Mi si permetta una riflessione
Inviato: 13/03/2013, 1:05
Troppo facile celebrare il Barcellona in una serata come questa. Ma è lo stesso Barcellona che insegna: le cose facili sono quelle vincenti, per cui come da titolo mi permetto una riflessione non troppo coesa, molto di pancia e poco di testa.
La premessa è che io seguo calcio da quando avevo sette anni, il che fa sedici anni di partite vissute prima con dei colori nel cuore, e poi con un distacco che non è distacco dallo sport ma dalle contingenze del tifo. Ricordo partite incredibili (Juventus-Real 3-1, Milan-Liverpool 3-3, Brasile-Francia 0-1, le due Inter-Barcellona di Mou...), partite brutte (troppe), partite con una squadra in campo (Manchester-Roma, Manchester-Arsenal 8-2), partite di ogni tipo.
E squadre di ogni tipo: la Juventus di Lippi, colta nei suoi ultimi scampoli, le due finali di Champions perse (con beffa finale contro il Milan, anni dopo); la Juventus, poi, di Capello, per due anni di seguito in testa ogni settimana ad un campionato ipercompetitivo ma cocente delusione in Europa. Il Milan che con Ancelotti ritrova la sua dimensione, il riscatto di Istanbul. L'Inter derubata, l'Inter ladra, l'Inter spaziale ma effimera di Mourinho. Il sogno dell'Arsenal di Wenger, la finale di Champions tra Porto e Monaco, più poetica nelle premesse che non sul campo...insomma, ci siamo capiti.
Niente, in sedici anni, mi ha dato ciò che mi dà il Barcellona - il senso di vivere un pezzo di storia del calcio. Si sentiva così chi vedeva i primi passi del Calcio Totale o del Milan di Sacchi? Io so solo che pensare al Barcellona - ad un Barcellona comunque umano e battibile - mi dà un senso di vertigine sempre nuovo.
Leo Messi. Non sono mai stato il suo più grande estimatore. Sono un Ronaldiano della prima ora, attirato da questo ragazzo che portava il cognome del Fenomeno, conquistato dalla sua eleganza strafottente e dalle sue gambe frenetiche. Ma stagione dopo stagione è maturata in me la convinzione che Messi sia il più forte calciatore ad aver mai messo piede su questa Terra. Maradona è l'eccesso, è Bach, un tumulto ordinato, una tempesta perfetta. Messi ha il sinistro chirurgico di Cesarini e l'apparente essenzialità di Mozart: sembra tutto semplice, è tutto complicatissimo. Pelé un simbolo, IL simbolo di una squadra di mostri - così come Leo, che però è più completo e tecnico, più istintivo e al tempo stesso più ragionato. C'è un qualcosa di epico nel modo in cui settimana dopo settimana Messi macina gol, che è un po' l'epicità dei 225 gol in serie A di Totti: due campioni il cui talento straborda al punto che i gol diventano in eccesso, fuori scala. Messi da agosto 2011 ha segnato 126 gol in 102 partite con il Barcellona. Eppure ridurre Messi ai gol è togliere l'arte dalla cornice, guardare uno spazio bianco.
Messi è l'ingranaggio perfetto di un collettivo perfetto. La sua unicità è la vera differenza tra quelli che possiamo considerare i quattro sistemi calcistici che formano una catena: il Wunderteam, l'Aranycsapat, il Totaalvoetbal e il Tiqui-taca.
Tutti questi sistemi (anni 30, 50, 70 e anni Zero - gli anni 90 sono della zona sacchiana, che meritebbe un altro approfondimento) sono caratterizzati da giocatori fondamentali in posizioni chiave. Ciò che regge l'intero sistema è inequivocabilmente il centrocampo, fulcro dell'armonia collettiva. Del Wunderteam austriaco, del grande precursore Jimmy Hogan, dei maestri sparsi in centotrent'anni di storia calcistica spero di poter parlare in un'altra occasione. Quello che mi preme sottolineare qui è quella famosa vertigine di cui parlavo.
