La Parola al Maestro: Goldberg… ancora tu! Ma non dovevamo vederci più?

Goldberg

Tra il 1997 ed il 1998 la WCW, sulla cresta dell’onda da un paio di anni grazie all’exploit dell’nWo, quella “invasione” di atleti ex-WWF che rispondono al nome di Kevin Nash (Diesel) e Scott Hall (Razor Ramon), più l’aggiunta di un incredibile Hulk Hogan diventato odioso e cattivo, stava conoscendo un periodo di grande splendore, anche grazie all’aggiunta di nuove stelle e nuovi concetti (per la verità rubacchiati qua e là) come la categoria cruiserweight o l’ingresso di stelle della ECW (Sabu, i Public Enemy e Raven).


Nonostante ciò, dopo un bruttissimo periodo che aveva quasi costretto alla bancarotta Vince McMahon, la WWF aveva trovato in “Stone Cold” Steve Austin la nuova gallina dalle uova d’oro, soprattutto grazie alla sua spavalderia ed alla famosa faida tra lui ed il capo McMahon, che rifletteva in qualche modo il bisogno dell’uomo comune di affrancarsi dal capoufficio od il boss di turno odioso, espletando quel desiderio inconscio di rivalersi della propria libertà, anche a suon di calci e pugni.

In più, la D-Generation X, The Rock, Mankind ed un rinnovato The Undertaker rendevano il programma della World Wrestling Federation sempre più accattivante ed imprevedibile, e ben presto gli ascolti tornarono a sorridere alla federazione di Stamford.

In questo clima di continua guerra di ascolti, la WCW analizzò bene il personaggio di Steve Austin e decisero di crearne una sorta di clone, almeno nell’aspetto, ma molto più muscoloso ed enorme, in linea con i wrestler che popolavano i ring di Atlanta come appunto Hulk Hogan, “Macho Man” Randy Savage, Lex Luger e Sting.

Fu molto probabilmente in questa ottica che nacque il “personaggio” Bill Goldberg, ex-atleta di football americano, con chioma rasata, millemila muscoli ed un volto che bucava lo schermo come pochi.

Goldberg, però, non era Austin, ma ciò non significava che fosse un difetto a tutti i costi: là dove avevamo un chiacchierone, pieno di parolacce e gestacci, qui avevamo un silenziosissimo gladiatore, una macchina da guerra che decimava i suoi avversari in pochi minuti sul ring, collezionando vittorie su vittorie in una striscia vincente davvero inusuale per l’epoca.

Era nato il fenomeno Goldberg, la gente amava cantare il suo nome nelle arene, incitarlo come si faceva nell’Antica Roma al Colosseo, mentre lui, spietato gladiatore, si apprestava a massacrare (battere non è il termine esatto) l’avversario di turno.

Ed arrivarono i titoli, i main event, l’esposizione mediatica a tutti i costi.

Senza pensare – magari – di affinarlo un pochino sul ring. Certo, tutto si richiedeva al buon vecchio Bill meno che essere un atleta alla Shawn Michaels o Seth Rollins, bastava solamente insegnare lui un po’ di basi di rispetto, per il ring, per l’avversario, per la salute di chi era con lui nel quadrato. Una mancanza, questa, che lo stesso Bill scoprirà essere fondamentale quando gli anni avanzeranno e la consapevolezza di stare sul ring cominciò a venire “per forza maggiore”.

Ma non c’era tempo, la WWF macinava ascolti su ascolti, successo dopo successo, e Bill diventava l’unica carta ancora valida da giocare per una WCW che nel giro di un paio di anni sarebbe morta suicida per una rocambolesca serie di decisioni tutte sbagliate, compresa quella – per un breve periodo – di fare di Goldberg una sorta di “monster heel”, un super cattivo, un ruolo semplicemente non adatto a lui.

Dopo l’acquisizione della WCW da parte della WWF Goldberg decise di prendersi un bel periodo lungo sabbatico (forte anche del contratto di ferro che ancora lo legava alla Time Warner), e, dopo alcune apparizioni in terre giapponesi, decise di passare “dall’altra parte della barricata” (se così si può dire, ora che di barricata ne era rimasta solo una), ed il giorno dopo WrestleMania XIX il corpulento Bill si scontrò con The Rock, il sogno di milioni di fan di wrestling che avevano fantastico su una reale guerra tra WCW e WWF al top della loro competizione.

Con una sola differenza: non c’era più competizione.

E Bill si trovò come un grosso pesce ma in un oceano di pesci grossi come lui (in termini di popolarità), senza riuscire mai veramente ad emergere.

