WWE Planet #958 – Più male che bene, forse

La fine dell’anno, si sa, è sempre tempo di bilanci; e tante grazie. Dal momento che ci ostiniamo a festeggiare l’inizio del nuovo anno solare a gennaio anziché a settembre, con il ricominciare del ciclo di vita delle nostre società, dicembre diventa il naturale momento per tirare le somme dell’anno, il 2021 stavolta, in WWE.
Non è un’analisi semplice da approntare: per prima cosa vengono in mente le due anime contrapposte della WWE che più sono venute fuori, sono state discusse e chiacchierate nel corso del 2021. È stato l’anno dei licenziamenti, senza dubbio, del ridimensionamento soprattutto del roster oltre che del personale, dei “tagli al budget” che tagli al budget non sono. Ma al contempo delle proiezioni e del rendimento finanziario da record, della crescita economica continua. E dunque di mille polemiche. Al di là della verità e delle analisi sul tema, questo denota soprattutto che la federazione di Stamford è entrata o si appresta ad entrare in una nuova fase. Che sia fatta di cessione, di partnership o semplicemente di rimodellamento del core business. La WWE insomma sta cambiando, come sempre in corso d’opera, senza mai fermarsi, e lo sta facendo anche nei suoi aspetti più tradizionali. Resta, comunque la si veda, lo strascico degli oltre 130 performer licenziati negli ultimi mesi, che gioco forza ha un impatto emotivo sugli appassionati nonché potremmo dire “di mercato” sul resto del panorama del pro wrestling. Dagli approdi in AEW, ai free agent, alle nuove vite lontano dalla compagnia, per finire su NXT 2.0: ben poco sta rimanendo dell’assetto che avevamo imparato a conoscere del 2015 in poi e forse – forse – è ancora troppo preso per valutarne gli effetti.
Discorso in parte analogo per quanto concerne il prodotto on screen: per la WWE è stato un anno strano. Gli ultimi 12 mesi hanno visto innanzitutto una federazione totalmente incapace, forse addirittura apatica, nel tentare di risolvere i propri problemi atavici. Non c’è stata la svolta che attendevamo speranzosi riguardo al modo di proporre le storie ed è rimasto quasi immutati il modo di strutturare uno show, settimanale o mensile. L’unico cambiamento, avviato già nel 2020, sulla durata dei PPV, che ha una ripercussione immediata sulla proposizione di più contese titolate nel corso delle puntate settimanale – ovviamente quasi esclusivamente per i Titoli di rincalzo, ossia tutti tranne i Mondiali. Un modus operandi inverso rispetto a quello di qualche anno fa, supportato dalla possibilità (non sempre sfruttata) nel saper fornire spesso e volentieri del wrestling di qualità con un buon numero di combinazioni. Ma soprattutto che cozza con la totale assenza di slancio del fornire supporto a qualcosa di diverso dalle storyline principali. La WWE continua a proporre il grosso attorno agli stessi nomi, privilegiando un’attenzione ai top name, comunque non scevra di mancanze e inciampi, tralasciando completamente almeno 3 delle 5 ore di programmazione settimanale tra SD e Raw. Il peccato capitale dello show business, la banalità, che intacca un roster comunque sempre capace di fornire performance altalenanti forse ma sicuramente di buon livello medio, se non ottimo. Con gimcane attorno alle scritture insidiose e nonostante i pezzi persi per strada licenziamento dopo licenziamento. Un grosso grasso peccato, considerando le potenzialità pienamente a disposizione nell’arsenale della WWE, che invece continua la propria narrazione, anche a fronte di un riscontro decisamente ridotto nella sua porzione positiva e con tante dimostrazioni in senso contrario.
Una cocciutaggine ormai famosa, cronica che non può che rendere agrodolce questo 2021. Si poteva fare di più, una frase inflazionata, eppure più vera che mai perché la maggior parte dei fan assidui degli show made in WWE ha ben in mente come, dove e quando quel meglio potesse realizzarsi con poco, pochissimo. Giusto un po’ di volontà. Quella di mettere al servizio la propria forza, non solo a livello dimostrativo, ma nel concreto. Magari accontentando un po’ tutti, e non pochi e forse a stento loro, che è poi la stessa platea che di solito resta a bocca asciutta.