WWE Planet #975 – Chi s’accontenta gode, così così

WWE Planet

Con il prevedibilissimo (WrestleMania) Backlash andato agli archivi senza sorprese ma nemmeno sussulti, inizia la solita primavera letargica della WWE. Un periodo di calma piatta che ne segue uno di enorme flessione e che fa sorgere spontanea una domanda: bastano ancora i bilanci da record e gli accordi commerciali per impedirci di chiedere di più?


Certamente sì: è sempre vero, per la WWE e per qualsiasi multinazionale di simile portata, che finché i bilanci sorridono, allora non c’è alcun motivo di variare la formula che funziona. Squadra che vince non si cambia e anche se non stravince va bene lo stesso, purché si porti a casa il risultato. Persone e fette di pubblico che si lamenteranno del prodotto ce ne saranno sempre e val la pena lasciarli da parte per proseguire nella propria, fondata convinzione. Un’idea da portare avanti, senza cercare l’approvazione di tutti, ma rimanendo coerenti con sé stessi. Se l’idea c’è. Cosa ancora più facile da fare nel momento in cui, di fatto, il core business non è più il wrestling. Forse sarà ancora il motivo per cui la WWE e conosciuta in tutto il mondo, ma certo non più la fonte diretta di guadagno principale. I fatturati strabilianti arrivano da quando la federazione e stata capace di dare un’immagine di sé forte e convincente a tutto tondo, vendendo il proprio brand e il proprio bacino d’utenza al posto del prodotto da cui essi derivano, d’interesse molto più marginale. Una serie di ragionamenti che fanno passare perlomeno in secondo piano l’insistenza su Reigns, la coerenza nelle storyline, la progettazione a lungo termine, i buoni show dal vivo e il buon prodotto televisivo. Accessori che hanno un impatto fin troppo indiretto sul bilancio – economico e di forze – per poter essere troppo rilevanti in un mondo comunque ancora monopolistico. Basta uscire col prodotto, (quasi) non importa come, poi ci penseranno gli affezionati e il naturale ricambio di occasionali a fare i numeri necessari. E finché la barca va…

O forse no. Forse non è così. Resta vero – e probabilmente molto accurato – quello che è scritto sopra. Ma poi bisogna valutare il peso specifico di ogni cosa. Se la WWE producesse intrattenimento indirizzato a soli amministratori delegati, probabilmente avrebbe il 100% del gradimento del proprio pubblico. Ma nella realtà dall’atra parte ci sono fan e, molto più semplicemente, fruitori di un servizio. Un servizio che restano liberi di non fruire ma su cui comunque conservano dei diritti: quello sacrosanto di chiedere di più, per esempio, senza essere costretti a mollarlo. Perché se è vero che i numeri economici, per tanti motivi differenti, danno ragione alla condotta di Stamford, è anche vero che il processo creativo che porta fuori ogni episodio dà ragione a chiunque voglia lamentarsi di ciò che vede. Diritto inalienabile dello spettatore, quello di lamentela, che non può e non deve mai essere messo al bando o alla berlina. È comprensibile che ad uno spettatore importi relativamente delle ricadute economiche più o meno buone di certe scelte, come è altrettanto comprensibile che ci sia insistenza nel pretendere sempre il meglio, o almeno una sufficienza, nel prodotto seguito. A maggior ragione se arriva a fronte di diverse ragioni, persino insite nella strategia aziendale. Non è l’impegno nello scrivere delle buone storyline ad essere il principale motivo di successo (o insuccesso) per la federazione, ma allora non sarà qualche linearità narrativa in più o qualche cambiamento di rotta in meno a decretare l’inizio del declino commerciale in questa epoca dorata. Cosi come difficilmente le aziende rinunceranno a diventare partner commerciali o le tv smetteranno di proporre contratti miliardari al primo dietrofront su una pessima idea creativa (fate voi quale, c’è l’imbarazzo della scelta).

Non credo serva scomodare l’ascesa di Daniel Bryan come esempio di quando i fan un po` di ragione l’avevano e certo non furono mesi in cui la WWE rischiò la bancarotta (anzi). Un esempio su tutti e non è neanche questo il caso. Basterebbe poco per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, avendoci sostanzialmente anche molto da guadagnare e, alla fine dei conti, una bassissima percentuale di rimetterci. Una possibile win-win situation che non viene nemmeno presa in considerazione, figuriamoci colta, mettendo altra legna sul fuoco di chi si accontenta per provare a godere, giustifica l’ingiustificabile e poi, comunque, se ne rimane con gli stessi pessimi show di chi invece vorrebbe qualcosa di più e lo ammette.

Scritto da Daniele La Spina
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