The Hard Truth #19 – Trish and Blood

The Hard Truth

Una madre vuole sempre il meglio per sua figlia. Ma non sempre sa cosa sia.


Il ruggito della folla ti colpisce come un pugno, un’eco che credevi dimenticata. Sei Trish Stratus, leggenda del wrestling, sessantenne ma ancora aggrappata alla tua immagine come a una cintura da difendere. Nel camerino, lo specchio ti restituisce ciò che vuoi vedere: capelli biondi lucenti, allungati da extensions impeccabili, un vestito rosa attillato che scolpisce curve rifinite da bisturi e palestra, un cappello da cowgirl che grida “diva”. Il trucco pesante nasconde le rughe, ma non il peso degli anni. Non sei qui per combattere. Sei qui per lei. Tua figlia, Madison. Maddy. “The Blood” Stratus. Il titantron si accende, e l’arena esplode. La tua entrata è un’ode ai tuoi giorni di gloria: luci rosa al neon, bassi pop che vibrano nel pavimento, ologrammi che proiettano il tuo logo a mezz’aria – tecnologia del 2035, un lusso che la WWE di un tempo non conosceva. Ma quando Maddy appare sulla rampa, il boato cambia. È più selvaggio, più affamato.

La guardi avanzare, il mento alto, il passo deciso. Il suo body nero semplice e i pantaloncini corti contrastano con il tuo sfarzo. I capelli castani, tagliati a un pixie cut cortissimo con sfumatura netta sui lati e nuca rasata, sembrano una sfida dichiarata alla tua chioma fluente. Una linea dura, precisa, che incornicia i suoi lineamenti fieri e lascia brillare i grandi occhi di un verde smeraldo, senza nulla da nascondere. È un taglio che non cerca di piacere: impone rispetto. L’hai voluta così: austera, una guerriera. Tre anni di allenamenti brutali, diete che spezzavano il corpo, sacrifici che le hanno rubato l’adolescenza. L’hai forgiata per questo momento: il suo debutto, una chance titolata contro Aurora Rose McMahon, la campionessa che domina la WWE con un regno di terrore degno di suo nonno Vince.

La folla scandisce “Blood! Blood! Blood!” come se Maddy fosse già una leggenda. Ha solo diciotto anni, ma il suo provino ha lasciato i dirigenti senza parole. Tu l’hai presentata, tu l’hai plasmata. Eppure, guardandola, alta dieci centimetri più di te, il corpo atletico che surclassa il tuo, senti un nodo allo stomaco. È più di orgoglio. È paura. Paura che sia troppo. Troppo perfetta. Aurora Rose McMahon entra per ultima, e il tuo cuore si ferma. Sembra uscita dai miti del Nord. Capelli dorati, occhi di ghiaccio, statura maestosa, un fisico possente che ricorda suo padre, Triple H. Tutti sono concordi nel ritenerla la più grande lottatrice che abbia mai calcato un ring. Nessuno l’ha mai sconfitta. Nemmeno messa in difficoltà. Il suo cognome è un coltello nella tua carne. Risuona nella tua mente come un incantesimo oscuro. E all’improvviso sei di nuovo nel 2001: Vince McMahon, il suo sorriso predatorio, le sue mani su di te, le umiliazioni in diretta TV. “Abbaia, Trish,” ti ordinava, e tu, giovane e fragile, lo facevi, a quattro zampe, mentre il pubblico rideva. La sua morte, tre anni fa, non ha spento quel fuoco. Aurora è l’ultimo simbolo della loro dinastia maledetta. E Maddy è la tua vendetta.

