La Parola al Maestro: Il leggendario Torneo della Morte

Vedete quest’uomo?
Si chiama Michael Francis Foley.
E no, quello sul braccio non è una colatura di ketchup dal suo ultimo panino al McDonalds.
È sangue. Non necessariamente il suo.
Quando a cavallo tra la fine del 99 e gli inizi del 2000, complice alcuni forum “privati” di internet, riuscii ad entrare in contatto con collezionisti di VHS di wrestling, il mio primo desiderio fu quello di accaparrarmi in qualche modo una delle VHS più ricercate e misteriose di cui avessi sentito parlare.
Si trattava di uno show del 1995 fatto dalla federazione giapponese International Wrestling Association (IWA) chiamato Kawasaki’s Dream, ma conosciuto ai più come il “King of Death Match tournament”.
Durante la mia infanzia e giovinezza avevo amato i match “gimmick”, quelli cioè in cui qualche elemento esterno (la gabbia, su tutti) rendeva gli incontri più “pepati” del solito ed il risultato meno scontato. Ma “Death Match” significava “incontro della morte”. Diamine, a cosa andavano incontro quei poveri disgraziati?
Certe esagerazioni le avevo viste solo nelle puntate de “L’uomo tigre” ma mai mi sarei aspettato di vederli dal vivo. Quale pazzo furioso desidererebbe affrontare match così estremi?
Con pazienza riuscii ad effettuare uno scambio favorevole con un collezionista francese ed entrai in possesso della fatidica VHS. Una volta inserita nel videoregistratore, lo spettacolo che si offrì ai miei occhi andò oltre ogni mia aspettativa.
Nella splendida cornice di uno assolato stadio all’aperto, circa 29.000 spettatori giapponesi assistettero ad un torneo di wrestling che difficilmente avrebbero scordato.
Nei quarti di finale, il veterano Tiger Jeet Singh ed il nipponico Mr. Gannosuke prima e a seguire Terry Funk contro il macellaio assassino della serie horror “Non aprite quella porta”, Leatherface (si, non è un refuso, è proprio lui, ed in Giappone è stato un wrestler di tutto rispetto, a fianco dei suoi “colleghi” Jason the Terrible (ovvero Jason Voorhess, l’assassino con la maschera da hockey della serie “Venerdì 13”) e The Boogeyman che richiamava nella maschera e nell’aspetto quel Michael Myers che tanto ha turbato i sogni della povera Laurie Strode nella saga di “Halloween”) si affrontarono in due match conditi da catene di ferro e tavole di legno avvolte nel filo spinato.
Negli altri due match invece Cactus Jack (il distinto signore nella foto) e Terry “Bam Bam” Gordy da una parte e la sfida tutta del Sol Levante tra Shoji Nakamaki e Hiroshi Ono furono invece piacevolmente assortiti con mazze da baseball avvolte nel filo spinato e puntine da disegno per le malcapitate schiene dei poveri contendenti.
Ma questo era solo l’antipasto.
Nelle semifinali alle tavole di legno avvolte nel filo spinato si affiancarono lastre di vetro e letti fatti di chiodi appuntiti.
Con non poca difficoltà visiva, riuscii ad arrivare alla finale, un qualcosa di incredibile: le corde del ring vennero sostituite con abbondante filo spinato, minuto di esplosivi per lacerare le carni dei lottatori che ne venivano lanciati contro. Come se non bastasse, l’incontro a tempo non era sancito al finire dalla classica campanella, ma dal fatto che il ring sarebbe esploso collassando su stesso!
Non credo di farvi spoiler dicendovi che Cactus Jack riuscì nell’impresa, dichiarandosi ufficialmente Re dei Match della Morte.
Ecco, ora torniamo per un attimo a quel braccio nella foto: nel suo libro “Have a Nice Day” (best seller e numero uno in classifica per molte settimane in Usa), Mick Foley raccontò che, dovendo fare in fretta per tornare dalla moglie che lo aspettava a casa negli Stati Uniti, riuscì a ricomporsi molto frettolosamente, lasciando purtroppo i capelli impiastricciati del suo sangue e di quello dei suoi avversari.
Quando busso alla porta di casa, sua moglie Colette lo accolse a braccia aperte (non si avvide dei capelli, era un wrestler, non era certo abituata a profumi e fragranze di loto) ma si preoccupò che qualcosa in casa stesse facendo corto circuito, perché un odore di bruciato pervadeva adesso la casa. Fu Mick a rassicurarla:
“Non ti preoccupare tesoro… è la carne del mio braccio… non riesco a smettere di farla ancora sbruciacchiare…”
Con questo simpatico (si fa per dire) aneddoto si chiude questa storia, ma non la carriera di Mick Foley, che di lì ad un anno entrò nella WWF e divenne lo squinternato Mankind. Due anni dopo era campione del mondo.
I tornei della morte arriveranno anche in America, con la IWA- Mid South e la Combat Zone Wrestling, e persino in Italia un apparente esile ragazzo dalla Val d’Aosta fu consigliato dal sottoscritto di entrare sul ring con bidoni di ferro e puntine da disegno per battere il suo mastodontico avversario Pain. Il suo nome era Puck, ma questa, come sempre, è un’altra storia…
Il Vostro Sempre (poco) Umile Maestro Zamo
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