Gorilla Position #24 – Cosa ci dicono Moxley e Punk

Ci stiamo avvicinando a uno dei weekend più pieni della storia recente del wrestling. SmackDown! e Rampage il venerdì, Clash at the Castle il sabato e NXT/NXT UK Worlds Collide a far compagnia ad AEW All Out domenica 4 settembre. Il Gorilla Position si occupa di esaminare le strutture narrative e trovo interessante parlare di ciò che sta succedendo in AEW tra Jon Moxley e CM Punk. Partiamo da un presupposto: questa storia per me di senso ne ha molto poco. Perché parole, fatti e tempistiche si contraddicono.


RIPERCORRIAMO GLI INIZI

Maggio, Double or Nothing 2022: CM Punk sconfigge Hangman Page e diventa AEW World Champion. La consacrazione di un percorso che lo aveva visto uscire vincitore dalla faida con l’arcinemico MJF e lo aveva proiettato nelle alte sfere. Non senza una certa aria di superiorità nei confronti del rivale per il titolo. Giustificata dai fatti, però, perché appunto, Punk vince. E vince anche bene. Ma arriva l’imprevisto: a Rampage l’annuncio che il neo campione è seriamente infortunato.

Ne abbiamo già parlato nell’AEW Planet: di fronte all’imprevisto, Tony Khan ha perso un po’ la bussola e si è messo a navigare a vista in mare aperto. Perché l’America da scoprire si chiamava MJF che ritorna dopo quella pipebomb là e mette tutti i pezzi a posto. Scacco matto al campione CM Punk e trionfo del grande villain che diventa al tempo stesso eroe dei pillars AEW contro gli ex WWE.

Però, tocca il piano B. E così, torneo per decretare il campione ad interim, vinto da Jon Moxley che era in altre faccende affaccendato, vista la nascita del Blackpool Combat Club. Punk si eclissa in un lungo periodo di inattività, durante il quale Moxley spadroneggia. Tanahashi a Forbidden Door, poi il Blood & Guts, poi Brody King, Takeshita, Rush, Mance Warner, Chris Jericho. Più il regno GCW, più i match con la NJPW in America… E il pubblico ha adottato il rinato Moxley dopo il periodo in rehab per via della dipendenza dall’alcool.

IL MIGLIOR MOXLEY MAI VISTO IN AEW

Quello che la AEW si è trovata tra le mani è il Moxley migliore di sempre. Per lo meno da quando è a Jacksonville. Sempre sul pezzo, sempre convincente, con l’unico neo di sanguinamenti eccessivi e talvolta ingiustificati. La AEW ha un campione degno di questo nome, in grado di portare sulle sue spalle la compagnia e il regno dopo il periodo non entusiasmante con Hangman Page. Però.

Però arriva il 10 agosto, Quake by the Lake. Il Blackpool è in faida con la Jericho Appreciation Society e il main event vede Moxley difendere con successo il titolo contro Chris Jericho. Al termine del match parte l’assalto al campione da parte degli altri membri della JAS. Il Blackpool Combat Club è in difficoltà e all’improvviso parte Cult of Personality. CM Punk is back! CM Punk is here! E come un Power Ranger che affronta i Putties di Rita Repulsa, pelo e contropelo e in due secondi due il ring è pulito. “Punk looks great, I’ve got to tell you”, si dicono i commentatori. Punk sembra in gran forma, te lo devo dire. Moxley non apprezza l’aiuto, però, faccia a faccia, dito medio e tanti saluti.

17 agosto, i due rivali microfono alla mano se le danno di santa ragione. Di nuovo il Punk tracotante visto contro Page, che ridicolizza l’avversario (and friends). Moxley è abituato ad essere il terzo delle stable di cui fa parte. Moxley non sarà il primo né il miglior John battuto a Chicago per un titolo. E si circonda di gente come Eddie Kingston, il terzo miglior Eddie e il secondo Kingston con cui Punk ha avuto a che fare. Jon Moxley è di serie B.

La risposta dell’Interim Champion è sullo stesso livello, accusando Punk di parlare tanto ma poi di non essere più in grado fisicamente di reggere.

“Il microfono non conta sul ring, Punk, perché essere il migliore è una questione di cuore, di anima, di energia e spirito combattivo. E sappiamo che tu hai finito la benzina un bel po’ di tempo fa.”