Il match inizia. Aurora è un ciclone. Solleva Maddy sopra la testa con una Gorilla Press Slam e la scaglia fuori dal ring come un trofeo. Il pubblico trattiene il fiato. Tu pensi ai mesi di parkour che hai imposto a Maddy, le corse estenuanti, i salti impossibili. “Sopravvivi,” le dicevi. E lei sopravvive. Atterra sui piedi, piegando le ginocchia, le braccia che assorbono l’impatto. Un miracolo di agilità. La folla esplode. Tu stringi il bordo del ring, le unghie che graffiano la tela. Orgoglio, sì, ma anche un pensiero che ti trafigge: non hanno mai urlato così per te. Maddy rientra sul ring come un fulmine. Con un Leg Sweep fa crollare Aurora, poi salta con un’elevazione che sfida la gravità e stampa un Kneedrop sulla fronte della campionessa. Il tuo cuore batte forte. E’ formidabile, forse troppo. Ogni suo movimento feroce rivela i tuoi gesti imposti, le sue scelte negate. E tra tutte, le più crudele: due settimane fa, il salone di bellezza. Hai accompagnato Maddy dicendole che le avresti dato un look spettacolare in vista del suo debutto. Ma la sua treccia bionda, più luminosa della tua, cadeva sul pavimento mentre il parrucchiere, da te istruito, le riduceva la lunga chioma a un residuo insignificante. ‘Per il wrestling serve disciplina,’ avevi esclamato fredda, ignorando il suo sguardo tradito e ferito. Ma ora, vedendo la sua bellezza naturale, i lineamenti perfetti sotto quel pixie cut severo, capisci: non era per disciplina. Era per spegnere la sua luce.

Maddy alza un braccio. Cinge la testa di Aurora, rimbalza sulle corde con grazia felina e le schianta il viso a terra. La folla è in delirio. Tu trattieni il respiro. L’arbitro conta: uno, due… Aurora esce al due. Impossibile. La Stratusfaction, la tua eredità, violata. Il tuo stomaco si contorce. Maddy si rialza, il viso contratto, e tu senti qualcosa farsi strada dentro. Non è solo Aurora. È lei. Sta riscrivendo tutto ciò che eri. Aurora contrattacca, furiosa, e ringhia: “Non sei niente, Blood. Solo l’ombra di tua madre.” Una serie di Lariat fa barcollare Maddy, seguiti da un calcio al ventre che la piega in due. La campionessa la prepara per il Pedigree, la mossa di suo padre. Il suo volto scolpito da valchiria asgardiana si fende di un sorriso crudele. Ma Maddy resiste. Con una forza che non ti aspettavi, la ribalta con un Back Body Drop, scaraventandola a terra. Poi, con un movimento fluido, colpisce con una Knife Hand Strike alla gola, mozzando il respiro ad Aurora. La folla è in piedi. Maddy alza le mani, formando una nuvola immaginaria, poi abbassa un braccio come una folgore. È il momento. La Stratus Whiplash. Un calcio rotante micidiale, un arco che sembra mancare Aurora, ma torna indietro, travolgendole la nuca con la potenza di un colpo di frusta. “Questa è la mia ragazza!” gridi, incapace di trattenerti. Un flash: le ore di Muay Thai, le sue gambe trasformate in armi letali. Aurora crolla fuori dal ring, esanime. Un fiotto di sangue le macchia il viso.

È finita. Maddy deve solo ributtarla dentro. Ti avvicini, il cuore che batte all’impazzata. I commentatori urlano: “Blood è la nuova regina! Più grande di Trish Stratus!” Quelle parole ti bruciano. La folla scandisce il suo nome, non il tuo. Vuoi abbracciarla, mostrarle il tuo orgoglio. Ma il tuo piede scivola sul sangue di Aurora. La tua mano si aggrappa alla spallina del body di Maddy. La tiri, forte, più forte di quanto dovresti. Un seno è scoperto. L’arena sussulta. Maddy si paralizza, il viso rosso di vergogna, cercando di coprirsi. Per un attimo, nel suo volto sconvolto, rivedi la dolce ragazzina quindicenne che ti correva incontro con le trecce al vento. “Scusa, tesoro,” balbetti. L’arbitro conta: otto, nove, dieci. Maddy è fuori tempo. Sconfitta per countout. La folla tace, delusa. Maddy ti guarda, gli occhi pieni di lacrime e rabbia. Non dice nulla. Si dirige verso lo spogliatoio. Tu la segui, il cappello da cowgirl che scivola, il peso del tuo gesto che ti schiaccia.