Non solo, l’aspetto “entertainment”, che mai come allora in WWE contava tantissimo, lo penalizzava, rendendolo un grosso bamboccione in balia di un vento troppo forte anche per lui… e con WrestleMania XX e quella sfida triste con Brock Lesnar rimasta nella storia, Bill salutava il wrestling per sempre.

O così pensavamo.

Dopo aver tentato un po’ di tutto, compresa una carriera cinematografica che sicuramente lo ha aiutato nei promo ma non ad Hollywood, il 10 Ottobre 2016, dopo che Paul Heyman e Brock Lesnar, all’apice quest’ultimo della popolarità dopo una incredibile striscia di dominazione, avevano lanciato una sorta di sfida in diretta TV al gigante di Atlanta, Goldberg con il suo iconico “You’re Next!” annunciava il ritorno, presumibilmente one night only, per far vedere al figlio ormai grandicello cosa si era perso della versione padre “lottatore di wrestling”.

Ritorno che, contrariamente a tutte le aspettative e ben lontano dai fischi di WrestleMania XX, fu accolto da tutti con grande clamore ed eccitazione, consolidato da una vittoria lampo e decisamente convincente contro lo stesso Lesnar a Survivor Series.

Ecco, questo poteva e doveva essere il canto del cigno per una stella, testimone di un mondo, quello dell’era “Attitude” e “nWo”, che aveva attirato davanti alla TV milioni di spettatori americani e ridestato l’interesse dell’opinione pubblica verso il pro wrestling americano.

E invece no: Goldberg si è rimesso in gioco, ma in che modo?

Un paio di vittorie titolate del tutto risibili (vinte in pochissimo tempo, screditando avversari validissimi come Kevin Owens e Bray Wyatt addirittura in versione The Fiend), qualche match inguardabile e tanti, tantissimi fischi ed urla di disapprovazione da parte di un pubblico che, ormai lontano da quei ricordi perché o troppo piccoli o addirittura nemmeno nati, adesso adorava nXt, la nuova categoria di wrestler femminili, un nuovo modo di vedere e fare wrestling.

Come, del resto, è normale: il wrestling si evolve, si adatta, muta con i tempi.

Bene rispettare il passato, quelle leggende, che hanno posto i mattoncini di quel palazzo tutto luci e spettacolo che è diventato il pro wrestling. Bene studiare quei match, quegli angle, quelle situazioni, per capire un mondo che però non può e non deve esistere più… perché si cambia, inevitabilmente.

Il culmine arriva con quel penoso match contro il Becchino, che costa quasi la vita ed un grave infortunio al Phenom, per una mossa mal eseguita.

Alla fine, credo, anche Goldberg abbia compreso che era il momento di appendere le scarpe al chiodo e dedicarsi alla sua famiglia, a quel figlio che può prendere benissimo le redini della sua eredità, dato il buon fisico ed i geni di famiglia.

Ma a Badd Blodd, un mese fa, Gunther ha praticamente lanciato una sfida all’ex-campione WWE e WCW, e sembra che – ahimé – ci siamo ancora una volta.

Anche stavolta, va detto, il pubblico (complice anche la location di casa dove si svolgeva l’evento) lo ha accolto come quel grande campione che Bill è. L’emozione ha preso un po’ tutti, il ricordo delle sue gesta, vederlo entrare ancora una volta tra quelle tre corde dove ha schiantato avversari incredibili.

Ma – contro un signor wrestler come Gunther – cosa ci aspettiamo adesso?

Vederlo aiutare un avversario dell’atleta austriaco, un siparietto, qualche schermaglia, sarebbe il massimo, un momento di celebrazione dovuta e simpatica.

Ma la mia paura è che assisteremo ad un altro, pietoso match di un wrestler che ho amato. La lezione di tanti atleti del passato (Ultimate Warrior a Halloween Havoc 1998, Shawn Michaels a Crown Jewel 2018, Ric Flair nei suoi innumerevoli e tristi ritorni sul ring) deve insegnare qualcosa di fondamentale.

Che i ricordi, quando sono così belli, pieni di potere e di fragorosa emozione, devono rimare in quel cassetto della memoria.

Perché, se riaperti, possono creare una forte delusione, ed il rischio di cancellare quanto di buono è stato fatto in passato è estremamente alto.

Ne vale la pena, Bill?

Il Vostro Sempre (poco) Umile Maestro Zamo

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Scritto da Francesco 'Maestro Zamo' Zamori
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