Parte la rissa, in cui entrambi si inseguono, saltano, corrono. E poi la decisione, per certi versi assurda, di anticipare il match di unificazione a Dynamite, invece che ad All Out. Gli ascolti calano, c’è bisogno di una sterzata e infatti Dynamite torna sopra il milione, ma il match dura appena tre minuti.

SELLING E OVERSELLING

Tre minuti perfetti, dal mio punto di vista. In cui CM Punk vende un riacutizzarsi dell’infortunio, una ricaduta, o delle condizioni precarie. Moxley vince, distrugge Punk, sente l’odore del sangue (non il suo, per una volta) e come uno squalo infierisce e porta a casa quanto gli spetta. Lui è l’alpha male della AEW, lui si è conquistato questo ruolo, combattendo, sanguinando, soffrendo e vincendo ogni settimana. Quello che doveva essere l’incontro di unificazione delle due cinture, un dream match tra due grandi del ring, diventa un segmento o poco più.

Una manciata di minuti, ingressi inclusi, piazzati a centro puntata tra le pause pubblicitarie. Scelta giusta? Scelta sbagliata? Chiudendo il cerchio, puntata di Dynamite di questa settimana, in cui Moxley annuncia una Open Challenge per All Out. Che si svolge a Chicago, vale la pena ricordarlo. Meltzer e Alvarez, con Fightful a ruota, insistono che Mox vs Punk sarà il main event. Ma com’è possibile? Il campione è infortunato, è chiaro. Ha venduto un piede rotto o poco meno, non riusciva a camminarci sopra. Per un singolo calcio dato all’avversario (peraltro con l’altro piede). Come può ora combattere. Eppure Punk sale sul ring e ci racconta la sua storia.

“1 di giugno. Mi sono rotto un piede. E come se non bastasse, ci ho combattuto sopra un intero match e per citare il mio chirurgo, ho polverizzato le ossa del mio piede. Mi sono operato una settimana dopo, con 3 placche e 16 viti nel mio piede. Ho fatto tanti errori nella mia carriera ed evidentemente uno di questi è stato tornare troppo presto dal mio infortunio. Perché la scorsa settimana a Cleveland ho perso malamente. Ero al 100%? Secondo i dottori sì. Avevo il loro ok, le radiografie erano a posto. Ma è un 100% diverso e non so se è abbastanza.”.

E mentre Punk quasi alle lacrime allude a un possibile ritiro, con il pubblico solidale con il proprio eroe domestico, arriva Ace Steel, l’amico di sempre. Che ricorda a CM Punk chi lui sia, per se stesso e per Chicago. Spingendolo a firmare quel contratto di Open Challenge e andare contro Moxley, qui a Chicago e per Chicago. Punk cambia completamente attitude, urla ai fan tutto il suo amore per la città. Si mescola agli spettatori un po’ alla Moxley e dal cuore grida quasi in maniera straziante la sua volontà di combattere.

“Perché è da quando sono nato che cercano di buttarmi giù ma io mi rialzo sempre. Perché Moxley non sarà mai Wild come Chicago. Non puoi rompermi le ossa qui, Moxley, non puoi bere il mio sangue. Perché noi siamo Chicago.”. Firma e main event di All Out sancito. Pubblico in delirio, promo che va dritto al cuore e alla pancia di chi guarda, magistralmente eseguito. Ma.

HA SENSO TUTTO QUESTO?

Ma ha senso ciò che stiamo vedendo? Ha senso che in una settimana una persona che non poteva camminare e che ha perso in tre minuti rivendichi ora una seconda opportunità? Ha senso che una persona medically cleared venda in quel modo un infortunio, parli di ritiro e poi cambi improvvisamente idea solo perché “We are Chicago”? La trama del campione fiaccato dalle disavventure, che non vuole arrendersi all’età che avanza e agli infortuni ha perfettamente senso. Se ha dalla sua il tempo necessario per dipanarsi. Se la gestazione è precisa e metodica, benissimo i 3 minuti, benissimo qualche settimana di patema d’animo, come quando Punk lottava con i rincalzi di Dark o Elevation e impiegava decine di minuti. 12 con Bobby Fish, 11 con QT Marshall, 14 con Matt Sydal, 10 con Lee Moriarty.