Il corridoio verso lo spogliatoio è un tunnel di luci al neon e ombre. I tuoi tacchi rosa ticchettano sul pavimento, un ritmo che si mescola al ronzio della folla lontana. Maddy ti precede, la schiena rigida, il body ancora sgualcito. Entri nello spogliatoio. È seduta su una panca, le mani che tremano mentre si sistema il body. I suoi capelli corti brillano sotto la luce fredda. Non ti guarda. Ti siedi di fronte a lei, il vestito rosa che stride contro il grigio metallico dell’ambiente. “Tesoro,” inizi, la voce incerta, “mi dispiace. È stato un incidente. Il sangue, io…” Ma le parole muoiono. Maddy alza lo sguardo, e i suoi occhi verdi sono fuoco. “No, Non mentirmi, mamma,” dice, la voce bassa, tagliente. “Non è stato un incidente.” “Non capisco,” tenti, ma la tua voce trema. Maddy si alza, i pugni serrati. “Lo so perché mi hai spinto a combattere,” dice. “Non era per me. Era per il tuo odio verso i McMahon. Vince ti ha molestata in ogni modo possibile, in tv e fuori. E tu per fargliela pagare attraverso Aurora Rose mi hai rubato tutto. Tre anni di diete che mi hanno fatto svenire, allenamenti che mi spezzavano. Niente amiche, niente vita. Mi hai trasformata in un soldato, non in una figlia.” Ricordi Maddy a quindici anni, raggiante, la chioma lunga fino alla vita, corteggiata dai compagni di scuola. L’hai obbligata a smettere di uscire, a indossare body neri e pantaloncini anonimi. “Devi essere seria,” le dicevi. Ma ora lo vedi: era per oscurare la sua luce, che brillava più della tua.

“E i miei capelli,” continua Maddy, toccandosi la nuca rasata. “Li amavo. Erano più belli dei tuoi, e tu lo sapevi. Due settimane fa mi hai ingannata tagliandomi tutto, dicendo che era per il match. Ma era perché non sopportavi che fossi più bella di te.” Le sue parole sono un coltello. “E oggi,” dice, la voce che si spezza, “quando stavo per vincere, quando il pubblico urlava il mio nome… tu mi hai sabotata.” Ti paralizzi. “Non è vero,” provi a dire, ma lei ti interrompe. “Ho visto il tuo sguardo, mamma. Eri soddisfatta.” Lei ti accusa, e tu non puoi negarlo, perché sai esattamente quando tutto è cambiato. Il sangue di Aurora sotto i tuoi piedi, i commentatori che esaltavano Maddy, la folla che la venerava. La tua mano sulla spallina, il tuo cuore che sussurrava: Non ancora. Non lei. “Maddy, io…” inizi, ma le lacrime ti soffocano. Crolli sulla panca, il cappello che cade a terra. “Hai ragione,” sussurri. “Ero invidiosa. Sei migliore di me. Temevo che vincendo avresti cancellato tutto ciò che sono stata.” Le parole ti bruciano. “Sono una madre orribile.” Ti inginocchi, implorando perdono. Ma Maddy non ti guarda con odio. “Nonostante tutto,” dice, la voce ferma, “mi hai dato una cosa. La passione per il wrestling. Continuerò, ma senza di te.” Prende la sua borsa ed esce, lasciandoti sola. Lo specchio riflette il tuo viso: il trucco sbavato, le extensions finte, il peso dei tuoi sessant’anni. Hai perso tua figlia. Forse anche te stessa.

