WWE Planet #967 – Meglio senza

Stravolgendo un famoso detto, la settimana WWE appena andata agli archivi, ha dimostrato che a volte, se si fanno delle cose sufficientemente male, si può persino andare a Roma ed essere ben felici di scegliere volontariamente di non vedere il papa.
È chiaro, non farlo significa anche privarsi della splendida vista di San Pietro e dintorni ma non è che la capitale manchi di altre attrazioni, in fondo. Ma tornando al significato del detto: quello che normalmente è un peccato (pun intended), uno spreco di cui rammaricarsi, questa settimana è stata una chissà quanto voluta ma sicuramente efficace mossa. Raw e SmackDown non hanno vissuto i loro migliori episodi, anzi Lo show rosso è stato a tratti sottotono e capace di lasciare parecchio amaro in bocca per i due turn heel su due proposti nella serata. Quello di Damian Priest, dopo aver terminato un regno da US Champion andato in calando, che non si è preso nemmeno la briga di diventare heel richiamando la pur demenziale ma costantemente presente storyline del bipolarismo; per giunta turnando contro un avversario qualsiasi, tirando fuori il più classico promo del “It was you, people”. Nessuno si è dato la briga di delineare un percorso che conducesse a questo repentino cambio di atteggiamento. Ma, se vogliamo parlare di cose che succedono all’improvviso senza alcuna motivazione, allora passiamo all’altro turn heel della serata, quello di Edge. La storia è così semplice che potete tranquillamente fare la prova di raccontarla anche a chi non segue il wrestling e vedere se almeno quella persona ci trova un senso. Il Personaggio 1 è una persona buona, tornata da un grande infortunio dopo 10 anni, una leggenda dello sport, che vuole affrontare i migliori e dimostrare di poter stare a questo livello. Personaggio 1 ha appena passato un mese a subire le angherie di un cattivone, insieme alle rispettive mogli, sbarazzandosi definitivamente di un codardo e malvagio rivale. Personaggio 1 dice che vuole un avversario. Si presenta Personaggio 2, recentemente diventato buono anche lui, che accetta la sfida. Personaggio 1 è d’accordo, ma non vuole una versione scarsa di P2, vuole quella più cazzuta. Essendo buono, P1 non lo chiede semplicemente a P2 e poi confida nel fatto che P2 darà effettivamente il meglio di sé: bensì decide di scalciarlo negli attributi e colpirlo in testa con una sedia. Un comportamento per nulla in contraddizione con quanto fatto fino a 3 minuti prima e soprattutto perfettamente lineare in termini di motivazioni.
Insomma ad un Raw mediocre ha risposto uno SD appena un po’ meglio. Il pregio non sta nel valore, dal momento che restano alcuni intrecci al limite del ridicolo, come quello tra il New Day e gli irlandesi attorno ad un mai visto prima ATV in possesso dei primi. Non sta nemmeno nel senso, visto che Sonya Deville è casualmente – nel vero senso della parola – la persona di fronte a Ronda Rousey. Ma siamo tutti felici che sia finita quella robaccia con Naomi, siamo onesti. Drew McIntyre e i segmenti imbarazzanti di Corbin e quell’altro, li avete citati voi, non io. Qualche buono spunto c’è, però, almeno a livello qualitativo: il match per i Titoli di Coppia su tutti (e anzi, forse un po’ solo). Con un rapido passaggio in quella sfida che “altrove” sarebbe materiale da ultra-main event e dream match e che invece in WWE è solo il mezzo per dare lo spazio alla celebrità di turno (lacrime allowed). Non fosse altro, insomma, lo show di FOX ha beneficiato come al solito del sottoporre al dolore i fan per meno tempo, rispetto a Raw. Ma proprio SD ci dà qualche spunto: come a Raw, più che a Raw, questa settimana sono state portate avanti delle storyline. È vero, molte spuntate fuori dal nulla, altre decisamente discutibili, altre ancora con interesse relativo, come abbiamo già detto. Ma sono delle storyline e soprattutto non coinvolgono i due Titoli e la loro incomprensibile unificazione. Ed è una novità: per la prima o volta o quasi, a un mese dall’evento, nella Road to WM c’è stato veramente spazio per qualcosa che non fossero Roman Reigns e Brock Lesnar. Ovviamente con calma, in codice bianco rispetto a quei due, ma finalmente ce ne si sta occupando vagamente. Ma avere qualcosa da dire ha reso gli show almeno sufficienti, con qualche intoppo, forse non ricoperti di star power (e sfido io), ma sicuramente migliori dei recenti precedenti.
E, tornando al Papa e a Roma, non è forse paradossale che tutto sia godibile in contumacia dell’attrazione principale? Perché il dato più significativo delle 5 ore di programmazione WWE è che Lesnar non si è fatto vedere e Reigns lo ha fatto per meno minuti di quanto duri il suo ingresso (e col solito promo piatto che nessuno ha ascoltato). Senza di loro, insomma, non tutto è andato bene ma ci sono stati davvero pochi tempi morti e soprattutto spazio per tutti. Spazio per costruire la WM che gira intorno a loro. Il che è paradossale tanto quanto andare a Roma e non voler vedere per nessun motivo il Papa. E nemmeno il Colosseo.