Una masnada di farabutti. Stupratori, molestatori, drogati, psicotici, bulli, puttanieri, ladri, corrotti, pedofili e ogni sorta di crimine e devianza dalla morale. Sembra che il destino abbia stabilito che chi pratica wrestling con grande successo debba necessariamente essere una persona orribile, e di certo fra le leggende della disciplina si trova la maggior percentuale di gentaglia da forca rispetto a tutti gli altri sport. Eppure, sembra che non vi sia reato per quanto atroce che il fan della lotta libera non possa perdonare, trovando ogni tipo di giustificazione per i comportamenti aberranti, o dichiarando di non farci caso fin quando può ammirare il suo atleta preferito in azione.
“Separiamo l’artista dalla persona. Non importa quanto uno fosse cattivo o spregevole nella vita privata, se con la sua arte ci ha regalato tanti momenti sublimi di cui godere. Caravaggio era un assassino che fuggiva da una condanna a morte, avete presente? Eppure chi pensa a queste piccolezze quando la meraviglia dei suoi capolavori ci fa perdere i sensi per la bellezza?”
Ben conscio di quanto simili ragionamenti siano radicati nella mente degli appassionati, non sorprende che la più grande leggenda caduta in disgrazia, l’immortale Hulk Hogan, li abbia sfruttati per fare appello alla proverbiale generosità del WWE Universe. Durante il podcast di Logan Paul, l’eroe giallo e rosso ha affermato che i fan di wrestling sono molto indulgenti e che, se avevano potuto perdonare uno come Chris Benoit per le atrocità commesse e amarlo tuttora, un giorno avrebbero concesso anche a lui la piena assoluzione per i suoi peccati. Non l’avesse mai detto.
Sui social la shitstorm è montata con la rapidità di un tornado. Terribile, assoluta, definitiva. Ma non consiste in quanto possa immaginare chi ha un minimo di sale in zucca. Su Twitter, Youtube, Facebook la maggior parte dei patiti del wrestling non si è indignata con Hulk per avere messo a confronto il più orrendo dei massacri con un mero sfogo verbale, ma per avere osato infangare la memoria dell’intoccabile mito Benoit: il Canadian Crippler è una vittima delle circostanze a cui l’IWC ha concesso il perdono istantaneamente, mentre un verme razzista come Hogan non ha giustificazioni e dovrà bruciare all’inferno per avere mancato di rispetto al 13% degli americani.
Proprio così. Non è uno scherzo. C’è gente che ritiene meno grave sopraffare la propria moglie legandola stretta per poi strangolarla a mani nude, e spezzare il collo di un bambino di 7 anni dopo averlo imbottito di Xanax, piuttosto che lasciarsi andare a un’invettiva con epiteti razziali in casa di un amico, senza sapere di essere registrati di nascosto e che il filmato verrà divulgato ed esposto all’implacabile giudizio del web. Ci sono gruppi con migliaia di utenti che romanticizzano la figura di Benoit, si commuovono per il suo trionfo di Wrestlemania 20, fanno petizioni per il suo ingresso nella Hall of Fame, mentre pretendono che ad Hogan sia riservata la Damnatio Memoriae definitiva. Non importa loro che il canadese, in quel coacervo di manigoldi che costituisce la comunità dei lottatori, sia l’unico vero assassino comprovato e meriti il primo posto fra la peggiore feccia che abbia mai infestato il ring. Non ammetteranno mai la sua colpa. Hanno simpatia per il Diavolo.
“Chris Benoit non è responsabile delle sue azioni. Non poteva pensare o ragionare. Aveva la sindrome del pugile suonato, il suo cervello era quello di un ottantenne con l’Alzheimer, un avanzato stato di demenza l’ha portato alla follia!” Questo è ormai diventato il mantra di tutti gli apologisti, incuranti del fatto che le autopsie furono commissionate dallo stesso padre del Crippler, e che la WWE stessa le abbia bollate come semplici speculazioni. E’ proprio vero che gli esseri umani possono bersi qualunque panzana quando fa loro comodo. Non hanno pensato che Benoit era stato presenza fissa in tutti i tv show fino a tre giorni prima del massacro, e che è quantomeno assurdo che nessuno dei colleghi, agenti o dirigenti con cui interagiva si fosse accorto di avere a che fare con un matto che sragionava o un idiota che non sapeva formulare un pensiero logico?
