Morale, Opportunismo e Ipocrisia

Essermi occupato della fanbase odierna della World Wrestling Entertainment non può non portarmi ad aprire un focus anche sulle superstars della compagnia stessa, le due cose dopotutto sono e saranno sempre estremamente correlate fra loro, non solo per ciò che vediamo in tv ogni settimana ma, anche e soprattutto (specialmente in un mondo dominato dai social network) per quanto riguarda l’immagine pubblica di una Superstar.


Mi hanno colpito gli attacchi più o meno recenti ai danni di Hulk Hogan negli ultimi mesi ma anche anni, gli ultimi quattro per la precisione. No, non parla l’Hulkamaniac quarantenne e nostalgico, non sarà un editoriale in cui parlerò del prodotto della WWE o di quanto fossero meglio le stelle degli anni ’90. Non lo penso, non mi importa, ogni epoca ha i suoi pro e contro, le sue grandi star, i suoi grandi “What if” così come quei personaggi non all’altezza. Il talento, o la moltitudine di talenti che richiede il pro wrestling, non sono una caratteristica generazionale, ma legata ad ogni singolo atleta.

Chiusa questa doverosa premessa entriamo nel vivo di questo nuovo editoriale. Conosciamo tutti la controversia legata ad Hulk Hogan emersa nel 2015 dove, in un video rubato del 2006, insultava con epiteti razzisti l’allora fidanzato della figlia Brooke, il produttore discografico Carmon Austin Brantley III, reo a suo dire di essergli costato una serie di litigi con la figlia stessa e la perdita di una discreta somma di denaro. Certo, un qualcosa di assolutamente vergognoso e da suo fan trovai veramente triste e squallido tutto il contesto.

L’amicizia con un personaggio altamente discutibile quale Bubba “The Love” Sponge, lo sfogare la crisi di mezza età accettando la proposta sua e di sua moglie Heather Clem, noti scambisti, di finire a letto con quest’ultima, il tutto facendosi per giunta turlupinare alla grande dato che i due registrarono il tutto per garantirsi, come disse lo stesso Todd Clem (vero nome di Bubba The Love Sponge), una futura pensione.

Terry Bollea non è un modello di vita, così come non è il mostro che qualcuno oggi dipinge, è semplicemente un essere umano con pregi, difetti, vizi e virtù, è esattamente come tutti noi e, come chiunque ha commesso atti vergognosi ma anche azioni assolutamente encomiabili, spesso, citando una recente intervista di Eric Bischoff, senza la necessità di riflettori e telecamere. Umanizzare non significa certo giustificare, Hogan ha pagato questa sua uscita quantomeno fuori luogo, è stato estromesso e cancellato dalla WWE per tre anni dal 2015 al 2018 rientrando quello stesso anno a Crown Jewel.

I fischi, o per meglio dire i boos, di disapprovazione, sono arrivati non dalla premier di Raw su Netflix nel gennaio di quest’anno, ma da WrestleMania 37, fra l’altro proprio a Tampa, la sua città. Cosa ha portato quindi ad una contestazione così tardiva? Dopotutto Hulk Hogan, personaggio da sempre estremamente divisivo, è apparso più volte negli show della WWE, addirittura ha preso parte ad una storyline per quella che fu l’ultima pagina della sua storica rivalità con Ric Flair nel 2019 dove, a Crown Jewel 2019 il Team Hogan ed il Team Flair, in rappresentanza di quelle che sono forse le due massime leggende di questa disciplina, si affrontarono in un ten match tag in terra araba. Hogan ottenne sempre ottime reazioni da parte della folla, e l’incidente del 2015 sembrava ormai archiviato, cosa è accaduto quindi?

Innanzitutto, e mi ricollego a quanto scritto nel precedente editoriale, la mutazione della fanbase. Una politica maggiormente inclusiva ha portato un pubblico variegato sì, ma con una larga rappresentanza di un pensiero dominante comune in perfetta linea con la società occidentale degli ultimi anni. Va poi considerata la totale assenza di effetto nostalgia in un’ampia fetta del pubblico della WWE di oggi. Molti ragazzi molto giovani non hanno vissuto l’Hulkamania nel suo prime, così come nemmeno al suo crepuscolo, Hulk Hogan è un wrestler del passato, enfatizzato dai fan più anziani, che negli ultimi dieci anni altro non ha fatto che presentarsi sul ring e lanciare promo tutti uguali senza, o quasi mai, interagire con altre superstars diventando parte attiva delle storyline della compagnia, eccezion fatta per un breve scorcio nel 2019.

Nel 2020 inoltre, con il ritorno in auge del Black lives matter muta nuovamente la sensibilità collettiva della società, e non c’è spazio per chi, ormai quasi vent’anni fa, osò dire certe frasi ingiustificabili, senza considerare che nel mondo odierno l’ostentazione, anche della morale, sembra essere un obbligo.

Curioso poi l’atteggiamento di alcune Superstar nei confronti dell’Hulkster.

