WWE Planet #1021 – Se non lo scrivi, funziona

Settimane, mesi, anni di crisi creativa della WWE, intervallata solo qua e là da piccoli e rapidissimi sprazzi di decenza, fanno cadere il morale sotto le scarpe. E portano con sé troppa critica, negatività. Ma anche troppa fatica per chi vuole comunque vederci il buono e ha due alternative: o si scontra contro il solido muro di realtà impugnando la spada del tifo, oppure cerca riparo tra gli allineati a priori, che vedono il buono nel buono e il buono nel marcio. Una vitaccia.
Ma qualcosa di buono c’è, invece. Tra una discussione sorda e l’altra su questo o quello – o per meglio dire il solito – Campione, c’è qualcosa che funziona. E non uno sprazzo, non un barlume di genialità in un deserto di desolata pigrizia. C’è una cosa in WWE che funziona, funziona bene, in maniera totalmente organica e lo fa da tanti mesi. Non sembra vero, è ben nascosta tra 2 ore e un quarto di pieghe di noia a Raw, ma c’è. Si tratta dell’Alpha Academy. Un po’ poco? Magari sì. Ma tremendamente bello da quanto funziona. Un concept semplice, semplicissimo, innestato alla perfezione su quel poco di buono che era rimasto da una pessima, orribile idea come la Male Models e lasciato da parte, che forse è la cosa più importante.
Chad Gable, Otis e ora Maxxine Dupri funzionano, c’è poco da dire. Se vi sembra poco, di nuovo, si può anche concordare. Però lo fanno. Perché sono in grado di far funzionare con elementare consequenzialità una storia banale. Con dei personaggi banali. Coinvolti in match e segmenti banali. Ma fatti bene e con logica. C’è ben poco di nuovo nell’act dell’AA: prima di tutto perché è un tag team che esiste da 2 anni e mezzo e poi perché ricalca il più classico archetipo di mentore auto-incoronatosi tale e discepolo poco sveglio ma tanto forte fisicamente. C’è poco d’innovativo anche nella storyline: la bella ragazza che s’invaghisce di quello brutto, con l’amico inizialmente geloso ma con l’amore che unisce tutti. Talmente poco originale che lo stesso Otis era stato coinvolto in una storia che iniziò praticamente in maniera identica. Didascalico sottolineare che ci sia poco di innovativo anche nei match: sono un tag team, fanno quella roba lì e le poche variazioni sul tema, e chiamare Viking Rules un No-DQ forse permette di mettere una prua di una barca a bordo ring, ma certo non cambia la sostanza. Ma mentre gli sforzi creativi della WWE sono evidentemente orientati con convinzione sul trovare nuovi e diversi nomi per lo stesso identico incontro, qualcosa comunque funziona in tutto ciò.
Merito dei coinvolti, in primis. Dupri è stata una felice sorpresa. Poco più che debuttante, ma subito capace di mostrare di saper stare in un segmento e in una storyline con senso, presenza, continuità e recitazione. Pur rimanendo innamorata di Otis, non ha avuto bisogno di stare a guardarlo contrita per lunghissimi secondi ogni settimana per farci capire dove si andava a parare – tanto per fare un esempio vicino. Meno sorpresa è stata Otis, che appunto ci è già passato e, per chi avesse scarsa memoria, con una storyline simile ci ha tenuto su l’altro show in piena pandemia. Nulla di sorprendente in Chad Gable. Beninteso, nulla di sorprendente se non eravate tra quelli che erano convinti che tra i due, quello a far strada sarebbe stato Jason Jordan. Ricordare la cantonata forse fa male, ma chi era tra quelli può consolarsi ricordando che c’era chi ha fatto di peggio. E ci credeva tanto di più da dargli un microfono in mano ben prima che un infortunio al collo gli rovinasse la carriera. Ma poi basta ricordare come gli AA abbiano fatto più o meno funzionare tutto: da buone idee come gli RK-Bro, a idee terrificanti come Ezekiel.
Non guastano nemmeno gli avversari: perché non si può fare tutto da soli – eh già, a volte serve gente al di fuori della famiglia – e perché non guasta che quegli avversari siano tre come Ivar, Erik e Valhalla che per fortuna, di merda, hanno solo i nomi. Non serve parlare di personaggi resi idioti, con loro, direi che sono sopravvissuti abbastanza a lungo. Basta l’ultimo episodio di Raw per ricordarsene (o basterà SummerSlam per notarlo): non basta cambiare il nome alla stessa stipulazione per farla diventare interessante. E non serve ricordare che i Riders ci sanno fare, dentro e fuori dal ring. Almeno non a noi.
Possiamo sorprenderci, insomma, ma gli ingredienti per fare bene c’erano tutti. Bastava aggiungere una storia e portarla avanti senza scossoni illogici, senza incoerenze e senza colpi di scena da altre dimensioni tanto per fare rumore. Per quanto bislacca, per quanto strana, per quanto di risibile rilevanza e per quanto comedy possa essere. Senza scomodare paragoni e citazioni, far ridere non semplice. Farlo con continuità senza mai diventare il tormentone piatto e ripetitivo non è facile. Far diventare over una catchphrase come “Shoosh, please” è proprio difficile. Ma è bastato non ridicolizzarla, è bastato far ridere senza scadere, è bastato intrattenere senza confondere e la storia è durata, intrattiene e coinvolge. Con la sua dimensione: non tutte devono essere storie importanti, non tutto deve coinvolgere i Titoli, non tutto deve andare nel main event. Il feud tra due dei pochi tag team veri della WWE potrebbe tranquillamente aiutare le Cinture di Coppia, è vero, ma in mancanza resta un buon modo per riempire. Alpha Academy e Viking Raiders sono nella loro dimensione, forse un gradino sotto, ma non sono loro ad essere troppo poco, è lo show in cui sono a non essere (in proporzione) alla loro altezza. Sarebbero, sono, un perfetto contorno in un prodotto che funziona, in uno show bello. Peccato che attorno a loro, Raw non fa altro che crollare abbastanza a pezzi o, peggio, essere il Judgment Day.
In un posto con problemi poco banali come la WWE, il successo di una storyline banale è certamente l’essere eseguita banalmente bene. Ma forse non solo. Un pizzico di tristezza, tra i sorrisi che ci vengono strappati ogni settimana, arriva quando realizziamo che forse il più importante motivo di successo di questa storyline è l’attenzione. Probabilmente stanno lavorando e facendo bene perché a nessuno, in WWE, frega di loro e di quel che fanno. Questa storyline sembra così poco scritta dallo stesso team creativo che delinea il resto che, a questo punto, forse non lo è. E meno male.