la figura di André mi affascinava terribilmente.
Vuoi perché nel film di Rob Reiner “La Storia Fantastica” il suo gigante Fezzik era quello che più mi aveva rapito (anni dopo lessi che André, in una giornata in cui aveva mangiato non in maniera corretta, durante una ripresa sul set sganciò un peto di oltre 20 secondi! Dopodichè il regista, dopo attimi di silenzio chiese al gigante francese “Andrè, tutto bene? “Ora si, boss!”), vuoi perché la sua figura in qualche modo ritornava sempre nei programmi della WWE, con spezzoni legati al passato (in particolare al suo leggendario match contro Hulk Hogan a Wrestlemania III) o come termine di paragone nei confronti di stazza, carisma e potenziale di nuovi mastodontici lottatori.
Quando nel 91 lo vidi finalmente in tv alle 16.30 di pomeriggio ricordo come fosse ora che ebbi la netta impressione che qualcosa non stesse andando nel verso giusto per il gigante di 250kg. Quell’uomo gigantesco, enorme, era adesso munito di un bastone (per una recente operazione, si diceva, ma la realtà era un’altra, ben più dolorosa: il suo corpo lo stava lentamente lasciando andare) ed i suoi occhi, nonostanti proclami minacciosi contro il nuovo gigante di Jimmy Hart, Earthquake, erano intrisi di una profonda tristezza.
Nato a Grenoble, nelle Alpi Francesi, il wrestling era stato l’unico mondo, l’unico posto che lui avesse mai chiamato veramente “casa”.
Negli innumerevoli libri e documentari usciti postumi (in particolare il bellissimo documentario della HBO dedicato alla sua vita) si narra di come André avesse bisogno di ben due posti, in auto ed in aereo, per muoversi, di come fosse ferito tutte le volte che gli sguardi della gente si posavano su di lui come a giudicare, a deridere quelle sue forme sgraziate.
Certamente André non era un uomo semplice. Se non gli andavi a genio erano cavoli amari, sul ring poteva far valere tutta la sua forza e lo sa bene Warrior che dopo una running clothesline di troppo si prese un bel pugno diritto in faccia. Litigò anche con quella vecchia volpe di Bad News Allen, e Bad News non era certo uno con cui scherzare.
Era anche un inguaribile donnaiolo (Hogan racconta nella sua biografia che la sera, in Giappone, dove era praticamente idolatrato, si portava nella sua camera due o tre groupies giapponesi e poi lo chiamava al telefono nel mezzo della notte per fargli sentire come urlavano di piacere…), giocatore infallibile di carte e bevitore eccezionale.
Ed era anche un ottimo business man: aveva fatto della sua malattia la sua forza, il suo guadagno, e riuscì persino a forzare la mano a Vince McMahon (che date le recenti sporadiche apparizioni lo aveva messo un pò in disparte), facendo una apparizione strategica nella UWF di Herb Abrams, che costrinse l’ex-patron della WWE a richiamarlo ed a rimetterlo sotto contratto. Fece persino una apparizione nella WCW, in occasione di Clash of the Champions, prima della venuta di Hulk Hogan e solo 3 anni prima dell’avvento della nWo.
Qualche settimana dopo (così almeno la mia mente da bambino ricorda) Dan Peterson ne annunciò la morte in diretta.
Era andato a Parigi per il funerale del padre, aveva giocato a carte con gli amici e, stanco, se ne era andato nella sua camera d’albergo, dove si addormentò. Per sempre.
Per me, che all’epoca avevo 13 anni, significò moltissimo. Il mio primo giocattolo del wrestling, quel campione più forte e più alto di tutti che nella mia cameretta batteva Skeletor e Tex Hex, ci aveva lasciato. E con sé, aveva portato via quei due anni, dal 91 al 92, in cui da bambino che giocava nella sua cameretta ero passato ad una nuova casa, alle scuole medie, alle ragazze, ai compiti a casa tutti i giorni ed a nuovi traguardi.
Ma ogni tanto, ancora oggi, Andrè è lì, con il suo pancione, e mi ricorda chi era, la sua incredibile vita e quanto quel piccolo, grande gioco aveva significato nella mia vita.
Il Vostro Sempre (poco) Umile Maestro Zamo
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