WWE Planet #928 – Fiend è morto

The Fiend è morto. Forse non adesso, forse non a WM, forse un anno fa. Ma su una cosa c’è una discreta unanimità: il personaggio del Fiend difficilmente tornerà ad essere credibile quanto prima. Analizzano il percorso fatto dalla creatura del genio di Bray Wyatt, però, sorge spontanea una domanda: perché la WWE ha volontariamente assassinato il personaggio che più di tutti incarnava il concetto di wrestling che si ha a Stamford?


Perché sulle tante, tantissime cose che sono state dette sul Fiend, una è passata decisamente in secondo piano: ovvero sia che nessun personaggio nella storia della WWE si è avvicinato come il Fiend ad unire il lato wrestling ed il lato entertainment, incontrando i gusti delle persone tanto quanto quelle del prodotto. Il Fiend è stata la sintesi di un prodotto che i più critici vedono sempre meno legato al wrestling “puro” e sempre più flirtante con l’entertainment, ma ha saputo farlo uscendo dai canoni iper-razionali della compagnia, intercettando invece in maniera quasi costante un buon livello di accettazione popolare. Lo ha fatto tirando fuori un personaggio nuovo, sulle ceneri di un personaggio nuovo ma maltrattato. Bray Wyatt è stato per anni il più classico degli eterni incompiuti: sempre popolare, a picchi anche estremi, mai lanciato per davvero. E senza quel percorso, non sarebbe potuto esistere un nuovo Wyatt e quindi un Fiend. Che è stata la svolta. Il Fiend è un personaggio praticamente senza precedenti, unico nel suo genere in tante sfaccettature e che è stato capace di spiccare in momenti tremendamente bui del narrato di casa McMahon. Con l’abilità, però, di fare quel grande passo avanti che da sempre la WWE promette e che i fan vedono come una minaccia, quel passo più all’entertainment e meno allo sport. Coniugare il tutto in un act che – con buona pace dei detrattori – ha saputo trovare una chiave di narrazione nuova, prima ancora che di proposizione. Stravolgendo assunti senza infrangere le regole, dando una prospettiva nuova in un contesto che restava lo stesso. Una rivoluzione netta ma non soverchiante e per giunta fatta in casa.

Wyatt (o forse meglio dire Rotunda) ha saputo lavorare con agenti esterni alla compagnia, dare forma a un’idea e limarne i dettagli nel più infimo particolare. Trasformando ogni apparizione delle sue maschere – da Wyatt presentatore a Fiend ai suoi pupazzi – in veri e propri reference party. La nuova vita di Bray Wyatt ha portato nel mondo WWE e dunque in quello dei fan pezzi di vita con cui era impossibile non avere familiarità. La tv americana, la tradizione culturale, il cinema non solo horror, i fumetti, il wrestling del passato, la sua stessa carriera. Andando a mischiare tutto con la John Milton, con Dante Alighieri, con Samuel Johnson, inavvertitamente con Priandello, in maniera invece marcata con le sacre scritture cristiane ed ebraiche. Un calderone in cui sfido qualcuno a dire di riconoscere sempre tutto, eppure in cui era difficile non ritrovarsi, parzialmente, in cui non avere un appiglio. Salvo poi perdersi nei meandri reconditi e misteriosi che solo una mente umana, forse sovrannaturale, sicuramente disturbata come quella del personaggio Wyatt. Ogni puntata della Firefly Fun House, ogni incontro del Fiend, ogni apparizione erano foriere di molteplici e stratificati segnali. Ramificando la lettura, costringendo ad un viaggio dentro al viaggio. Il Fiend costringeva a pensare, ed elucubrare, ad andare oltre al guarda e scorda e forse è stata davvero l’unica cosa in controtendenza coi tempi.

Un personaggio, una proposta diversa, forse troppo o troppo coraggiosa per sposarla appieno. Difficile capire se la volontà – perché di questo parliamo – cosciente di affossarlo ancora sia arrivata per motivi politici, personali o semplicemente di “business”. Molto più facile è dire che sembra estremamente più sbagliata che giusta. Il Fiend poteva essere il capostipite del personaggio che trasbordava i confini, che riusciva a interlacciare radici con tutti, provando ad esplorare un modo di fare wrestling, di creare una gimmick che poteva fare da apripista. Era la scommessa su cui puntare per offrire un prodotto nuovo, capace di sua sponte di contaminarsi con gli altri mondi, generando affari ed eco mediatica in maniera autonoma. Di certo si è riusciti ancora una volta a far precipitare davvero anche il Fiend nella same old story della carriera di Rotunda: l’ennesima incompiuta proprio nel momento in cui profumava come non mai di capolavoro. L’ennesimo processo in contumacia dei risaputi colpevoli, impuniti e liberi di riproporsi come tali, gettando al vento ogni possibile svolta nel momento in cui non ce lo si può permettere.

La morte del Fiend, che sia avvenuta a WrestleMania contro Orton, che sia avvenuta a Super Show-Down contro Goldberg, è una macchia indelebile sulle mani dei responsabili. Senza ripercorrere il cosa, senza stare a discutere se e perché fosse la gimmick migliore della storia, siamo qui ai bordi della fossa che contiene il personaggio migliore mai creato in epoca moderna, più vicino di chiunque ai desideri di fan e compagnia. Eppure defunto, come tutti gli altri. Stavolta, forse, per sempre.

Daniele La Spina
Daniele La Spina
Una mattina ho visto The Undertaker lanciare Brock Lesnar contro la scenografia dello stage. Difficile non rimanere incollato. Per Tuttowrestling: SmackDown reporter, co-redattore del WWE Planet, co-presentatore del TW2Night!. Altrove telecronista di volley, calcio, pallacanestro, pallavolo e motori.
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