WWE Planet #1030 – The One with The Same Old Story

WWE Planet

Era inevitabile ed era stato ampiamente pronosticato. Forse non faceva parte dei piani ma non poteva che accadere. Quando si spinge così tanto forte sul pedale dell’acceleratore per un personaggio, non può che finire così. La WWE ha spinto forte come con nessun altro con Roman Regins, al punto da creare un effetto Roman Reigns.


In realtà era già capitato in passato. Con ripercussioni simili, a volte. Con ripercussioni diverse, altre volte. Ma l’assioma resta sempre quello di partenza: spingi, insisti, costringi e alla fine, che piaccia o no, quel personaggio, quel wrestler genera qualcosa ogni volta che sai che sarà in puntata. La forzatura della popolarità o, se la popolarità c’è, l’infinita sottolineatura e spremuta di quella popolarità. È stato l’effetto Hogan, è stato l’effetto The Rock, è stato l’effetto Cena, è stato l’effetto Bryan. Alterne fortune, genesi simili, destini diversi. Ma le facili previsioni, per quanto qualcuno potesse sperare nel contrario, erano dovute a questo: in parte, ci siamo già passati. Solo in parte perché, come detto, non c’era mai stata una convinzione così forte, una costrizione così coatta, un imperativo così forte su qualcuno. Già nemmeno con Cena. Nonostante il poco tempo passato pare abbia cancellata dalla mente dei più quanto difficili, terribili, faticosi, stancanti furono gli anni di Super-Cena. Per quanto il tempo tenda ad offuscare il ricordo di innumerevoli PPV finiti tutti alla stessa maniera e ad addolcire il gusto di quintali di storyline disgustose o rovinate nella fase peggiore della carriera del bostoniano. Nonostante sia quasi insopportabile, c’è tuttavia da ammettere che non ci si spinse mai così in là nemmeno all’epoca.

Ma insomma: quel che è fatto è fatto, quindi torniamo all’effetto che fa. L’effetto Reigns, che si materializza nel momento in cui viene annunciato per uno show. Prima di apparire, si sa che ci sarà il Big Dog e questo genera un’emozione. Il rigetto. Non nei suoi confronti, ci mancherebbe, si potrebbe parlare di ascolti e tutto il resto, ma sarete comprensivi se un editoriale che parla agli appassionati, parla agli appassionati e non ai casuali. Bensì a proposito della sua presenza. Nell’istante in cui sappiamo che ci sarà, sappiamo che l’intera puntata ruoterà inutilmente attorno a lui. Che sarebbe persino legittimo, è il Campione d’altronde, se solo non succedesse una volta ogni tre mesi; il che lo rende, appunto, inutile, qualcosa di poco più di un’una tantum che poi non condurrà da nessuna parte, perché qualsiasi sia la storyline in cui è coinvolta la Bloodline adesso, non siamo per niente vicini a una svolta di nessun tipo. In due parole: se c’è Reigns, la noia è garantita. Persino facendo l’acrobazia di interessarsi a cosa possa succedere, poi si sa che succederanno sempre le stesse cose. Che l’avversario si chiami LA Knight, come adesso, o Kevin Owens o Cody Rhodes. Stesse costruzioni, stesse dinamiche, stesse interferenze. Praticamente sempre il solito copia e incolla, senza soluzione di continuità. Una storia già vista e rivista, mai stata particolarmente illuminante ma che per giunta è alla miliardesima, sciatta replica. Che riesce ad essere la cosa peggiore di SD nonostante nello show ci siano cose come: Re-Mida-al-contrario Bobby Lashley, l’uomo che trasforma qualsiasi stable in disinteresse; due tag team che fanno risse nei bar con picchi alti quasi come la rissa al supermercato di Booker T e Steve Austin; Bianca Belair che ci ha messo 6 mesi a capire che basta dire di essere la sfidante per esserla e circa nient’altro. Non era facile.

L’effetto Reigns è la garanzia della sconfitta. L’assicurazione che la WWE sognava ma della cosa opposta di quella voluta: è il generatore assicurato di uno show, sia esso SD o un PLE, che va sempre nello stesso modo. Praticamente il caldo conforto un re-watch di Friends su Netflix, ma propinato a chi non vede l’ora che arrivi il brivido di qualcosa di fresco. Could you be more stupid?

Scritto da Daniele La Spina
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