WWE Planet #1015 – Il tradimento più vuoto di sempre

La lunga attesa per il ritorno a fare qualcosa di Roman Reigns è finalmente giunta al termine a Night Of Champions, evento che per l’ennesima volta, era incentrato solo su quell’unica storia. Anche stavolta Reigns non ha deluso nessuno: una prestazione atroce per chi si aspettava solo il peggio, una storyline che fa faville per chi ha gli occhi coperti. E parlando di quest’ultima, gli occhi bisogna coprirseli per davvero.
L’aver dato i nomi tradizionali ai PPV in Arabia Saudita, evidentemente, non li esenta dal continuare ad essere spettacoli di serie b. Nulla ha avuto un valore o merita di essere ricordato. Il che è doppiamente triste, laddove la card conteneva un’assegnazione e un cambio di Titolo. Ma se la vittoria di Asuka, pur sorprendente, arriva troppo in ritardo per lei e incredibilmente in ritardo per Belair – e per giunta senza la benché minima intenzione di avvolgerla all’interno di una narrazione diversa da Asuka è giapponese, quindi fa cose strane – la cosa che grida allo scandalo è semmai l’altra, quella del nuovo WHC. Per chi aveva ancora dei dubbi sul possibile valore di questa nuova Cintura è stato costretto a ricredersi: non ha nessuna importanza e persino in una card con “Triple Main Event” viene relegato a opener (per presunti motivi logistici e vabbè) e ci concede appena una scialba versione di quello che un match tra Seth Rollins e AJ Styles potrebbe essere. Chiaro, poi sono e restano due dei migliori performer all-around di tutti i tempi, quindi il match è godibilissimo, di buon ritmo e elevata fattura. Prodotto coi piedi da chi è nel backstage, che fa fare un brawl match a due dei lottatori meno adatti del roster, e trattato peggio in fase di scrittura. Mai un confronto, un torneo durato due giorni e la costruzione unica che ha parlato esclusivamente dell’Architect. Un po’ un’ammazza-suspence, visto che il risultato era fortemente prevedibile. Il resto è noia, non serve scomodare Franco Califano per dirlo: uno squash inutile e come al solito pieno di rispetto verso Natalya, un incontro femminile lottato comprensibilmente a 2 all’ora e terminato in maniera demenziale, un appena discreto match per il Titolo IC e forse l’incontro più stupido e offensivo dell’intelligenza degli spettatori concepito da parecchio tempo a questa parte: uno con un braccio rotto che affronta uno che in teoria ammazza tutti, quasi vince, sviene dal dolore ma solo per un paio di secondi e il tutto ancora senza motivazioni diverse dal “perché sì”.
Resta insomma quel match. Quell’unica storyline che riceve effettivamente delle attenzioni, quella della Bloodline, focus unico del team creativo da 8-10 mesi a questa parte (con larghissime pause tra una puntata e l’altra). Il sussulto, il momento che aspettavamo da tempo: la ribellione degli Usos, anzi, per adesso, del solo Jimmy Uso, che è riuscita quantomeno nell’impresa di svegliare il solito, dormiente pubblico saudita. I meriti, però, si esauriscono più o meno lì. L’arco narrativo della Bloodline ha definitivamente relegato – come d’altronde prometteva – Sami Zayn e Kevin Owens al ruolo di scenografica. I due sono un contorno alla ribellione Usos e non il motore. Una ribellione che dunque nasce dai maltrattamenti di Reigns, che non solo non sono ben contestualizzati e arrivano a scoppio ritardato a causa delle sue assenze, ma per giunta per motivi oltre il ridicolo. Perché gli Usos si dovrebbero preoccupare di aver perso i Tag Titles quando agli occhi di Reigns è sempre contato di più che lo aiutassero a tenere i propri? Perché dovrebbero aver paura di non recuperarle, quando Heyman ha il potere di dargli match Titolati a comando? Ma, soprattutto, perché per 2 anni e mezzo Jey Uso è stato il riottoso, quello al limite, quello che non si fidava, che ha persino sfidato Reigns due volte e che si è piegato solo con la forza e ora a tradire e a dire a Jey stesso che doveva farlo molto tempo fa è Jimmy? Perché si è dovuti arrivare ad una situazione forzata, buttando in mezzo a casaccio anche quel pupazzo di Sikoa facendogli bruciare anni di carriera e crescita, per poi andare a concludere con un discorso totalmente fallace?
La Bloodline non solo non è costruita per servire ad altri, per elevare i propri avversari e rendergli anche solo una sconfitta in cambio di status. Bensì non è nemmeno in grado di servire al proposito banale di far uscire un lottatore migliore di come vi sia entrato. Perché? La risposta non è solo semplice, ma sempre la stessa. Il punto d’analisi è sempre stato sbagliato, non è la Bloodline. È semplicemente sempre il solito problema di Roman Reigns. Dal 2014.