Mark Henry fa ormai notizia solo quando parla di Hulk Hogan, a calcare la mano in maniera assolutamente vile e gratuita anche Shelton Benjamin, MVP, JTG. Riguardo quest’ultimo suona quasi tragicomico il fatto abbia ottenuto visibilità in una compagnia come la WWE sulla Tv nazionale grazie ad un character estremamente stereotipato e certamente offensivo nei confronti degli afroamericani come era il tag team dei Cryme Tyme.

Ottenere visibilità attaccando il bersaglio grosso per eccellenza è ormai lo sport preferito di chi, a fronte di una carriera mediocre, cerca di ogni modo di aggrapparsi con forza ad una qualche forma di consenso popolare.

Ipocrisia ma anche opportunismo dicevamo. Arriviamo quindi ad altri nomi, questa volta ben in vista nella WWE di oggi. Seth Rollins ha spesso attaccato Hulk Hogan, nonostante, parole sue, Hogan si sia sempre comportato bene nei suoi confronti, ma stranamente, proprio dal 2021, Hogan nei suoi pensieri pubblici è diventato Satana in persona, altrettanto dicasi per la moglie di Seth, quella Becky Lynch che ha rigettato con disgusto il paragone con lo stesso Hulk.

Cosa rende tutto questo curioso? Il timing senza ombra di dubbio, lavorare con Hulk Hogan, cosa fatta da entrambi nel 2019, era accettabile, spendibile con i fan, utile. Oggi invece, con una fanbase portata alla contestazione, Hulk Hogan è il mostro da evitare, ovviamente non certo per questioni etiche, è parodistico pensare che questi due abbiano a cuore determinate questioni. Attaccare una figura oggi malvista dai propri fan è chiaro opportunismo, un facile ingraziarsi il pubblico preservando la propria immagine.

Quanto a ipocrisia pure i fan non sono da meno. Hulk Hogan viene attaccato, sminuito, umiliato, ma Steve Austin viene portato in trionfo, così come Kurt Angle. Quanti ricordano però le controversie giudiziarie di Stone Cold e dell’eroe di Atlanta 1996? Austin fu arrestato e condannato per violenza domestica avendo picchiato l’ex moglie Debra McMichael, Kurt Angle dovette fronteggiare pesanti accuse di stalking, ritirate solo in seguito ad un accordo con l’ex fidanzata vittima di attenzioni morbose ed indesiderate. Da un lato un uomo che ha evidente sbagliato, che ha detto cose vergognose, cose irripetibili per le quali si è scusato, senza considerare cosa hanno sostenuto molti wrestler afroamericani della sua generazione, convinti che il razzismo non sia un sentimento parte della sua natura.

Steve Austin e Kurt Angle sono stati invece protagonisti di reati estremamente gravi, come detto la percezione del razzismo negli Stati Uniti è altra cosa rispetto a quanto viviamo in Europa, ma ciò non giustifica l’enorme ipocrisia di fan e Superstar riguardo questo tema.

Resta da capire cosa avrebbe dovuto fare Hulk Hogan più delle scuse pubbliche, dei colloqui privati con quei wrestlers sentitisi offesi per le sue frasi, delle iniziative promosse dalla stessa WWE, di altre iniziative intraprese anche lontano dai riflettori. Questo rende gli attacchi nei suoi confronti poco credibili, gratuiti, mirati più ad un ritorno d’immagine per chi questi attacchi li porta che non, come già ampiamente detto, per una presa di posizione legata all’etica personale di questi personaggi.

Un altro caso estremamente scottante è quello di Velveteen Dream, pseudonimo del wrestler Patrick Clark. Molti lo ricorderanno come uno dei migliori atleti emergenti ad NXT qualche anno fa. Fu accusato di un qualcosa di assolutamente infamante come conversazioni e l’invio di fotografie inappropriate a minori, ancora oggi molti fan lo attaccano, lo dileggiano, augurano a questo ragazzo di trent’anni il peggio. Peccato tuttavia che, oltre a non aver ricevuto alcuna condanna, nemmeno l’indagine interna della WWE abbia portato a prove concrete. Eppure la percezione su di lui resta altamente negativa.

Alla fine, Hulk Hogan è diventato non tanto un bersaglio per ciò che ha detto quasi vent’anni fa, ma un simbolo comodo da attaccare in un’epoca dove apparire “moralmente allineati” conta spesso più che esserlo davvero. Il punto non è assolvere Hogan né minimizzare parole che, nel 2006 come oggi, restano sbagliate e offensive. Il punto è riconoscere che la morale a corrente alternata è tossica quanto i comportamenti che pretende di condannare.

Se ci indigniamo per una frase ma sorvoliamo su atti concreti come violenze domestiche o stalking perché pronunciate o commesse da persone che ci stanno simpatiche, allora stiamo scegliendo non l’etica, ma l’opportunismo travestito da coscienza.

E se anche una disciplina come il wrestling fatta di storytelling, redenzioni e ritorni diventa vittima della cultura del linciaggio selettivo, allora forse è il pubblico, prima ancora che le superstar, a dover riguardarsi allo specchio. Perché se è vero che Hogan ha abbattuto con un big boot ed un leg drop la propria reputazione, è altrettanto vero che molti dei suoi detrattori stanno schienando la coerenza, senza nemmeno il bisogno del conteggio arbitrale.


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Scritto da Matteo Carminati
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