WWE Planet #1020 – Just a soap opera

Nel giugno 2010, durante la sua campagna elettorale per la candidatura al Senato degli Stati Uniti, Linda McMahon definì, in un video promozionale, la WWE come “una soap opera che intrattiene milioni di persone ogni settimana”. Ricordo bene le levate di scudi, le proteste, quanto fosse riduttivo e per nulla rispettoso. Quello che non capirono i fan di wrestling dell’epoca non era che era stato tutto fatto in chiave elettorale e quindi ultra-semplificato, bensì è che Linda ci stava fornendo uno spoiler in anticipo di ben 13 anni.
Visionari, geniali, sempre proni al colpo di sorpresa: i McMahon sono sempre stati questo, specie quando si sono fatti coinvolgere on screen. E bisogna ammettere che per il 2010, piegare un video elettorale a quella che sarebbe stata definita – pesantemente a sproposito – la più grande storyline di sempre, con una gittata di quasi 3 lustri, è fantascientifico. Certo, scherzi a parte, poi resta la realtà, l’amarezza: i tempi sono cambiati tanto che una cosa che ci faceva comprensibilmente arrabbiare, che dava sui nervi, come la riduzione di uno spettacolo complesso come il wrestling a semplice soap opera, oggi è la verità. Di più, oggi è la cosa migliore che alcuni fan sostengono di aver visto. Una parabola deprimente, oltre che discendente.
È difficile veder altro, però, specie guardando l’episodio di SmackDown di questa settimana. Le soap opera, sì sa, sono i prodotti televisivi della pesca a strascico: poca qualità recitativa richiesta, al massimo bell’aspetto e pochissimo impegno a scrivere le storie. Possono essere assurde, poco sensate, cambiare continuamente direzione, contraddirsi, persino far morire e poi resuscitare i personaggi. Nessuno chiede alle soap sensatezza. È il motivo per cui raramente essere spettatori assidui di soap è considerato un vanto; è il motivo per cui normalmente hanno grande successo con chi ha meno strumenti interpretativi e “si accontenta” un po’. Lo so, anche voi state pensando a vostra nonna.
Durante una soap si esagera, sempre. Per dare continuamente un motivo allo spettatore di restare agganciato. Per raccontare una storia generalmente normale, nella maniera più contorta e assurda possibile. Per mettere nella quotidianità di qualsiasi vicenda, gli elementi più distanti e insensati, perché essendo tali, sono automaticamente imprevedibile. Il colpo di scena a tutti costi. La sospensione dell’incredulità è a sua volta sospesa; non si chiede nemmeno una storia, solo sussulti senza soluzione di continuità. Un po’ come si sta facendo con la Bloodline. Tra queste righe stesse, spesso è stato detto: “Purché finisca”. Non ritratto, ma forse è stata leggerezza, considerando quanto in basso sappia arrivare la WWE prima di farlo. Diamoci un limite.
Ad esempio, forse è eccessivo arrivare ad occupare un totale di 41 minuti e 7 secondi su un totale di poco meno di 82 minuti di show solo ed esclusivamente con una storyline (guardate la copertina di questo editoriale, se volete intristirvi). Tra l’altro quella che a volte c’è e a volte no. Ma, soprattutto, è eccessivo farlo se non si ha in mente nulla per questa storia. Il delitto può avere le attenuanti generiche: come attestato qualche settimana fa, SD è sul clinicamente morto andante da un po’, non è che sia stato fatto un danno esagerato. Vi sfido a pensare: “Ah, però hanno tolto spazio a…”. Provando a farsi venire in mente qualcosa che si voleva davvero vedere. E non vale rispondere: “Qualsiasi cosa che non mi facesse provare l’estrema pena che ho provato per Waller, porello”. Ecco, detto questo, però si poteva far almeno lo sforzo di scrivere qualcosa che potesse portare avanti la storyline della Bloodline con un contesto. Ma così, anche solo per provare una sensazione diversa, fare qualcosa di nuovo.
Invece ci siamo ritrovati un “tribunale”, che tribunale non è stato. Che oltre tutto era un concept riciclato da qualche mese fa. In cui gli accusatori non hanno parlato ma c’è stato un monologo dell’imputato. Che ha parlato di cose completamente diverse, ignorando il fatto di aver perso – una cosa sottolineata OVUNQUE in questa settimana dalla WWE stessa. Un monologo che, non si capisce per quale motivo, era pieno di bugie. Non quelle di un personaggio heel e – loro dicono – manipolatore, quelle ci stanno. Ma di quelle che semplicemente non coincidono con quello che è stato raccontato finora. Questo presunto desiderio di Jey Uso di diventare il nuovo Tribal Chief, per esempio. Forse qualche volta se n’è parlato, mai lui, mai confermato, mai sentito e, cosa più importante, mai stato alla base dei motivi che hanno portato alla separazione tra Usos e Bloodline. E che Reigns ci e si racconti bugie, nel personaggio ci sta a meraviglia. Ma che gli Usos gli concedano di farlo senza nemmeno provare mai a ribattere, ecco, ci sta forse un pochino meno.
Ma una soap opera non è una buona soap opera senza le pause. E la pessima recitazione, l’abbiamo già detto, a quella ci ha pensato il Campionissimo. Ma le pause. Le grandi pause di riflessione, cariche di significato e patos. Quelle che Joey Tribbiani usa nei panni del Dr. Drake Ramoray ne “I Giorni della Nostra Vita” per ricordarsi le battute. Quelle sono la vera cifra di una soap. Ed eccole là, in tutto il loro splendore. Interminabili secondi di pausa tra una cosa e l’altra – anche perché altrimenti come li riempiamo 40 minuti di show senza scrivere praticamente nulla? – anche tra cose dove la pausa non è contemplabile. Immaginate di vedere vostro fratello gemello colpito alle parti basse dal vostro ormai arci-nemico: passereste anche voi 15” appoggiati alla corda con la faccia di uno che ha terribilmente bisogno di andare al bagno per poi difenderlo? Oppure mettendosi nei panni di uno sgherro cattivo o deviato al punto da ordire un piano contro i propri fratelli, insieme al vostro cugino malvagio. A quel punto, anche voi attendereste 10” con le braccia lungo i fianchi in modalità catatonica prima di fermare un pestaggio in piena regola e mettere in atto quel piano, giusto? Aspettereste gli attacchi, salvo poi dimostrare di aver pianificato tutto; vi fermereste a guardare gli oggetti, come le collane di peperoncino, con sguardi incrociati pregni di tensione (si noti che qui non va tenuto conto delle pause mentre si danno le sediate perché mio fratello è in ritardo nel disarmarmi, sull’unica cosa che deve fare in quel segmento). D’altronde c’è chi, con queste 4 faccette, ci ha fatto 3 anni di nulla e fuffa.
Lo so, ci si sente un po’ sporchi se lo si è gradito. Un po’ come vi siete sempre immaginati vostra nonna davanti alla 15ª volta in cui Brooke Logan tradiva il marito per il figlio e viceversa (credo, non sentitevi in dovere di correggermi se sbaglio), mentre voi volevate solo vedere i cartoni animati. O magari realizzate che non c’è quel sentore, gradite e basta e decantate le lodi di quello che mangiate. Non comprendendo come mai altri se la prendano così tanto con questa storia, perché lo facciano per partito preso, anche se sono gli unici a proporre analisi. Forse è vero quello che si dice: chi prima, chi dopo, si muore tutti democristiani…