WWE Planet #939 – Ritorno alla normalità

WWE Planet

La WWE, come del resto le altre compagnie di wrestling e gli stessi Stati Uniti, hanno cercato in tutti i modi di cancellare il prima possibile gli ultimi 18 mesi. Nonostante resistenze, dibattiti e persino Giochi Olimpici orfani di pubblico, c’era la fortissima voglia di tornare indietro. Solo che non avevamo capito che, nel caso della WWE, si intendesse tornare così indietro.


Anzi, siamo onesti: dentro di noi lo sapevamo benissimo. Abbiamo cominciato a dircelo a WrestleMania 36: Strowman non avrebbe mai vinto il Titolo su Goldberg senza pandemia, tante cose sarebbero andate diversamente, forse nemmeno McIntyre avrebbe avuto la meglio su Lesnar. La WWE aveva appena rimesso le cose a posto nell’ottica propria. Sì, ma quella del 2002. Con Goldberg e Lesnar Cinture alla vita, con il ritorno di John Cena pronto a fagocitare di nuovo e probabilmente definitivamente un personaggio efficientissimo e con Edge e Randy Orton in pieno feud farcito di nulla, per la gloria, come due wrestler in rampa di lancio. Tutto fuorché inaspettato: nei primi mesi del 2020 la situazione era tragicomica per il prodotto WWE. Gli ascolti zoppicavano, il passaggio su FOX di SD aveva esaurito il suo momentum e c’erano i primi malumori, le storyline continuavano a essere poche, mal scritte ed escludevano i lottatori che – dopo anni di proverbiale merda – avrebbero dovuto essere nel main eventing invece occupato da chi lo occupava già 20 anni prima. Insomma, parliamo di una compagnia che il meglio che offriva era la storyline amorosa che coinvolgeva gli Heavy Machinery, le Fire & Desire e Dolph Ziggler. E non è da intendere in maniera denigratoria. La storia d’amore tra Mandy Rose ed Otis, con tutti le ramificazioni, sviluppate e non, era l’unico arco narrativo su cui c’era uno sforzo creativo. Ed è tutto dire.

L’abbiamo detto tante volte: la pandemia ha cambiato il wrestling e anche la WWE. Il successo di Drew McIntyre, l’ascesa definitiva di Bayley e Sasha Banks, il periodo d’oro del Fiend; tutti sono stati figli di essa e del fatto che, in un momento di oggettiva e generalizzata difficoltà, spiccasse chi riuscisse a soddisfare meglio bisogni e canoni non tradizionali ma tremendamente attuali. Proprio per questo è stato facile pensare che il paradigma stesse cambiando: dai licenziamenti ai beniamini che resistevano anche al pessimo booking. In un paradosso tutto WWE sembrava che i meritevoli resistessero meglio di quando il pubblico era apertamente e udibilmente al loro fianco. Un paradosso o forse una normale conseguenza. Quale azienda, che sa che i tempi buoni torneranno, sprecherebbe energie per spingere il prodotto migliore. Le regole del mercato sono ferree anche nell’entertainment e si offre solo quello che il mercato richiede. Con la gente a casa ma apatica e bombardata, meglio tenere le cartucce migliori per il grande ritorno alla normalità, alla presenza. Ecco perché da un anno e mezzo il mix è letale: pigrizia nella scrittura e poco interesse nella futuribilità, per il semplice fatto che non è questo il prodotto che la WWE vuole proporre da ora in poi. Il progresso va fatto solo in nome del progresso, altrimenti va evitato come la peste. Guai a cambiare ciò che nemmeno piace ma piacicchia, troppo rischioso. Non si può guardare il bicchiere mezzo pieno della pandemia, prendere spunto per capire come evolversi, come adattarsi. L’idea imperante resta quella e dopo nemmeno una settimana di ritorno del pubblico c’è stata anche la voglia di renderlo limpidamente lapalissiano. Dentro Cena, dentro Goldberg, via prima possibile una valigetta nel comedy sempre passando per Flair, per i soliti ritriti errori. Ma sono davvero errori se a considerarli tali si rimane in pochi?

La WWE è, come tante cose, lo specchio perfettamente riflettente la realtà. Anche in questo caso ripropone gli stessi crismi della delusione di chi credeva davvero che saremmo usciti migliori dal periodo di crisi globale più grande della storia. Uno scontro con la realtà che brucia ma che non trova totalmente sorpresi. Il nostro errore più grande non è stato crederci ma mentirci: perché tornare alla normalità di prima, senza cambiare una virgola, va bene. Va bene a tutti i pavidi – ivi compresi quelli che tornano ad affollare le arene dimenticando cosa cantavano pochi mesi fa – ma anche e soprattutto a chi prima stava già benissimo.

Scritto da Daniele La Spina
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