Eccolo, CM Punk non è più lui, ha perso la magia, è uno dei tanti. Ora è debole, vulnerabile, potrà vincere il titolo, certo. Ma in condizioni non perfette ha senso che sia alla mercé di un toro come Moxley. Che vede rosso (sangue) e incorna. Ma le parole hanno un peso: Punk è tornato smargiassando, ripulendo il ring dall’intera JAS, ridendo di Page, ridendo di Moxley. Chi, con un briciolo di cervello, potrebbe mai fare un promo del genere sapendo che in 3 minuti sarebbe stato preso a schiaffi? E ammesso e non concesso che i dubbi su questo nuovo 100% siano nati solo dopo il match con Moxley, con che spirito ti ripresenti sul ring? Dopo aver venduto in quel modo le tue condizioni. Dopo aver perso malamente nel tempo (circa) per cui un uomo viene solitamente preso in giro al grido di “ah, già… finito?”.

Non dopo una settimana, non senza approfondire. Voglio vedere quell’abisso che porta Punk a pensare al ritiro, voglio sentire la sua sofferenza e vederla tangibile nei match in cui lui cerca di rendersi conto se c’è ancora o no. Voglio vederlo credere davvero che a Chicago, ad All Out lui ce la farà. E non perché è di Chicago, ma perché lui è CM Punk ed è fatto della stessa pasta di Jon Moxley. Invece in due settimane due, abbiamo visto ribaltarsi la situazione più volte. Punk il superiore, Punk la vittima, Punk l’infortunato, Punk che si ritira, Punk che improvvisamente rinasce. In due singoli dannatissimi promo e un match di 3 minuti.

E ora cosa succede ad All Out? Già, perché se Moxley perde chi fa la figura del pagliaccio ora è lui. Le parole contano, i fatti di più. E Moxley ha ridicolizzato Punk, nell’ultimo Dynamite. Insistendo su quei 3 minuti, parlando di come ce ne siano altri 57 nel suo serbatoio perché lui, Moxley, è un vero 60 minute man.

“Io sono il campione indiscusso AEW, io sono il cuore e l’anima della AEW. […] Punk ha capito chi aveva di fronte ed ha cercato una via di fuga. Punk è scappato. Ha abbandonato. Un campione non scappa. Mai. Non avete idea di quanto io sia dispiaciuto per voi che CM Punk non si sia rivelato ciò che voi speravate che fosse. […] Ego fragile, corpo fragile, spirito debole. Questo è CM Punk, in questa sua seconda possibilità in questo business. […] Ma io non sono solamente il campione AEW, io sono fuoco che brucia, sangue che scorre, sono l’incarnazione vivente del wrestling professionistico. Sono una volontà indomita. E chiunque tu sia, se vuoi sfidarmi, sei avvisato: ti farà male.”.

E ad All Out perde? Contro quello che è durato 3 minuti contro di lui? Ma no dai, non ci posso davvero pensare. Certo se perde Punk perché tutto questo teatrino? Ecco, la fretta è stata cattiva consigliera. Ci ha consegnato ottimi promo, memorabili quasi. Da vedere e rivedere. Ma che messi insieme raccontano una storia che avrebbe avuto un potenziale pazzesco e che invece vive di due settimane di montagne russe. Siamo testimoni di un selling pazzesco che è diventato overselling narrativo. Ad All Out c’era poco o nulla, ora abbiamo un main event comunque da guardare. Incerto, teso, emozionante.

Ma quanto sarebbe stato bello arrivarci con una storia preparata, lavorata, raccontata e vissuta bene. In maniera profonda. Sensata, motivata. Bella. In maniera bella. Dove un vincitore e uno sconfitto avrebbero portato entrambi una bandiera, a loro modo. Chi in positivo, chi in negativo. E invece, entrambi non possono perdere ora, perché se le parole sopra citate hanno un peso, i rischi sono davvero tanti.

Vedremo quali assi nella manica avrà Tony Khan per sorprenderci e chiudere il cerchio. Sempre ammesso che siano tali, e che non si tratti di Joker.

Andrea Samele
Andrea Samele
Laureato in filosofia, amante della creatività, della scrittura e del suono musicale di una chop. Appassionato di wrestling di lunga data per la capacità di creare personaggi e storyline in grado di coinvolgere gli spettatori. Per Tuttowrestling.com curo l'AEW Planet.
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