Andres Iniesta. Per ogni Pelè c'è un Garrincha, un giocatore altrettanto fondamentale nell'economia del gioco ma indubbiamente meno simbolico. Iniesta è un calciatore impressionante. E' come se Zinedine Zidane giocasse sempre al top della forma - e per di più al servizio della squadra, cosa che un francese cresciuto nelle periferie mai potrebbe fare. Un videogioco due passi avanti alla realtà. Apparentemente Iniesta non ha bisogno di Messi per essere grande, la Spagna vince con la stessa disarmante semplicità. Ma per essere grandissimo, allora sì, Iniesta si mette al servizio del fenomeno, reggendo la squadra con una costanza tale che lo si dà per scontato. E ogni tanto qualcuno dice: occhio alle marcature, perché a Messi ci fai caso e lo ingabbi, ha il numero 10 sulla schiena che è un bersaglio per interditori scelti. Ma l'Illusionista passa inosservato finché non ha la palla tra i piedi - e a quel punto la magia è già in corso, trattieni il respiro e osserva.
E poi Xavi, di cui tantissimo è stato detto. E Busquets l'infame, il simulatore, il serpente che ha in mano l'elastico tra difesa e attacco, l'uomo del lavoro sporco, l'insostuibile più insospettabile. E Piqué che potrebbe giocare attaccante tanta è la tecnica e la forza che dimostra. Dani Alves, Jordi Alba, Fabregas, Pedro, Sanchez...tutti con una storia da raccontare in campo.
E David Villa. Che fatica ad essere importante, che è un ingranaggio che un po' stride, che con il Nou Camp non riesce ad andare oltre il sesso del primo appuntamento, eterna attesa di qualcosa che non arriverà. Ma Villa, uomo quasi superfluo dello Squadrone, è una leggenda. Miglior marcatore della storia della nazionale spagnola.
Questa è la vertigine. Pensare che ogni cosa di questa squadra resterà nella storia, e che noi la stiamo vivendo in modo così nitido e ardente. Che racconteremo ai figli di un passato mitico che lega Inghilterra, Austria, Ungheria, Ucraina, Olanda, Cecoslovacchia e Spagna. L'emozione non è il gol al novantesimo. L'emozione è la ricchezza di un patrimonio culturale che si mostra davanti ai nostri occhi con la naturalezza del Piccolo Principe, il viso semplice di Lionel Messi e la sua corsa priva di sforzo, il tiro da fermo che prende quella traiettoria unica, irripetibile, incastonata nella storia nel momento stesso in cui si verifica.
Quinto minuto del primo tempo, Barcellona-Milan 1-0, segna Messi. Il calcio si ferma per un istante e poi riparte. Altre squadre e altri campioni faranno la storia in futuro. Oggi c'è il Barcellona, ancora vivo. Onore al Milan per centottanta minuti di alto livello, oggi vince la leggenda, domani per i rossoneri ci saranno nuovi successi.
La premessa è che io seguo calcio da quando avevo sette anni, il che fa sedici anni di partite vissute prima con dei colori nel cuore, e poi con un distacco che non è distacco dallo sport ma dalle contingenze del tifo. Ricordo partite incredibili (Juventus-Real 3-1, Milan-Liverpool 3-3, Brasile-Francia 0-1, le due Inter-Barcellona di Mou...), partite brutte (troppe), partite con una squadra in campo (Manchester-Roma, Manchester-Arsenal 8-2), partite di ogni tipo.
E squadre di ogni tipo: la Juventus di Lippi, colta nei suoi ultimi scampoli, le due finali di Champions perse (con beffa finale contro il Milan, anni dopo); la Juventus, poi, di Capello, per due anni di seguito in testa ogni settimana ad un campionato ipercompetitivo ma cocente delusione in Europa. Il Milan che con Ancelotti ritrova la sua dimensione, il riscatto di Istanbul. L'Inter derubata, l'Inter ladra, l'Inter spaziale ma effimera di Mourinho. Il sogno dell'Arsenal di Wenger, la finale di Champions tra Porto e Monaco, più poetica nelle premesse che non sul campo...insomma, ci siamo capiti.
Niente, in sedici anni, mi ha dato ciò che mi dà il Barcellona - il senso di vivere un pezzo di storia del calcio. Si sentiva così chi vedeva i primi passi del Calcio Totale o del Milan di Sacchi? Io so solo che pensare al Barcellona - ad un Barcellona comunque umano e battibile - mi dà un senso di vertigine sempre nuovo.