Perchè è questa la pillola tremendamente dura da ingoiare per i nostalgici del Rabid Wolverine: non è trattato dell’impulsivo atto di rabbia di un maniaco in stato confusionale, ma di una mattanza accuratamente premeditata ed eseguita in uno stato di lucida follia. Benoit era ben conscio della gravità di ciò che stava facendo o non avrebbe stabilito di togliersi la vita per espiare la colpa. Ma se anche la sua mente annebbiata potesse fornire una qualche attenuante, pensate a questo: quanti fra gli affetti da encefalopatia traumatica cronica diventano effettivamente degli omicidi? Una persona col morbo di Alzheimer è forse intrinsecamente pericolosa? No, ragazzi miei. Azioni talmente malvagie e violente non possono essere che esclusiva responsabilità del lottatore canadese.
E qui casca l’asino. Non sto neanche a menzionare tutti i complottisti (e sono tanti purtroppo) che scagionano completamente il Crippler e attribuiscono la strage a Kevin Sullivan, abile a penetrare di nascosto nell’abitazione e a massacrare l’intera famiglia per poi incastrare il rivale con un falso suicidio. Benoit viene discolpato semplicemente perchè era un nome di culto presso la nicchia più smart. E’ questo il motivo per l’enorme, inconcepibile disparità di giudizio fra lui e Hogan: il Rabid Wolverine era un abilissimo technician, maestro delle submission e portato ad esempio di wrestler ideale da Meltzer e dai suoi seguaci, mentre l’Immortale eseguiva poche mosse, lottava in modo semplice, era considerato irrimediabilmente scarso da contasuplex e puristi. Uno era il Daniel Bryan dei suoi tempi, l’altro Roman Reigns nel suo momento peggiore.
Ed è per questo che la gente si è inventata quella baggianata di separare l’artista dalla persona. E’ una regola creata ad hoc per Benoit, per poter continuare ad innalzarlo a guru e riguardare i suoi match senza provare vergogna. Ma perchè allora non applicarla a vantaggio del fondatore del wrestling per come lo conosciamo? Pensateci. Come disse Hogan stesso nel suo discorso incriminato, tutti siamo razzisti fino a un certo punto. Lanciamo strali contro chi sgarra in contesti pubblici, ma quante volte nel segreto delle nostre case diciamo, anche per scherzo, parole che garantirebbero la nostra epurazione sul posto di lavoro? Non è da perfetti ipocriti negare qualsiasi chance di perdono a qualcuno che si è comportato come noi abbiamo fatto almeno una volta nella vita? Perchè al mondo non esiste chi è esente da qualsiasi misfatto verbale. Perfino i cultori del politicamente corretto, che si vantano di non avere mai offeso una minoranza, sono i primi ad essere violenti e intolleranti contro chi ha un’ideologia o uno schieramento politico diverso dal loro.
Assolviamo Hogan. Perdoniamolo una volta per tutte. Benoit non può riportare in vita le esistenze che ha spezzato, ma Terry Bollea ha già espiato il suo errore con scuse sincere di fronte ai colleghi e all’intera nazione. Avidità ed egoismo sono solo un ricordo per lui. Ha rinunciato agli inganni di fama e successo, ha affrontato e sconfitto i suoi demoni ed è rinato come cristiano genuino, per cui ogni uomo è un fratello ed ogni vita un miracolo da preservare. Concediamogli un’ultima grande platea, quel benedetto match di ritiro davanti a centomila Hulkamaniacs; acclamiamolo come non abbiamo mai fatto, adoriamolo, sommergiamolo nel nostro amore, perchè può avere fallito, può avere peccato, ma ha ispirato tanti di noi a diventare persone migliori. E anche solo per la felicità che ha donato ai nostri cuori di fanciullini, quando verrà il momento di salire al cielo empireo si sarà guadagnato il seggio d’onore alla destra di Dio.
E cosa farete, amici miei, quando su di voi correrà selvaggia la verità?
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