Gorilla Position #38 – Sting e Flair, finire nel modo giusto

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Nell’ultimo episodio di AEW Dynamite, abbiamo visto comparire sullo stage Ric Flair. Il Nature Boy è stato il regalo di Tony Khan a Sting, che inizia così il suo cammino verso Revolution 2024 e verso il ritiro. Ecco, sui vari social network se ne stanno leggendo di ogni, dai leoni da tastiera armati di reaction che ride. L’insulto diffuso e indiscriminato al grido di “AEW cimitero di elefanti”, “Che sono questi cadaveri” o affini. Non che la cosa stupisca, vista la generica incapacità di comprendere il significato che sta dietro alle cose che succedono (quando e se succedono) on screen, preferendo, al solito, il cameratismo da tifosotti da bar sport.


Ma fa anche specie il rifiuto verso le fondamenta di quello che è il wrestling business per come lo conosciamo oggi. Che in WWE (ma non solo) dal passato non si sia minimamente cercato di imparare, ma piuttosto lo si usi come plafond per appiattire i contenuti è abbastanza evidente. Recente o remoto che sia. L’incapacità di riuscire a guardare oltre i soliti nomi, di nobilitare al tempo stesso chi le pagine di storia le ha scritte e continua a farlo. Ecco perché trovo veramente ridicolo e puerile mettersi a sindacare su episodi come quello di mercoledì notte.

In cui non si è fatto niente di male, se non aprire i libri di storia e far finire una leggenda di questo business riprendendone un capitolo fondamentale e non trascurabile. Ecco perché è stupido criticare Adam Copeland perché, ussignur, ha voltato le spalle a chi gli ha dato da mangiare per decadi. A voi piacerebbe finire la carriera perdendo un match inutile e insulso contro Baron Corbin?

Il wrestling basa i suoi meccanismi sull’interazione ring-pubblico. I performer ci regalano le loro vite, le loro emozioni e più questo legame è forte più io riesco ad immergermi nella storia che mi stanno raccontando. Riesco a farla mia, a comprenderne la struttura, a pensare a come io mi sarei comportato. Oppure riesco a ricordarmi dei tempi che furono, della prima volta in cui ho visto Sting, di quando Edge e Christian insieme a tutto il resto della truppa ci deliziavano con i TLC, i Ladder Match e via dicendo.

E in questa operazione di nostalgica reprise, io spettatore vivo lo stesso sguardo, orgoglioso e forse a tratti malinconico, di chi sul ring sa che tra poco gli stivali finiranno nello sgabuzzino. Perché il capitolo si chiude. E chi siete voi per giudicarne il modo? Per ridere di qualcuno che rischiava di non camminare più. Di non fare più ciò che amava e ama, e invece è ancora qui a sacrificare il suo corpo per noi. La figlia di Copeland ha detto “Papà, vai a divertirti con Zio Jay”. Perché nessuno meglio di loro stessi e dei loro cari sa qual è il posto in cui sono più felici. O quali sono le cose che più li fanno sentire realizzati.

Passiamo la vita a fingere di essere chi non siamo, al lavoro dove dobbiamo dire di sì quando il nostro capo ci chiede cose insensate (@mio capo: non è autobiografico, tranquillo!). A casa, quando interpretiamo mille ruoli per rendere felici coniugi, figli, genitori, chiunque. E non è tremendamente liberatorio, a volte, quel momento in cui ci sentiamo pienamente noi stessi? Che l’acredine del tifo sia diventata tale per cui non si apprezzi un rimando storico enorme come quello tra Sting e Ric Flair è tra il patetico e il disarmante. Si è letto anche della Cargill che la WWE è il posto giusto per lei. Ben venga! La pluralità di direzioni rende disponibile per ciascuno una via d’uscita.

E allora si aprano le porte alla storia, si riprendano gli esordi, si convochino gli attori e si dia inizio alla magia. Si lascino liberi i volti leggendari che hanno reso grande questa disciplina di chiudere il loro cammino come meritano. Senza essere imprigionati in copioni prestabiliti, in narrazioni senza senso e dimentiche della biografia delle parti in causa (vero Judgment Day?). Senza dover per forza prestarsi a “mandare over i giovani”, quando di giovani non ne sono stati costruiti. Oppure quando non c’è dietro una costruzione che sorregga questo esito. Che ciascuno trovi la casa giusta dove concludere il proprio cammino.

Sia essa AEW, come per Copeland, Christian Cage, Sting e Danielson, sia essa la WWE, come per Goldberg, come Rey Mysterio e come probabilmente sarà per altri. Sia essa Impact/TNA, come per Kazarian e Gail Kim. A ognuno il suo, insomma. Purché si riesca, tramite la storia, a farci innamorare ancora una volta del wrestling.

Andrea Samele
Andrea Samele
Laureato in filosofia, amante della creatività, della scrittura e del suono musicale di una chop. Appassionato di wrestling di lunga data per la capacità di creare personaggi e storyline in grado di coinvolgere gli spettatori. Per Tuttowrestling.com curo l'AEW Planet.
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