Leo Messi. Non sono mai stato il suo più grande estimatore. Sono un Ronaldiano della prima ora, attirato da questo ragazzo che portava il cognome del Fenomeno, conquistato dalla sua eleganza strafottente e dalle sue gambe frenetiche. Ma stagione dopo stagione è maturata in me la convinzione che Messi sia il più forte calciatore ad aver mai messo piede su questa Terra. Maradona è l'eccesso, è Bach, un tumulto ordinato, una tempesta perfetta. Messi ha il sinistro chirurgico di Cesarini e l'apparente essenzialità di Mozart: sembra tutto semplice, è tutto complicatissimo. Pelé un simbolo, IL simbolo di una squadra di mostri - così come Leo, che però è più completo e tecnico, più istintivo e al tempo stesso più ragionato. C'è un qualcosa di epico nel modo in cui settimana dopo settimana Messi macina gol, che è un po' l'epicità dei 225 gol in serie A di Totti: due campioni il cui talento straborda al punto che i gol diventano in eccesso, fuori scala. Messi da agosto 2011 ha segnato 126 gol in 102 partite con il Barcellona. Eppure ridurre Messi ai gol è togliere l'arte dalla cornice, guardare uno spazio bianco.
Messi è l'ingranaggio perfetto di un collettivo perfetto. La sua unicità è la vera differenza tra quelli che possiamo considerare i quattro sistemi calcistici che formano una catena: il Wunderteam, l'Aranycsapat, il Totaalvoetbal e il Tiqui-taca.
Tutti questi sistemi (anni 30, 50, 70 e anni Zero - gli anni 90 sono della zona sacchiana, che meritebbe un altro approfondimento) sono caratterizzati da giocatori fondamentali in posizioni chiave. Ciò che regge l'intero sistema è inequivocabilmente il centrocampo, fulcro dell'armonia collettiva. Del Wunderteam austriaco, del grande precursore Jimmy Hogan, dei maestri sparsi in centotrent'anni di storia calcistica spero di poter parlare in un'altra occasione. Quello che mi preme sottolineare qui è quella famosa vertigine di cui parlavo.
Andres Iniesta. Per ogni Pelè c'è un Garrincha, un giocatore altrettanto fondamentale nell'economia del gioco ma indubbiamente meno simbolico. Iniesta è un calciatore impressionante. E' come se Zinedine Zidane giocasse sempre al top della forma - e per di più al servizio della squadra, cosa che un francese cresciuto nelle periferie mai potrebbe fare. Un videogioco due passi avanti alla realtà. Apparentemente Iniesta non ha bisogno di Messi per essere grande, la Spagna vince con la stessa disarmante semplicità. Ma per essere grandissimo, allora sì, Iniesta si mette al servizio del fenomeno, reggendo la squadra con una costanza tale che lo si dà per scontato. E ogni tanto qualcuno dice: occhio alle marcature, perché a Messi ci fai caso e lo ingabbi, ha il numero 10 sulla schiena che è un bersaglio per interditori scelti. Ma l'Illusionista passa inosservato finché non ha la palla tra i piedi - e a quel punto la magia è già in corso, trattieni il respiro e osserva.
E poi Xavi, di cui tantissimo è stato detto. E Busquets l'infame, il simulatore, il serpente che ha in mano l'elastico tra difesa e attacco, l'uomo del lavoro sporco, l'insostuibile più insospettabile. E Piqué che potrebbe giocare attaccante tanta è la tecnica e la forza che dimostra. Dani Alves, Jordi Alba, Fabregas, Pedro, Sanchez...tutti con una storia da raccontare in campo.
E David Villa. Che fatica ad essere importante, che è un ingranaggio che un po' stride, che con il Nou Camp non riesce ad andare oltre il sesso del primo appuntamento, eterna attesa di qualcosa che non arriverà. Ma Villa, uomo quasi superfluo dello Squadrone, è una leggenda. Miglior marcatore della storia della nazionale spagnola.
Questa è la vertigine. Pensare che ogni cosa di questa squadra resterà nella storia, e che noi la stiamo vivendo in modo così nitido e ardente. Che racconteremo ai figli di un passato mitico che lega Inghilterra, Austria, Ungheria, Ucraina, Olanda, Cecoslovacchia e Spagna. L'emozione non è il gol al novantesimo. L'emozione è la ricchezza di un patrimonio culturale che si mostra davanti ai nostri occhi con la naturalezza del Piccolo Principe, il viso semplice di Lionel Messi e la sua corsa priva di sforzo, il tiro da fermo che prende quella traiettoria unica, irripetibile, incastonata nella storia nel momento stesso in cui si verifica.
Quinto minuto del primo tempo, Barcellona-Milan 1-0, segna Messi. Il calcio si ferma per un istante e poi riparte. Altre squadre e altri campioni faranno la storia in futuro. Oggi c'è il Barcellona, ancora vivo. Onore al Milan per centottanta minuti di alto livello, oggi vince la leggenda, domani per i rossoneri ci saranno nuovi successi.