Due mesi dopo, sei in un diner, l’odore di caffè bruciato nell’aria. La tazza è fredda. Il tuo tablet olografico ronza mentre scorri le notizie. Hai provato a chiamare Maddy, ma non risponde. Hai passato notti a fissare vecchie foto sue, chiedendoti dove hai sbagliato. Maddy è diventata virale. La sua sconfitta contro Aurora ha acceso una sollevazione popolare, costringendo Triple H a darle un’altra chance, non contro la primogenita, ma contro sua sorella minore, Murphy Claire, “The Gilded Serpent”. Una lottatrice astuta, con un costume a collo alto che nasconde un collare d’oro puro, simbolo del privilegio McMahon. La posta in palio: una title-shot a WrestleMania. Guardavi il match in TV, sola nel tuo salotto. Maddy, con il suo taglio militare e il body nero, sembrava diversa. Più sicura, più libera. Murphy, allenata per neutralizzare la Stratus Whiplash, aveva previsto ogni sua mossa. Quando Maddy aveva colpito con una Knife Hand Strike, la sua mano si era infranta contro il collare d’oro, provocandole un dolore lancinante. Murphy aveva sorriso, velenosa, accarezzandosi i folti riccioli di un rosso vivo: “Ti ho studiata. Decodificata. Non vali un’unghia di tua madre.” Con tua figlia in ginocchio in preda all’agonia, la rampolla McMahon aveva spiccato il volo come il leggendario Queztalcoatl, rimbalzando in successione sulle tre corde più alte per il calcio volante più spettacolare nella storia del wrestling: il Triple Snake Bite. Ma pur ferita, stordita, Maddy non era doma. Con rapidità felina, aveva trovato un’apertura: uno Spinning Back Kick all’addome, poi una variante della sua finisher, la Blood Rite, imparata senza di te. Un calcio di rimbalzo perfetto, dritto sul viso di Murphy che aveva schivato il primo colpo abbassando la testa. Il Serpente Dorato era crollato, la sua tracotanza spezzata. Maddy era nel main event di WrestleMania. E tu, guardandola esultare, avevi pianto, di rimpianto e orgoglio.

Esci dal locale e ti affretti. Oggi è la conferenza stampa di WrestleMania. Hai deciso che sarà la tua ultima apparizione pubblica. Niente extensions, niente trucco pesante. I tuoi capelli castani, naturali, sono raccolti in una coda corta. Indossi un tailleur grigio, sobrio, adatto a una donna di sessant’anni. Le rughe intorno agli occhi sono visibili, ma non le nascondi. Vuoi vedere Maddy, anche solo da lontano, e dirle ciò che non hai avuto il coraggio di dire. La folla rumoreggia quando Maddy appare sul palco. I suoi capelli corti hanno una frangetta che le addolcisce il viso. Indossa una camicetta bianca di pizzo, jeans e scarpe basse. È semplice, autentica. Si presenta come “Blood”, solo Blood. “Batterò Aurora Rose,” dice al microfono, la voce ferma. “E lo farò per me.” La folla esplode. Tocca a te. Sali sul palco, il cuore che batte forte. L’applauso è tiepido, ma sincero. “Questa è la mia ultima apparizione,” dici, la voce calma. “Non sono qui per i riflettori. Sono qui per mia figlia. Blood. Le offro il mio amore, sempre, se lo vorrà.” Alzi lo sguardo su di lei. I suoi grandi occhi verdi si addolciscono, solo per un istante. È abbastanza. Mentre scendi dal palco, un coro si alza: “Sei bellissima! Sei bellissima!” Ti fermi, confusa. Non è per Maddy. È per te. Per la prima volta, senti un complimento che non riguarda la tua maschera da diva, ma te, Trish, la donna che ha sbagliato, che si è pentita. Le lacrime ti rigano il viso, ma sorridi. Maddy ti guarda, e non c’è rabbia nei suoi occhi. Non c’è perdono, non ancora, ma c’è speranza. Scendi dal palco, il coro che echeggia. Blood è pronta a brillare, e tu sarai lì, nell’ombra, a sostenerla. Sempre.

E questa, per una madre e una figlia, è la sola verità che conta.


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Scritto da Federico “Colosso” Moroni
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