Gorilla Position #17 – Forbidden Door

Si è fatto un gran parlare nell’ultimo periodo di questa fantomatica Forbidden Door. Dalla collaborazione AEW-Impact!, che poi ha coinvolto la NJPW fino alla Royal Rumble con Mickie James e a Dynamite con il misterioso Tweet di Tony Khan. Che preannunciava appunto un debutto e una nuova apertura della porta proibita. Per la WWE si è trattato di un puro e mero esercizio di banale cosmetica, condito da annesse limitazioni, atto a tentare di mascherare l’assoluta e imbarazzante povertà del PLE con la rissa reale. Perché dalla James sono partiti rumors di ogni tipo su questo o quell’ingresso probabile o improbabile. Roba da Le Bombe del compianto Mosca al Processo di Biscardi.
Ma i risvolti nella collaborazione tra compagnie sono molteplici, soprattutto per i performer che poi vengono coinvolti. Già, perché l’aspetto preminente secondo me riguarda proprio i wrestler, che riescono a essere meglio inquadrati ed identificati per chi sono realmente. Non sono più corpi, passatemi il termine, nelle mani della federazione che li possiede, ma sono loro i primi attori con un nome e un cognome. E questo è dal mio punto di vista un aspetto tutt’altro che secondario. Dare un nome alle cose contribuisce a renderle riconoscibili, a chiamarle. Vero che la fisionomia non smette di essere tale, se al posto di WALTER ti chiami Gunther S. Ma al di là dell’imperizia compiuta nella scelta del cognome nazi-oriented, è proprio il concetto a essere anacronistico.
Il colpo di cancellino sulla lavagna con cui la WWE sovente fa Nuovo gioco invece che Carica nella schermata iniziale è, negli anni Duemilaequalcosa dominati da social network, tag, ricerche e indicizzazioni e quisquilie e pinzillacchere varie ed eventuali, un qualcosa di difficile comprensione. Un atto di oscurantismo volontario che nichilizza la biografia della persona, rendendola proprietà creativa della compagnia, una sorta di manichino ben vestito e griffato WWE. Ed è una cosa a dir poco stonata, in un’epoca in cui per l’appunto esistono canali social privati e verificati che sono tendenzialmente nominali. Esistono fact checking che chiunque può fare tempo zero per accorgersi di ogni minimo errore, sia esso di natura storica o di copyright.
Siamo collegati e connessi a livello globale in qualsiasi istante e in qualsiasi momento, non siamo più nel 1990 con le prime chat, i tasti premuti con gli indici delle mani e i corsi di informatica che ti insegnavano a disegnare il cielo stellato su Paint. Internet ha memoria, custodisce nickname, tag alle immagini e ai video, titoli, articoli, cataloga materiale d’archivio. E sarebbe semplicemente assurdo, dal mio punto di vista, che per ipotesi Undertaker andasse in NJPW e venisse chiamato in altro modo. E lo è analogamente il fatto che ci siano wrestler che perdono talvolta il nome e talaltra il cognome. Per poi riconquistarlo, per poi ricevere un nickname, per poi di nuovo perdere tutto come alla Ruota della Fortuna.
Quello è WALTER, l’ho conosciuto come WALTER, l’ho cercato su Google come WALTER, su Youtube ne ho visto i video, ho consultato le sue biografie, guardato immagini. Ma no, ti dico, si chiama Gunther. Gunther? E perché? Mi prendi in giro dai. Se cerco Gunther su Google mi viene fuori un cantante svedese. Mannaggia a YouTube, ora mi tocca ascoltare pure la canzone.
Ironie a parte, non sto dicendo che non sia giusto né possibile ricostruire un personaggio. Quello su cui cerco di porre l’accento è che l’accesso alle informazioni, rispetto al passato, è completamente diverso, è esploso. Ciò che prima poteva essere fatto alla leggera, sfruttando il meccanismo di amnesia del fan medio, ora è molto più complicato. A maggior ragione se coinvolge un grande nome, un campione rinomato, e non un giovane carneade.
La Gimmick Era si è conclusa da un pezzo, la presenza di stereotipi e caricature spinte all’inverosimile è narrativamente superata. Una storia coerente concretizza la biografia e l’attitudine del wrestler in un personaggio, presentandocelo magari sotto diverse sfaccettature, ma sempre e comunque identificabile e riconoscibile. E se c’è un grande pro nella Forbidden Door sempre meno forbidden, è proprio questo. Il ridare importanza e dignità all’elemento e non alla compagnia. Io AEW incorporo Minoru Suzuki nel mio show, eredito i Good Brothers da Impact! cui mando Kenny Omega e Christian Cage, mentre Moxley o Archer combattono i Death Match in Giappone.
E li prendo come riconoscibili e importanti per quello che sono, senza fatine magiche che trasformano zucche in carrozze e topolini in prodi destrieri. Prendi un elemento che funziona, lo porti tale e quale nel tuo prodotto. E il primo impatto è nella stragrande maggioranza dei casi positivo, come per Jay White, che senza fare nulla di particolare, applausi, consensi, evviva. Perché? Perché funziona. Ha già funzionato. Interessa. Ed è organico, non devi inventarti nulla, lo sai già, è già stato raccontato. Ne erediti la storia per proporne un nuovo capitolo.
Ed ecco altresì perché è importante se non fondamentale che MJF attacchi Punk sul suo passato in WWE. Senza farne mistero o tabù, perché è CM Punk, è un capitolo di storia del wrestling che non puoi fare a meno di aprire se vuoi costruire un racconto incentrato su di lui. E sul tema del giovane che rappresenta il futuro contrapposto al vecchio che di quel futuro voleva farsi promotore per poi finire in naftalina per 7 anni. La rivoluzione copernicana della Forbidden Door, più che una mera schedulazione di match tra compagnie, mi auguro porti a scoprire sempre di più gli interpreti. Ciò che sono, la loro storia, i loro nomi.
Poi può funzionare o meno, non è la ricetta del successo garantito. Però avremo sempre più Matt Cardona e sempre meno Zack Ryder. E i risultati mi pare siano sotto gli occhi di tutti. Si prende la success story e si cerca di renderla organica al tuo show, di svilupparla ulteriormente. Sia che ti chiami AEW, sia che ti chiami WWE, NJPW, ROH o chicchessia. Ti può dire bene, ti può dire male. Ma produce, crea, plasma, sviluppa, fa, genera interesse e movimento. Invece di rimanere pigramente aggrappati a un canceroso passato di trucco e parrucco da morte cerebrale.